Anche per Simone Borgheresi, come per tutti i ciclisti che possedevano qualità tecniche e mentali di spicco, tanto da vincere in continuazione fra i dilettanti, la massima aspirazione era arrivare al professionismo. Ma per farlo doveva innanzitutto riscuotere la fiducia di una squadra, di un team che credesse in lui e pronto a lanciarlo. Plurivittorioso delle categorie giovanili, a 15 anni da allievo con la ciclistica Grevigiana vinse 10 corse, laureandosi anche campione regionale su pista nell'individuale a punti. Stava sbocciando un talento? Nel 1983 le aspettative su di lui erano tante. Da grande passista faceva sognare i suoi tifosi chiantigiani in una regione che ha spesso sfornato talenti ed una fra le più importanti come è sempre stata la Toscana per le due ruote. Il suo percorso prosegue a suon di vittorie: 8 da juniores di primo anno nel 1985 dove continua a mettersi in mostra anche come pistard vincendo di nuovo l'individuale a punti del campionato toscano. Quattro vittorie di secondo anno con la Sardelli nell'86 e addirittura 18 vittorie in cinque anni nelle categorie di Dilettanti, fra le quali il campionato regionale su strada ed una gara internazionale. Siamo ai tempi in cui correva per la Vellutex di Pistoia. Ma cosa doveva ancora fare Borgheresi per passare professionista? Era ormai uno dei più forti passisti scalatori italiani ma ciò nonostante la grande chiamata non era ancora arrivata... E allora cosa fare?
Come dice spesso Michele Bartoli, uno fra i più forti corridori di classiche di sempre che ha avuto il ciclismo professionistico italiano, che orgogliosamente ricorda le sue origini Fanini, c'era soltanto un sistema per sfondare. Riscuotere la fiducia di un team come quello presieduto da Ivano Fanini, una scuola di ciclismo riconosciuta in tutta Italia e che rappresentava il sogno di ogni corridore arrivare ad indossare quei colori, che già decenni prima di arrivare al professionismo erano il trampolino di lancio dei dilettanti più forti e vincenti. Nel 1992, all'età di 24 anni, per Borgheresi si apriva la grande prospettiva: passare a correre per la Mamma Fanini nell'ultimo anno da dilettante prima del lancio nel professionismo con Amore e Vita.
Da grande passista che era aveva quindi la possibilità di continuare a mostrare le sue grandi attitudini alle gare su lunghi percorsi pianeggianti dove era capace di mantenere un'andatura sostenuta e regolare. Ivano Fanini era da tempo che lo studiava e difficilmente le sue aspettative rimanevano deluse.
Borgheresi distribuiva le sue forze riuscendo ad arrivare al termine nelle migliori condizioni fisiche e queste sue capacità dettero convinzione al più grande talent-scout italiano dell'epoca di tesserarlo per le sue squadre. Nel 1993 a 25 anni finalmente l'atleta chiantigiano fece il grande passo al professionismo dopo aver vinto in maglia Fanini il Trofeo Serafino Biagioni. Ma la sua fino ad allora più grande soddisfazione la raccolse l'anno successivo vincendo la sua prima gara da professionista con Amore e Vita, imponendosi nella quarta tappa Vuelta di Aragona di una edizione vinta dallo spagnolo Alfonso Gutiérrez. Una prima vittoria quindi all'estero, ma già a quei tempi Amore e Vita del presidente-proprietario Ivano Fanini si imponeva in diversi paesi del mondo con una squadra multinazionale formata da giovani talenti che in maglia Fanini vincevano a ripetizione i rispettivi campionati nazionali. Quattro anni di professionismo, guadagnati grazie a Fanini, servirono a Borgheresi non per diventare un corridore di prima grandezza, ma per coronare il suo sogno e riscuotere in seguito nella sua carriera la fiducia di grandi campioni come Stefano Garzelli e Marco Pantani.
"Ho sempre dato tutto - dice l'ex ciclista chiantigiano - vincendo tanto nelle categorie dei dilettanti. Non nascondo che ad un certo punto ero scoraggiato perché non vedevo premiati questi risultati con il professionismo. Già lavoravo nell'azienda di famiglia a Greve in Chianti dove sono nato e vivo tutt'ora, in qualità di elettricista. Però visti i risultati volevo provare a fare il grande salto. Ho sempre avuto la giusta motivazione in ogni gesto atletico, in ogni contatto, in ogni allenamento. Alla fine arrivò Ivano Fanini con il quale feci il quinto anno di dilettante passando professionista l'anno successivo con Amore e Vita."
