Ce n'è anche per Cecco a cena
Per la prima volta AstraZeneca ammette: "Il vaccino anti Covid può provocare trombosi rara". Ma allora avevamo ragione noi!
L'azienda biofarmaceutica internazionale AstraZeneca ha ammesso per la prima volta che uno degli effetti collaterali, sia pure a suo avviso molto raro, del suo vaccino contro il Covid-19 è la sindrome da trombosi con trombocitopenia (TTS). "Il vaccino può causare, in casi molto rari, una sindrome da trombosi con trombocitopenia (Tts). Le cause sono sconosciute", si legge in un estratto di un documento fornito dall'azienda a un tribunale lo scorso febbraio. Ma allora avevamo ragione noi che ci siamo sempre rifiutati di vaccinarsi costasse quel che è, effettivamente, poi costato in termini di emarginazione sociale e additamento collettivo al pubblico ludibrio? In sostanza l'azienda farmaceutica dovrà, presumibilmente e al termine dei processi intentati nei suoi confronti da altrettanti cittadini che hanno patito le conseguenze della sostanza che si erano inoculati, risarcire a suon di milioni di dollari o di euro chi ha avuto il coraggio di andare fino in fondo e sfondare il muro di gomma alzato dalle autorità civili, politiche e amministrative dell'intero emisfero. Ma come? Ma vaccinarsi non era un dovere civico, una scelta non scelta visto che è finito per diventare un obbligo imposto in tutti i modi anche quelli più schifosi e ignobili ai limiti del ricatto e dell'estorsione, l'unica maniera per salvarsi dal Covid e dalle sue infauste conseguenze tra cui, appunto, la morte se non matematicamente certa, assolutamente sicura? Già, ma, obiettano i soliti soloni di questo mondo, qualche episodio anomalo ci può sempre stare, peccato che la maggioranza di coloro che lo hanno avvertito non potranno mai più raccontarlo. Quindi? Che cosa facciamo? E se tra i casi in esame fosse capitato proprio a noi o a qualcuno dei nostri familiari? Come avremmo dovuto e come dovremmo reagire di fronte alla rivelazione-dichiarazione di AstraZeneca?...
Riccardo Giannoni, ma che splendida figura...
Alla fine, dopo un parto che definire complesso e sofferto è un eufemismo, il centrodestra a Capannori ha deciso di (non) scendere in campo in vista delle imminenti elezioni amministrative e appoggiare il candidato civico Paolo Rontani al quale va riconosciuto il merito, come già, per Lucca, a Mario Pardini, di averci messo la faccia, di essersi preso critiche e storcinaso a pioggia, ma di non aver mollato e di averci creduto. Certo, non è detto anzi, è improbabile, che finisca come nel capoluogo con la sconfitta dell'amministrazione comunale in carica, di centrosinistra, con alle spalle dieci anni di governo cittadino - a Capannori, addirittura, il doppio - ma non importa. Importante era ed è esserci e mostrare di aver avuto gli attributi per rischiare. Anche qui, nel comune più rilevante della Piana, il centrodestra ha fatto la solita figura... Ai puntini sospensivi aggiungete voi quel che volete, fatto sta che non è stato capace di mettersi d'accordo né su un proprio candidato, né sull'appoggio sin dall'inizio a Rontani. E questo nonostante gli accordi siglati a livello regionale che, però, ad un certo punto sono saltati visto che Matteo Petrini non se l'è sentita e con grande intuito e merito, di fare l'agnello sacrificale, economico e politico, della situazione. La Gazzetta annunciò subito che Petrini non avrebbe partecipato alla sua flagellazione politica, ma Riccardo Giannoni, il genio della stirpe italica coordinatore provinciale di Fratelli d'Italia, ci tacciò di inaffidabilità professionale confermando che Petrini era e sarebbe rimasto il candidato unico del centrodestra. Abbiamo visto tutti come è andata a finire. Magari le scuse da parte del dirigente meloniano non guasterebbero. E non soltanto le sue. La Lega, che con Rontani non ha mai avuto un buon feeling, assieme a Bigongiari di Forza Italia, aveva proposto Elisabetta Triggiani, un bel nome spendibile a tutti, ma proprio il suo partito, Fratelli d'Italia, ha respinto l'ipotesi...
