Capitai più volte in quella terra, che qualcuno chiama Israele e altri Palestina. Ne ho tratta la convinzione che lì non finirà mai, e che il progetto che fa da titolo sia destinato a non potersi concretizzare. Provo sinteticamente a proporre la mia opinione.
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Lasciamo perdere, prego, la storia che quella terra era di Caio, poi è arrivato Tizio, Terenzio non c’era, Sempronio l’ha tenuta un deserto e Tito l’ha trasformata in giardino. Applicare tale principio è impossibile, vallo a dire a tutti i popoli che hanno strappato la terra a un rivale, magari eliminandolo o schiavizzandolo. L’unico diritto per tenere o meno un pezzo di territorio, ce lo dice la storia, è quello del più forte. Israele nel 1948 credeva di non esserlo e si diceva disposto a cedere, poi ha capito di esserlo, e cambiato linea d’azione. L’arabo era sicuro di esserlo e intendeva completare la Shoah, ma aveva fatto male i conti.
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I due popoli hanno un Dio supremo, unico, assai simile. Per lui vale “occhio per occhio”, la legge della vendetta. In questo noi cattolici – o presunti tali – siam diversi, il nostro Dio è misericordioso. Con una bella confessione, CTRL+Alt+Canc, resettiamo i peccatucci, diventiamo grati a Dio, e possiamo riprendere a far schifezze. Jaweh è elitario e gli Ebrei – tali solo se partoriti da Ebrea – devono vivere nella Terra Promessa ad Abramo; Allah vuole che tutto il mondo sia islamizzato, e i Luoghi Santi tali sono pure per lui. I seguaci non possono ovviamente negoziare le volontà del Dio di riferimento, quindi non mollano e “2 Popoli, 2 Stati” diventa un assunto fine a sé stesso. Questo ci fa comprendere – non giustificare – il comportamento dei coloni israeliani del West Bank, o Cisgiordania, che con la scusa di essere il Popolo Eletto e di dover vivere nella Terra Promessa, e solo in quella, non accettano di darne una parte a chi non faccia parte del club. Contestualmente si comprende – senza giustificarlo – perché il credente dell’Islam non possa far altro che seguire i precetti di Mohammed, e mirare a incamerare tutto il globo terracqueo.
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Chi ha visitato la West Bank, con quelle 8 città circondate da mura vigilate dall’esercito israeliano e la pratica impossibilità del Palestinese di muovere liberamente, capisce il suo dolore e l’odio contestuale per l’Ebreo. Chi ha lavorato con l’Israeliano sa quanto prenda maledettamente sul serio il rischio di essere cancellato o di soffrire una seconda Shoah. Entrambi ce la mettono tutta per apparire rissosi, protervi, antipatici. E in un certo senso tali sono.
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Acqua ve ne è poca, chi controlla le sorgenti del Giordano nelle alture del Golan e ne gestisce incanalamento e sfruttamento ha un vantaggio strategico, che sarebbe idiota mollare.
Se tralasciamo i primi scontri durante e subito dopo la 2^ Guerra Mondiale, le due parti iniziarono a suonarsele nel 1948. Capitai in Libano nel 1982, prima missione italiana all’estero, dopo l’esperienza dell’amministrazione fiduciaria in Somalia. Erano al 4° conflitto e si pensava che fra ONU e contingente multinazionale sarebbe stata messa la parola “fine” a quella storia, dopo 34 anni.
Vi tornai un altro paio di volte, per lavoro, ma nel 2022, dopo ulteriori 40 anni, la situazione, modificata nei particolari, era immutata nella sostanza.
Ho assistito a plurimi tentativi, condotti dalle migliori menti diplomatiche, falliti in successione. Difficile, anzi, poco onesto intellettualmente dar la colpa all’uno o all’altro. Per questo ho cominciato a focalizzare la mia attenzione su quello che i rispettivi massimi ordinatori dell’universo dicono tramite i loro ministri di culto e le sacre scritture.
Da quelle parti, anche chi proprio credente non è, sembra preferire un approccio ispirato a intransigenza. Ogni negoziato si rivela carta straccia. Qui, più che l’oppio dei popoli, la religione – per l’effetto eccitante che ha, la definirei simile alla cocaina. Un altro motivo per dissentire dalle teorie di Karl Marx.