Di nome fa Aurelio, a pensarci bene uno dei pochi nomi che comprende tutte le vocali. Di cognome, invece, fa Barattini e se anche non è abituato a stare, come tanti altri chef, sotto la luce costante dei riflettori, è uno tra i più conosciuti artefici della cucina italiana, ma, in particolare, di quella lucchese. Il suo ristorante, l'Antica Locanda di Sesto a Sesto di Moriano, è l'unico locale, a nostro avviso, in grado di fare concorrenza, per l'atmosfera che lo avvolge e il calore che vi si respira, alla Buca di Sant'Antonio di Franco Barbieri e Giuliano Pacini. "Non è vero - dice - In realtà la Buca è molto meglio con quelle meravigliose stoviglie di rame appese al soffitto che riescono a trasmettere la sensazione di correre indietro nel tempo".
Questo cuoco dalle mani d'oro ha il dono della modestia e dell'umiltà. E' un personaggio di grandissimo livello nel panorama gastronomico italiano e, in particolare, toscano, che ha il merito di essere stato sempre uguale a se stesso e alle tradizioni che, dal 1911, la sua famiglia e i suoi avi gli hanno trasmesso. Oltre a gestire, con il fratello Lamberto e la mamma Raffaella Tomei, l'attività di ristorazione, Aurelio Barattini ha avviato da alcuni anni anche una strepitosa azienda agricola che produce il vino, ottimo il rosso che abbiamo testato conservato nel classico fisco di una volta e anche l'olio biologico che serve a tavola e che provengono dalla sua tenuta in località San Concordio di Moriano denominata la Maolina.
Sono 33 anni che frequentiamo questa valle di lacrime, ma in tutto questo tempo non eravamo mai venuti a mangiare a queste latitudini. Ci eravamo fermati a Ponte a Moriano, un tiro di schioppo da qui, in un altro locale mitico del panorama culinario lucchese, la Mora di Sauro Brunicardi, altro genio e vera e propria istituzione della gastronomia di casa nostra. Con Aurelio Barattini non ci eravamo mai incontrati, soltanto sentiti per telefono e quella volta non fu proprio una rilassante conversazione, tutt'altro. Aveva appena letto la notizia sul giornale con relative immagini 'rubate' chissà come chissà dove, sulla Gazzetta dove si riferiva e raccontava della visita di Bono and The Edge degli U2 in una villa sulle colline morianesi in occasione di un pranzo al quale era stato chiamato proprio lui per far conoscere ai musicisti irlandesi la vera cucina lucchese. Ci chiese di togliere il tutto perché la cosa gli stava creando qualche grattacapo in quanto il portavoce del gruppo lamentava la violazione della riservatezza e i rischi conseguenti. Ci domandò anche, se non ricordiamo male, dove avessimo preso le immagini.
Non rimuovemmo l'articolo e non rivelammo chi ci aveva girato le immagini, ma il nostro interlocutore la prese, si fa per dire, con filosofia e ci invitò ad andarlo a trovare alla sua locanda.
Questa sera siamo in compagnia di alcuni amici che conosciamo da anni, Natale Mancini e la moglie Paola Granucci, Gaia Lucchesi e il marito Nicola Battaglia. Piove, ma nemmeno tanto e dall'auto alla porta d'ingresso sono poche decine di metri. Appena entrati, ancor prima di imbattersi nel proprietario di questa meraviglia, restiamo a bocca aperta e comprendiamo la ragione per la quale questo ristorante è amato da impazzire dagli stranieri, non quelli del mordi e fuggi, ma i turisti di classe e di qualità, una minoranza sicuramente, ma che sanno apprezzare tutto ciò che sta, come recitava il titolo del libro best-seller di Frances Mayes, Under the Tuscany Sun, sotto il sole della Toscana.
Tutto ciò che circonda l'avventore riporta ad un viaggio a ritroso nel tempo, quando la vita viaggiava a velocità molto ridotta e sulla tavola arrivavano cose semplici e buone per tutti i gusti e tutte le età. Donna Raffaella Tomei è la mamma di Aurelio e puntuale lo affianca nel lavoro, soprattutto, dopo la morte del marito, una scomparsa che lasciò Aurelio Barattini di fronte all'improvvisa consapevolezza di caricarsi tutto sulle spalle, compresa l'azienda agricola acquistata dal genitore e che lui, cuoco, sapeva solo fino ad un certo punto come portare avanti.
Aveva frequentato l'istituto tecnico commerciale in gioventù, Barattini Aurelio ed era anche bravino al punto che riuscì, giovanissimo, a vincere una selezione e a ottenere la possibilità di lasciare Lucca e salire a quote più alte in cerca di fortuna. "Era già tutto pronto e avrei solamente dovuto inforcare la porta con le valige e partire per Milano - racconta - Mio padre non mi ha mai costretto a seguire quello che lui amava ossia la cucina e questa attività, ma io, sin da piccolo, seguendo mia nonna, avevo respirato quest'aria. Così, proprio scendendo la scalinata di questo edificio che ha sempre racchiuso, da basso, il ristorante e al piano superiore la nostra casa, mi sono chiesto se dovevo essere proprio io quello che metteva la parola fine ad un percorso iniziato nel lontanissimo 1911 quando il mio bisnonno prese, prima con un socio, poi da sé, questo locale. Così, decisi di restare qui e non mi sono mai pentito della scelta".