Covid, sono passati quattro anni da quel marzo 2020 eppure sembra ieri...
Sono passati quattro anni - e che anni - da quel marzo 2020 che, senza ombra di dubbio, cambiò il mondo anche senza che la maggior parte di noi, degli esseri umani viventi su questo pianeta, lo desiderasse. Un contagio che ha distrutto, devastato, modificato, spezzato, annullato e, comunque, sottoposto a stress pazzesco la vita di milioni di persone. Lo chiamarono Covid e non solo e per farcene una ragione, si sono inventati anche che sia nato per colpa dei soliti pipistrelli cinesi infetti e che hanno infettato o anche di abitudini gastronomiche tutt'altro che ortodosse apparse e fuoriuscite da un qualsiasi mercato sempre nel paese dei musi gialli. Qualcuno, in realtà, si sforzò e provò anche a ipotizzare una origine militare da parte di qualche laboratorio top secret, ma anche lì, solamente qualche azzardo, ma nessuna verità. In sostanza, a quattro anni di distanza, quasi un lustro, non si sa ancora perché e per cosa l'umanità ha subìto una delle più grandi tragedie e dei più grossi traumi degli ultimi secoli. E non tanto o non solo per le vittime causate dalla pandemia, ma per quel senso di incertezza, di paura, di terrore seminati a piene mani da una classe politica, medica e scientifica che ha saputo, soprattutto, costringere e imporre ancor più che spiegare e convincere. Al di là del numero dei morti a causa della malattia, ciò che ha colpito e colpisce ancora è la dimensione planetaria della paura diffusasi senza freni e che ha condotto, irragionevolmente, milioni di individui a vedersi bruciare le proprie 'resistenze' con conseguenze imprevedibili e degne di un 1984 e di George Orwell, una cronaca quotidiana distopica con cui nessuno, fino ad oggi, aveva mai avuto a che fare restando, ovviamente, impreparato e in balìa degli stregoni di turno...
Se sei tu ad alzargli la palla, poi non puoi lamentarti se gli altri schiacciano: sul caso Tronca nuova pessima figura della maggioranza, ma cos'è, un'abitudine?
A volte ci domandiamo se la gente si rende conto di quello che dice e di quello che fa e, poi, soprattutto, di quello che accade. No, perché rimediare certe figure che definire barbine è un eufemismo, pare sia diventato il leit-motiv di alcuni esponenti di questa giunta cosiddetta di centrodestra. Ci riferiamo al comunicato diffuso oggi pomeriggio dal duo Raspini-Alfarano sul caso Tronca, ossia sulle sue dimissioni dall'incarico che l'amministrazione comunale, dopo averlo strombazzato e magnificato ai quattro venti, gli aveva affidato nella convinzione senza ombra di dubbio che la sua esperienza avrebbe consentito di affrontare e superare ogni eventuale ostacolo sul cammino della nuova giunta. Paolo Francesco Tronca, ex prefetto di Lucca, ex commissario straordinario, ex molte altre cose e personaggio indubbiamente notevole sotto il profilo professionale, alla fine ha salutato baracca e burattini e se ne è andato. Verso altri lidi senza dubbio, pare, più prestigiosi e remunerativi come ha fatto capire Marco Porciani, ma, allora, che razza di legame affettivo esisteva con la nostra città se sono bastati qualche dollaro in più per lasciare ciò che era già stato accettato? Raspini e Alfarano, alfieri dell'opposizione, avanzano l'ipotesi che a far desistere il superprefetto sia stato il loro esposto presentato alla corte dei conti sulla presunta illegittimità della nomina, ma non si sa se, effettivamente, le cose stiano così. Fatto sta che, però, Tronca a Lucca non verrà se non in visita turistica o similare. Ma il colmo dei colmi non è tanto questa rinuncia che, comunque sia, è frutto di una scelta personale da rispettare. La cosa inquietante e non è la prima né sarà, purtroppo, l'ultima, è che il sindaco Barsanti pardon, Pardini - chiediamo venia, ma ogni volta incappiamo nello stesso errore di forma o... di sostanza che dir si voglia - è a conoscenza della decisione di rinunciare da parte di Tronca e non ha avvertrito il benché minimo bisogno di farlo sapere ai lucchesi se non altro perché, grazie a tutto ciò, risparmieranno 135 mila euro di compenso. Briciole o bazzecole direte voi, di fronte ai 25 milioni di euro della boiata delle boiate, ossia il parcheggio interrato a piazza S. Maria, ma pur sempre soldoni...
