Specie: zuppe. Genere: zuppe di pane. Tempo: quello dell’olio nuovo, ovvero da metà ottobre a fine novembre, con possibili prolungamenti che possono arrivare anche ai primi giorni di dicembre. Stiamo parlando della zuppa alla frantoiana, un piatto squisitamente autunnale, proprio della cucina contadina toscana e segnatamente di quella lucchese. Frantoiana: così chiamata perché realizzata con le verdure presenti nell’orto di casa e raccolte al tempo della frangitura delle olive (novembre - dicembre), la frantoiana conosce un’infinità di varianti, il più delle volte trasmesse oralmente: almeno una per ogni famiglia che la prepara e la mette in tavola. Se la ricetta cambia da un focolare a quello immediatamente vicino, imprescindibile, però, è una base di fagioli borlotti se del caso arricchita da un osso di prosciutto. Messi i fagioli a bagno per sei ore circa, scolateli e poneteli in una pentola, coperti d'acqua fredda, coll'osso di prosciutto: acceso il fuoco, coprite il recipiente e fate prendere un lieve bollore, da mantenere per tre quarti d'ora circa. Pulite gli ortaggi propri della stagione autunnali - carote, patate, zucca, sedano e cavolo nero - e appassite aglio, cipolla e porro tritati in una casseruola con 4 cucchiai d’olio e un ramaiolo d’acqua calda. Unite il sedano, la carota, il finocchio tagliuzzati grossolanamente e dopo 15 minuti ripetete l’operazione con il cavolo e la bietola. Unite piselli, salvia e pomodoro e, dopo un quarto d’ora, aggiungete le zucchine, le patate e una piccola fetta di zucca. A tempo debito, scolate i fagioli, lasciandone qualcuno intero, e versate il passato nella casseruola delle verdure: centellinate il sale e non lesinate il pepe: non trascurate una presina di noce moscata grattugiata e qualche foglietta di timo. Dopo aver aggiunti i fagioli interi, fate cuocere adagio per circa un’ora, aggiungendo acqua se necessario. Servite la zuppa su fette di pane casalingo abbrustolito: ognuno, poi, provvederà di persona ad aggiungere, più o meno abbondantemente, l'olio nuovo dal sapore intenso al palato, vagamente amarognolo e piccante, adattissimo a condire le celeberrime bruschette e a insaporire minestre e zuppe. Così, più di vent’anni orsono, Anna Maria Gambogi di Torre, “annalista” degli usi e dei costumi dei lucchesi di una volta, annotava nel suo Calendario-Agenda 2003, Giorno dopo giorno, la sorpresa, sempre carica di suggestioni, dell’olio novello: “L’emozione più grande si provava quando dalle bruscole, poste a castello una sull’altra, usciva spontaneo il primo olio, col quale si condivano le pappe dei bambini… E come dimenticare la festa e l’allegria con cui venivano accolte le scodelle fumanti di zuppa alla frantoiana, consumata calda su di un tavolo alla meglio improvvisato, traballante e untuoso”. Un esempio assolutamente calzante di una gastronomia vegetariana, mediterranea, povera… Perché come ebbe a scrivere circa mezzo millennio orsono il letterato modenese Giacomo Castelvetro nel suo Brieve racconto “la bella Italia non è tanto doviziosa di carnaggi quanto la Francia e l’Inghilterra; perciò a noi fa di mestieri ingegnarci per trovare altre vivande da nudrir cotanta smisurata quantità di persone che si trovano in così picciolo circuito di terra”. Insomma, la nostra frantoiana è tutta dentro l’area culturale del pane, dell’olio e del vino, lontana da quella, pure esistente nella penisola, della carne, del latte e della birra che rimanda a un differente rapporto tra uomo e Natura, a un’altra maniera di vivere l’ambiente.