Fra le tante vittorie in una carriera professionistica lunga quasi venti anni dal 1973 al 1992, l'ex campione bresciano Pierino Gavazzi a 69 anni ha ottenuto quella più importante guarendo dal tumore e dal covid 19. Un successo che gli ha fatto capire quanto la vita sia importante come gli affetti familiari che sono sempre stati alla base della sua identità personale.
"Dopo aver provato l'isolamento - dice alla Gazzetta di Lucca - ed essermi ritrovato taciturno con lo sguardo spento ho visto la morte in faccia. Una volta che sono tornato a casa ho riabbracciato piangendo mia moglie Marilena, dopo 44 anni di matrimonio, e ho capito quanto sia importante la famiglia e ritrovarsi con figli e nipoti. Loro mi danno la forza nell'affrontare la vita quotidiana, allontanando i pensieri che tormentano la paura della mente ed un futuro incerto. Tutto ad un tratto ho ritrovato nuove energie "ricaricandomi" come quando in corsa reagivo alle delusioni ed alle giornate storte. Il bene della famiglia è il futuro del mondo, sono il mio angolo in cui potermi sempre rifugiare".
In questo periodo drammatico ha avuto la vicinanza degli amici?
"Si, tante testimonianze di affetto ed in particolare da Ivano Fanini che è stato costantemente vicino a me ed ai miei familiari".
Una amicizia che nasce da un rapporto di lavoro, ma che è proseguita non soltanto come strumento da utilizzare per secondi fini. Gli ultimi cinque anni di carriera professionistica, dall'87 al '91 compreso, il velocista li ha trascorsi con le squadre Fanini, l'ultimo biennio con l'avvento di Amore & Vita. Tanti i suoi successi, ma uno in particolare è rimasto nella storia, quando il 26 giugno 1988 all'autodromo Dino Ferrari di Imola si laureò campione d'Italia per la terza volta, vincendo la Coppa Placci.
Aveva 38 anni, uno dei più anziani vincitori della storia e riuscì nell'impresa dopo un lungo digiuno di vittorie, battendo con uno sprint lungo due campioni del mondo: Giuseppe Saronni e Maurizio Fondriest. Un podio da far incaponire la pelle, considerando anche l'età del vincitore in un periodo in cui il ciclismo era un fenomeno sociale ed economico di primaria importanza. Tanto di Ivano Fanini ci fu nel titolo, per aver sempre creduto che Gavazzi non era ancora finito, ma che avrebbe colto altri importanti successi. La passione per il ciclismo dell'imprenditore lucchese non è mai scemata. Allora, come oggi, il suo movimento sportivo si faceva carico di responsabilità e i momenti aggregativi nei suoi 37 anni di permanenza nel mondo professionistico, si sono spesso rivelati come salvezza anche per molti giovani che sognavano successi e gloria.
IL TRICOLORE DELL'88, IL SUGGELLO DI UNA CARRIERA
Pierino Gavazzi con quel tricolore ebbe di nuovo una sensazione di armonia, una reattività ad una prolungata sofferenza fisiologica per tornare a sperimentare emozioni forti nel vincere una gara importante quando non c'era più abituato. Ma lui non si arrese e la sua perseveranza gli consentì di vincere un altro titolo italiano, con la maglia Fanini-Suven Up.
"Quel titolo - dice - mi dette le stesse gioie del primo che vinsi nel '78 fra il tripudio dei miei tifosi sulle strade di casa, nei luoghi dove sono nato e dove ho trascorso la mia esuberanza giovanile. Anche allora il podio fu importante, perché superai nell'ordine grandi campioni come Francesco Moser e Giuseppe Saronni. Contro quest'ultimo ho perso spesso le volate, ma ho avuto il merito di superarlo anche nella Milano Sanremo del 1980, la mia migliore stagione costellata dal successo nella Parigi-Bruxelles."
Tante belle pagine di ciclismo riportano il suo nome nel titolo come le 5 tappe vinte al Giro d'Italia, altre decine di classiche ma da ricordare per il campione della piccola frazione di Provaglio d'Iseo anche le ultime due vittorie della sua carriera all'età di 39 anni, a testimonianza della sua longevità, con la Fanini Polli quando si impose al Trofeo Laigueglia e al G.P. Industria e Commercio di Prato.