La fogna romana ha partorito i topi per lanciarli all'assalto di Roberto Vannacci
La Cloaca Massima dell'antica Roma è una delle più antiche condotte fognarie. Il nome, Cloaca Maxima in latino, significa letteralmente "la fogna più grande". E' da qui, metaforicamente, dalla capitale che cloaca massima lo è sempre stata in tutti i sensi, che negli ultimi giorni sono partiti i topi incaricati di aggredire-assalire e, se possibile, anche divorare il generale di divisione Roberto Vannacci. Un gioco al massacro che, per chi conosce i meandri della (dis)informazione, sa benissimo come funziona e, soprattutto, da dove arriva. Vannacci, l'autore de Il mondo al contrario, il vero best-seller degli ultimi decenni nel campo dell'editoria italiana, è stato indagato, udite udite, per una serie di episodi riconducibili alla sua permanenza in Russia e a Mosca nella fattispecie, unitamente alla famiglia. Rimborsi spese, utilizzo di un'auto pubblica e altre amenità che sono state sparate ad alzo zero dai giornali di regime nemmeno si trattasse del peggior delinquente e non, invece, di un uomo che ha scritto un testo nel quale si sono ritrovati e si ritrovano milioni di italiani. Chi avrà passato le indiscrezioni alla stampa? Non ci vuole la laurea per immaginarlo visto che esse possono essere fuoriuscite solamente dal luogo presso il quale si trovava il fascicolo. Inoltre, basta seguire la traccia del cui prodest per capire. Vannacci si candiderà nelle liste della Lega alle elezioni europee e non avrà problemi a passare il turno. A qualcuno, all'interno dell'alleanza che governa il Paese, non va giù della serie chi è e che cosa vuole questo parvenu della politica... E allora diamogli addosso con ogni mezzo...
La scuola IMT di Lucca si scopre 'politicamente impegnata' e critica, implicitamente, le forze di polizia per gli scontri con gli studenti di questa mattina a Pisa. E' la prima volta che la scuola si 'intromette'
Forse a qualcuno può essere sfuggito, ma a noi no. Sarà, probabilmente, per via di quella sensibilità spiccata che, ormai e dopo 35 anni di (dis)onorata professione, si accende automaticamente, fatto sta che quello che abbiamo letto nel breve passaggio inviato dall'ufficio stampa della Scuola IMT Alti Studi di Lucca, ci ha sorpreso. E anche molto. Il rettore dell'università IMT - una istituzione che si è sempre caratterizzata, a meno che non ci sia sfuggito qualcosa in questi anni, per la sua professionalità, indipendenza e autonomia, per la sua 'estraneità', apoliticità e apartiticità - ha sentito il bisogno di condannare gli atti di violenza avvenuti questa mattina a Pisa a seguito di una dimostrazione pro Palestina e contro la guerra, portata avanti - anche - da studenti. Nel corso di questa manifestazione la polizia ha caricato il corteo e, visto che gli studenti erano sistematicamente tutti schierati a sinistra e contrari a Israele, i partiti di opposizione al Governo si sono subito gettati nella mischia accusando il ministero dell'Interno, i vertici della polizia e quei poveri disgraziati che per guadagnarsi il pane devono anche andare in strada rischiando di beccarsi un sanpietrino sulla testa. Noi non eravamo presenti, ma tutte le volte in cui abbiamo assistito anche a Lucca a manifestazioni portate avanti dagli studenti e dai manifestanti antagonisti o roba del genere, siamo stati testimoni che i primi a tentare di forzare i cordoni di polizia, i primi a scatenare la violenza, i primi a provocare, sono stati sempre e comunque loro. Ricordiamo benissimo cosa accadde a Lucca in occasione di un evento del G7 quando eravamo in compagnia per la pubblica via del compianto e rimpianto Leonardo leone capo della Digos. Quindi, prima di condannare gli agenti, vorremmo ricordare al rettore universitario il cui mandato scade, tra l'altro, a ottobre prossimo, che schierarsi...
