È stato uno dei fondatori del circolo culturale "Piccola Penna" e il primo presidente. Gran conoscitore della metrica, appassionato di letteratura americana e diplomato al liceo artistico di Lucca. Così Giuseppe Dovichi racconta la scrittura attraverso la pubblicazione di poesie e romanzi.
Quando si è avvicinato al mondo della scrittura?
"Potrei dire dalla terza elementare, quando la maestra mi chiamava alla cattedra e, accarezzandomi sulla testa, leggeva i miei componimenti all'intera classe. Quando, all'età di 12 anni, scrissi il mio primo romanzetto di tipo western, che tuttora tengo gelosamente nascosto nel cassetto dei ricordi. E le prime poesie, sempre di quel periodo."
La sua formazione avviene in ambito umanistico presso i Frati Cavanis di Porcari. Che ricordi ha di quegli anni di studio?
"Immensi! Sia da un punto di vista didattico, sia affettivo. Grandi uomini e grande scuola. Li abbiamo anche contestati, nel passato, ma adesso, col passare degli anni, sempre più mi sento in obbligo di rivalutarli: rivalutare la serietà, la dedizione, la preparazione che riuscivano a trasmettere a noi allievi. E anche il fascino, la nostalgia di quell'ambiente "pulito", di quelle messe mattutine prima che sorgesse il sole, è grande; così come è grande il rimpianto per un mondo tramontato per sempre.
Ad un certo punto della sua vita abbandona gli studi ed entra giovanissimo nel mondo del lavoro svolgendo diverse attività: dal manovale all'operaio nelle fabbriche di Segromigno. Si è mai pentito di aver lasciato il percorso di formazione intrapreso?
"Certo, più che pentito, ma, per motivi che non sto qui ad elencare, l'ho dovuto fare. Pur avendo cercato in seguito di rimediare intraprendendo studi disordinati, mi è mancata quella formazione che la cosiddetta "università della vita" non riuscirà mai a sostituire del tutto. Però devo anche dire che la fabbrica mi ha dato qualcos'altro che non avrei mai potuto avere dalla scuola, perciò mi sembra proprio il caso di dire: non tutto il male vien per nuocere..."
All'età di ventisette anni ottiene un impiego alle Poste Italiane e riesce a diplomarsi al Liceo Artistico di Lucca.
"Sì, devo essere grato al Liceo Artistico, ma riprendere la scuola quando uno è adulto ed ha le sue convinzioni già ben radicate, può creare un conflitto a volte più dannoso che utile. In ogni modo, tutto è cultura, e non mi pento certamente di averlo fatto. Anzi!"
Correva l'anno 1999 ed usciva il suo primo libro, una raccolta di poesie sotto forma di diario. "Agenda Verde-Rosa", si intitolava, dove racconta avvenimenti vissuti in prima persona o fatti accaduti in quel periodo. Quali, ad esempio?
" Beh, uno dei più significativi è lo spopolamento delle campagne e la fine di un mondo contadino avvenuto negli anni '50-'60 del secolo scorso, in favore di una Italia diventata industrializzata. Passaggio rappresentato dalla poesia "Le Stagioni di Dora" forse la più bella di tutta la raccolta. Le faccio presente che il libro è uscito nel '99, ma le poesie sono precedenti."
Ha pubblicato " Il Testimone", " Il profumo del vento", " Il sostituto di Dio" e " L' Alito del fiume". Al centro delle trame vediamo tra i protagonisti vecchi paesi delle Apuane, l'anziano Franco o il giovane Paco. I personaggi delle sue opere le ricordano in qualche modo persone a lei care del suo vissuto?
" Tutti mi ricordano persone del mio vissuto, laddove non ci sia io stesso. Alle presentazioni, a volte qualcuno mi domanda quanto ci sia di me o di autobiografico nei miei libri, ed io gli rispondo che non c'è nulla, ma c'è tutto. I miei personaggi sono veri. E con questo non intendo dire che siano personaggi reali, realmente esistiti; no, questo no, ma sono personaggi autentici, personaggi che potrebbero esistere veramente nella realtà. Così come sono realistiche le situazioni, anche nel libro più fantasioso che è appunto "Il Sostituto di Dio". Non a caso lei fa riferimento a Franco e a Paco, un vecchio e un giovane, così diversi, apparentemente agli antipodi, ma così simili e reali che potrebbero essere quasi la stessa persona. Due facce della stessa medaglia. Probabilmente io in un certo momento della vita. Anzi, sicuramente io, dal momento che, per descrivere questi personaggi, le loro sensazioni, mi sono anche imposto di fare una parte dei loro stessi viaggi solitari in giro per l'Europa. "
Sta per uscire il suo ultimo libro "La profezia della Stella Bianca". Qualche anticipazione?
"Nella pratica è già uscito, perché a causa di questa situazione anomala, si è fermato in tipografia, ed io ho avuto la bella idea di postarlo su Facebook. Ogni scrittore, io credo, si realizza solo se il suo libro viene letto dal più alto numero di persone. Indipendentemente dai guadagni, che il più delle volte non ci sono. Come anticipazione, dirò che c'è una prima parte da film giallo... di più non dico."
È appassionato di letteratura americana. Tra i suoi autori preferiti Hemingway e Stainbeck che considera come suoi maestri. Che cosa le hanno insegnato leggendo i loro libri?
" Che per scrivere qualcosa di importante, prima bisogna vivere. Io inserirei nella lista anche Jack London, tutti scrittori che hanno riversato nei loro libri il loro vissuto. Solo così le storie possono essere credibili; per paradosso, anche le più fantastiche!"
Il modo di scrivere di Giuseppe Dovichi si rispecchia in un certo senso in quello dei suoi maestri di letteratura? In caso contrario, come potremmo definire lo stile dell'autore de "Il Testimone"?
"Sì, credo che il mio modo di scrivere rispecchi un poco quello degli autori sopra elencati; ma solo per alcuni aspetti, e, del resto, farei torto ad altri scrittori, se non dicessi di aver imparato dai classici greci e latini; da Dante, da Ariosto, o dal Manzoni stesso. E se le dicessi di Mozart? O di Battisti? Da tutti si impara, dal più alto filosofo, al più umile contadino, è questo che mi ha insegnato "l'università della vita". E, guarda caso, ne "Il Testimone" si fa riferimento proprio a Mozart! Per quanto riguarda "Il Testimone" è il libro più anomalo che ho scritto. È un libro misto di prosa e poesia, ed è anche quello che non rifarei. O, quantomeno, lo terrei per me. Perché è una cosa troppo personale, e forse non era giusto che uscisse... o forse sì? Non so. Come potrei definire lo stile? Commovente...?
Uno degli argomenti che affronta è la ricerca di nuovi valori e il recupero di quelli antichi. Tutt'ora approfondisce queste tematiche?
"Sì, ora più che mai. Ma è meglio non dirlo, suona un po' come luogo comune: tutti tendono alla ricerca di nuovi valori e al recupero di quelli vecchi..."
Conosce bene la metrica, è un grande esperto. Se dovesse comporre una poesia ora, che cosa scriverebbe?
" Lei mi chiede una lirica al momento,
perché le piace mettermi alla prova,
e stando al gioco in questa cosa nuova
un breve le farò componimento."
Da parte mia ho voluto dimostrare
che se mettiamo un po' di sentimenti,
e se alle rime stiamo un poco attenti,
una stilla furtiva può spuntare...