Quindi il Mercatone Uno. Impossibile non accettare la squadra di Marco Pantani e Stefano Garzelli...
"Dopo i primi successi con Fanini, allenato prima da Giorgio Vannucci e poi da Giuseppe Lanzoni, in una squadra forte dove ci siamo tolti tante soddisfazioni anche con Calcaterra, Massi, Pierobon e tanti altri vincendo diverse corse, entrai nell'occhio a due grandi campioni come Pantani e Garzelli. Però devo dire la verità di cosa penso? Se Fanini non mi avesse dato fiducia probabilmente la mia carriera non sarebbe decollata fino a questi livelli. Dopo Amore e Vita ho corso per la Mapei, ma le grandi soddisfazioni sono giunte alla Mercatone Uno quando a livello personale mi aggiudicai il Giro dell'Appennino nel 1999 giungendo da solo sul traguardo e staccando il secondo classificato, il russo Pavel Tonkov di 1 minuto e 24 secondi. L'anno successivo mi imposi in una tappa e nella classifica finale del Giro del Trentino, davanti ad Axelsson Niklas e Paolo Savoldelli. La psicologia per me è stata di fondamentale importanza nella carriera ciclistica. La calma mi ha sempre aiutato a gestire lo stress, migliorando la concentrazione e sviluppando la mia resistenza mentale. Ho fatto con grande soddisfazione il gregario a Pantani e Garzelli, ma sono sempre stato ricambiato della fiducia e per me ogni loro vittoria era più importante dei miei pochi successi. Non dimenticherò mai quando Garzelli mi dette una mano nel vincere il Giro del Trentino. Sul Passo Mendola accusai una crisi rimanendo staccato da Tonkov. Ebbene fu proprio Garzelli a tirare per me riportandomi nel gruppo di testa. Il suo aiuto fu fondamentale per il mio successo finale.
I GRANDI MOMENTI VISSUTI CON PANTANI
"Nel 1998 fui inviato al Tour di sostegno a Marco Pantani. Un'edizione che il fuoriclasse romagnolo vinse dominandola. Per me il più grande momento fu a fine Tour il giro d'onore agli Champs-Elysées. Tutta la squadra accompagnò il pirata e il pubblico metaforicamente cantava scandendo il suo nome in un fulgido acuto di gioia. Rimpianti? Nemmeno uno. Sono soddisfatto di quello che ho vinto a livello personale sia in pista dove spiccavano le mie doti nell'individuale a punti, nel quartetto e nell'inseguimento che su strada. Però senza l'interesse verso di me di Ivano Fanini probabilmente tutto questo non sarebbe successo"
Per Borgheresi, oggi 56 anni, dopo 11 anni di professionismo a livello agonistico seguì una breve carriera di quattro anni da direttore sportivo con la soddisfazione di aver portato al successo alla Hopplà-Simaf Carrier ciclisti del calibro di Diego Ulissi e Francesco Manuel Bongiorno, quest'ultimo vincitore nel 2012 anche del campionato italiano su strada Under 23. Altre squadre che ha allenato la Ceramica Flaminia, Nankang-Fondriest e Sancascianese Ciclismo dove corre tutt'ora nella categoria allievi suo figlio Federico di 15 anni. Attualmente è tornato ad esercitare la sua professione di elettricista gestendo assieme a suo padre Alberto, ancora molto attivo all'età di 82 anni, un'azienda di famiglia. Vive felicemente a Greve in Chianti in famiglia con la primogenita Irene, 24 anni, dottoressa archivistica e bibliografica, suo figlio Federico e sua moglie Lara. Una storia ciclistica vissuta con determinazione e costanza. Un talento non certo sprecato e potenziato dalle circostanze che l'hanno visto correre assieme a grandi campioni facendo emergere le sue qualità di passista scalatore ma anche di cronomen, come quando si impose nella quarta tappa del Giro del Trentino. Soltanto una piccola parentesi nei suoi lunghi periodi trascorsi da dilettante e da professionista.