A cosa serve una stella da sceriffo se non siamo più nel vecchio West? Per palazzo Orsetti una lezione senza possibilità di appello
Fabio Barsanti, assessore allo sport, sarà anche un nostalgico o, come si è definito, un fascista del terzo millennio, ma non è uno stupido e, probabilmente, quando, stamani, si è trovato di fronte Claudio Polonia patron della Real Academy Lucca di S. Cassiano a Vico, deve essersi domandato se, magari, non era meglio questo incontro averlo fatto molto, molto tempo fa. Non solo. Deve anche aver tremato, almeno metaforicamente visto anche il silenzio calato all'improvviso sugli astanti, quando lo stesso Polonia, affiancato dai rappresentanti dei genitori di ben 114 ragazzini che sono rimasti all'improvviso senza campo sportivo, se ne è uscito come i dolori, si fa per dire, rispondendo punto su punto in maniera implacabile, completa, puntuale, ineccepibile ai tentativi, alquanto maldestri, dell'amministrazione comunale di arrampicarsi sugli specchi. Specchi, è bene dirlo, tutti immancabilmente andati in frantumi davanti alle osservazioni razionali, ragionevoli e dettate dal buonsenso avanzate dalla controparte. E a niente sono servite le parole di soccorso provenienti dai dirigenti comunali che hanno provato prima, rinunciato, poi, a rintuzzare e respingere al mittente la forza delle argomentazioni proposte e declamate da un Polonia che non ha ceduto di un millimetro né all'amarezza per tutto ciò che è successo, né alla improvvisazione. Dicevamo del tremore: sì, perché a quanto pare c'è stato un momento di grande, grandissimo imbarazzo quando l'assessore e i suoi dirigenti hanno fatto notare - nonostante Polonia lo avesse già detto di suo - che le sette squadre della Real Academy rimaste senza impianto avrebbero potuto utilizzare il campo della Sanvitese in via delle Cornacchie, campo che viene già usato, ma solo per... grazia ricevuta dalla figlia di Polonia ché, se si trattasse di altra società, probabilmente non glielo avrebbe mai concesso. Polonia ha spiegato che, in primis, a San Vito si allenava solo la squadra calcio dei più piccoli cosicché non rovinano il terreno e la domenica le altre squadre possono giocarci altrimenti sarebbe un pantano con il rischio di perdere la gara a tavolino...
Una giunta... al capolinea. Tutti a casa sindaco Barsanti pardon Pardini, compreso
Questa sera in consiglio comunale l'assessore allo sport ex CasaPound e autodefinitosi fascista del terzo millennio - a noi di fascisti, a dirla tutta, ci erano già bastati quelli del secondo - ha dato il meglio di sé nell'aula di palazzo Santini dicendo, ma ci crede solo lui e il sindaco suo 'dipendente' Mario Pardini, che questa mattina al campo sportivo di San Cassiano a Vico è andata in scena la perfezione. Peccato, però, che proprio l'unico assente ingiustificato, a parte il sindaco Pardini che era a Roma - ma quanto gli piacerà recarsi nella capitale?, chissà, magari in futuro potrà tornargli politicamente utile - era lui e che la sua presenza richiesta da Claudio Polonia avrebbe di per sé, probabilmente, evitato tutto il casino che è successo. Fabio Barsanti, presumibilmente, pensa che tutti noi abbiamo l'anello al naso così come i suoi colleghi in consiglio comunale contro i quali si è scagliato accusandoli di voler fare polemica fine a se stessa. Che sia il vero sindaco della città ormai lo hanno compreso anche i muri salvo, forse, lo stesso Mario Pardini che ride, ride e poi ride ancora, ma che c'avrà mai sempre da ridere... Quello che è accaduto questa mattina è di una gravità assoluta e se ne sono resi conto, in primis, quei genitori e quelle persone che hanno assistito a un evento che definire ridicolo, vergognoso e assurdo sarebbe un eufemismo. Polonia chiedeva così come il comitato dei genitori che ha chiesto inutilmente di incontrare sindaco e assessore i quali hanno sempre rifiutato trovando, tuttavia, le ore necessarie per mettersi a tavolino con gli appassionati di bocce che a Lucca, pare, siano migliaia, di poter salvare la stagione calcistica. Ossia, far sì che i 120 ragazzini delle formazioni giovanili della Real Academy avessero la possibilità di allenarsi e giocare sul campo usufruendo dell'impianto che è, lo ripetiamo, una eccellenza...