Ci vuole descrivere Pierino il momento della volata di Imola?
"Nell'ultimo circuito di 5 km. dell'Autodromo di Imola, il percorso era abbastanza ondulato ed anche quando dalla collina si scendeva verso Rivazza la discesa era piuttosto difficile da affrontare. Le mie caratteristiche non sono mai state di velocista dagli ultimi cento metri, le mie volate vittoriose sono state soprattutto al termine di percorsi lunghi dove altri velocisti come me arrivavano a fare la volata affaticati. In quella Coppa Placci la distanza era di oltre 275 chilometri, quindi adatta alle mie caratteristiche. Ancora una volta ebbi la capacità di mantenere alta l'andatura nel finale di gara e quando scattai lungo colsi leggermente di sorpresa Giuseppe Saronni. Lo superai di qualche metro iniziando lo sprint e conservai un leggero vantaggio fino alla riga di arrivo. Ivano Fanini mi venne subito incontro colmo di gioia".
Sempre con i colori Fanini Pierino Gavazzi ha concluso anche la breve carriera di direttore sportivo.
"Si, dopo essermi cimentato ad allenare squadre di dilettanti dal 2006 al 2009 tornai nel professionismo come D.S. dell'Amore & Vita Ms Donald's. Fu un triennio non molto positivo per i nostri colori con Ivan Quaranta, nostro elemento di punta, che lasciò un po' a desiderare sul piano dei risultati".
Come definisce da dirigente sportivo Ivano Fanini?
"Un dirigente appassionato, capace, vulcanico e gran motivatore, che però ha pagato i troppo attacchi a dirigenti e personaggi più influenti nel ciclismo".
Ha un rimpianto nella sua lunga carriera?
"A Praga ai mondiali dell'81. Ero in fuga assieme a Battaglin e ad un gruppetto di francesi fra cui Cyrille Guimard. Mancavano due giri ed avevamo buone possibilità di portare a termine la fuga, ma i francesi non tiravano perché temevano me in volata, così il c.t. Martini ci disse di soprassedere per puntare alla carta Saronni che era in splendida forma. Peccato che fu superato di due centimetri si e no da Freddy Maertens. Io giunsi ottavo disputando un grande mondiale. In azzurro sono stato un decennio e rimpiango di non essere salito almeno una volta sul podio".
OGGI UN CICLISMO PIU' TECNOLOGICO MA MENO PASSIONALE
"Oggi il ciclismo è cambiato rispetto a quando correvo io - conclude Pierino Gavazzi - C'è una tecnologia più avanzata che sperimenta sempre nuovi metodi. Ai miei tempi si correva da febbraio a ottobre, dal Laigueglia al Lombardia, puntando a vincere sempre ed i più bravi si contendevano anche le vittorie meno importanti. Oggi un corridore mira al suo appuntamento stagionale e poi si concede magari un lungo rilassamento. Saronni, Moser, io ed altri litigavamo in gara, ma appena finita tornavamo ad essere amici commentandola. Oggi i corridori vanno in camera con il tablet e lo smartphone".
Gavazzi ha disputato anche quattordici Giri d'Italia. Saltò l'edizione del '91 perché fu investito in allenamento da un' auto, rompendosi il ginocchio. Una passione condivisa in famiglia. Suo figlio Nicola è stato professionista dal 2001 al 2004. Più lunga la carriera dell'altro figlio Mattia che ha corso un triennio anche con Amore & Vita vincendo 17 corse in due stagioni. Ora per la gioia di papà Pierino i due lavorano insieme nell'impresa edile gestita da Nicola e lo fanno con grande passione.
Fanini - Gavazzi un lungo rapporto professionale di fiducia che ha consentito al primo di conquistare corse importanti per la sua squadra ed al secondo di prolungare una carriera durata ben oltre la media del picco tra i professionisti. Al velocista bresciano è mancato il podio ai mondiali, ma sul gradino più alto c'è salito debellando due malattie che purtroppo hanno provocato tante vittime in tutto il mondo.
Ultimamente sulla sua incredibile ed emozionante storia è stato scritto un libro da Paolo Venturini, con il titolo: "Pierino Gavazzi il campione della Franciacorta", con la prefazione di Davide Cassani e Ivano Fanini.