Remo Santini e il... Gran Rifiuto
Remo Santini come Celestino V? Il rifiuto del primo paragonabile a quello del secondo? Non scherziamo, innanzitutto, perché del Gran Rifiuto di papa Celestino V che dopo tre mesi dall'elezione abbandonò il soglio pontificio, non si conosce ancora granché. In più, perché l'assessore al turismo del comune di Lucca Remo Santini non è ancora stato eletto sindaco di Capannori e, soprattutto, non ha alcuna intenzione di provarci. L'amarezza e la frustrazione per la sconfitta contro Tambellini per poco più di 300 miseri voti, sono ancora là che gridano vendetta, figuriamoci se ha voglia di ripetere la stessa esperienza anche perché, checché ne pensino, magari, i Fantozzi o anche i Pardini, a Capannori il centrosinistra ha vinto già a mani basse. E la candidatura di santini sarebbe utile soltanto a una cosa: a toglierselo dalle zone basse dove non batte mai il sole vista la sua iperattività nell'organizzare eventi e predisporre strategie. A quanto pare oggi, a pranzo, ospite di Vittorio Fantozzi e di Mario Pardini, incredibile il feeling tra questi due che ha già prodotto l'assunzione dell'addetto stampa passato dal primo al secondo senza soluzione di continuità, Remo Santini ha ringraziato per l'ennesima dimostrazione di fiducia ricevuta, ma ha respinto ogni eventuale ipotesi di sua candidatura a sindaco del comune dove, tra l'altro, ha vissuto e vive da sempre, al mittente. Santini non è assolutamente stupido anzi. Il suo passato di ottimo giornalista lo rende anche più perspicace di altri anche se la politica ha avuto il sopravvento sulla passione della gioventù e della maturità, appunto, il mestiere di scrivere. L'ex caposervizio della redazione di Lucca e di Viareggio del quotidiano fiorentino La Nazione è tra i pochi assessori, se non l'unico, che non sbaglia un colpo, che non apre bocca per dare fiato, che evita di impantanarsi nelle paludi create ad arte da questa giunta, che, in sostanza, viaggia in maniera parallela senza scontrarsi mai...
Stefano Michelini, ricordo di un uomo che ha aiutato molti pazienti a tornare a sorridere
Non ci volevamo credere quando, questa mattina, ci hanno avvisato che Stefano Michelini, lo psichiatra lucchese cresciuto a Sant'Alessio, maturato professionalmente alla corte di Giovanni Battista Cassano, il principe degli psichiatri, era morto. Lui, la persona che più di una volta ci aveva aiutato e con cui avevamo collaborato, scherzato, dialogato, commentato, riso e anche, perché no?, sofferto, non c'era più, trovato privo di vita ieri mattina nella sua casa non si sa bene da chi. Aveva 64 anni, lucchese nel profondo anche se poteva dirsi a tutti gli effetti un cittadino del mondo che, ovunque era andato, aveva seminato amicizie e rapporti umani tutt'altro che superficiali. Non era un santo e noi non ci apprestiamo a ricordarlo come tale. Non solo perché, effettivamente, non amava sentirsi tale, non soltanto perché non avremmo l'autorità per designarlo, ma, soprattutto, perché era l'antitesi della persona credente in una autorità costituita e superiore qualunque essa fosse e a qualunque latitudine si trovasse. Credeva nella razionalità, nella scienza anzi, nella neuroscienza, sapeva benissimo che l'aldilà è un privilegio riservato a chi ha fede e non, ad esempio, a chi nutre il dubbio e si attiene all'evidenza. E lui masticava raziocinio, empirismo, concretezza, formule chimiche che assemblavano quei farmaci ai quali era legato non da una dipendenza fisica o emotiva, bensì dalla consapevolezza che l'essere umano e la sua psiche sono una endiadi e che entrambi siano composti da sostanze fisiologiche e chimiche il cui equilibrio è fondamentale nella cura dei disturbi della mente umana, dai più gravi a quelli generati dallo stress oggi, a tutti gli effetti, il male del millennio. Noi lo abbiamo incontrato per la prima volta tanti anni fa, dovevamo essere nel gennaio del 1997 o del 1998...