Chissà come mai nel ristoranti di un certo livello il servizio estremamente efficiente e professionale, ma non asettico o distaccato, balza subito agli occhi. E, quello tra il locale e i suoi dipendenti, rappresenta una sorta di corrispondenza di amorosi sensi e di complementarietà: non può esistere il primo senza i secondi, ma nemmeno i secondi senza il primo.
Barattini lavora a Lucca, ma vive a Roma vicino piazzale delle Province, quartiere Nomentano, non molto distante, appunto, da quella via Nomentana che conduce fino alla breccia di Porta Pia e le cui cicale - al riparo sugli alberi che costeggiano la via consolare romana, con il loro frinire trasmettono un languore tipicamente estivo - erano rievocate in un libro di poesie di Carlo Andrea Fabbricotti da Carrara regalatoci da un caro amico ex partigiano e deputato del Pci, Antonio Bernieri, nato, guarda caso, a Lucca nel 1917.
Pensavamo anche a questo, a Roma, mentre davamo una occhiata al menu della casa anche se non ci sono stati dubbi di sorta e, dopo un antipasto della casa ricco di affettati e squisitezze, siamo voluti andare sugli spaghettoni “senatore cappelli” felicetti al guanciale e pecoringrana, amalgamati direttamente e davanti al nostro sguardo estasiato, all'interno di una forma di parmigiano. C'è chi si è gettato sul manzo di pozza di garfagnina memoria, una ottima carne magra e salata il giusto che si accompagna benissimo con rucola e parmigiano reggiano 36 mesi.
Tra un viaggio di andata e ritorno per la capitale e per tornare puntualmente dalla famiglia che, per Aurelio, è la cosa più importante, ha trovato in tutti questi anni anche il tempo e la voglia per girare il mondo cucinando alla corte di personaggi facoltosi e famosi che lo hanno richiesto proprio per le sue capacità di restituire, con le sue ricette, il sapore di una Lucca e di una cucina toscana che, ormai, sono sempre più difficili da trovare. Un esempio: "Questo inverno, per Natale - rievoca Barattini - ho accettato la proposta fattami dai proprietari di un resort di lusso alle Maldive di trasferirmi laggiù per tre settimane e cucinare lucchese. Era il Grand Park Kodhipparu sull'Atollo di Malè Nord, frequentato da persone abituate ad un tenore di vita altissimo. Ci ho pensato un po', poi ho accettato a due condizioni: che mi seguisse la famiglia e che potessi avere con me, per la cucina, tutte le cose che ho qui a Lucca. E' stato un successo".
Al momento dello scoppio del Covid, nell'inverno del 2020, Aurelio Barattini si trovava negli Stati Uniti, per la precisione a Seattle, presso una delle case di Jeff Bezos, il fondatore e proprietario di Amazon, la più grande azienda di commercio elettronico al mondo. Avrebbe dovuto restarci per un po' e cucinare per lui e per i suoi ospiti, ma l'arrivo del primo lockdown lo costrinse a imbarcarsi all'improvviso e a fare rientro in Italia e ad accompagnarlo in Canada per prendere l'aereo fu proprio Bezos con la sua auto.
Chef Barattini ha avuto anche belle parole per un amico lucchese, Francesco Colucci, ricordando tutte quelle volte che, anche senza preavviso, partivano per recarsi nelle ambasciate di mezza Europa e del mondo per cucinare e mettere a tavola centinaia di persone. Un tour de force che ha rappresentato una enorme esperienza umana e professionale per la quale è ancora grato all'ex presidente dell'Atp, l'azienda di promozione turistica.
Tutto ciò che si mangia alla Locanda di Sesto sa di genuino, di proveniente dalla terra, da dove noi stessi veniamo. E' proprio questo posto che sembra appartenere ad un film del genere di Non ci resta che piangere, con quel salto all'indietro, dagli anni Ottanta del Novecento, addirittura al 'millequattro, quasi millecinque' come recitavano nel film di Troisi e Benigni. Del resto il ristorante esiste dal 1368, quindi, come epoca ci siamo.
Barattini è capace di mettere i suoi clienti a proprio agio, li coccola, li segue, li ascolta, li accompagna senza mai farlis entire soli nel tuffarsi in pietanze che raccontano di un evo che fu, di strumenti che furono, di prodotti che, oggi, sono possibili da degustare solamente da queste parti e che, per molti, nelle città e all'estero, costituiscono al massimo un desiderio, quasi sempre solo un sogno.
Alla fine ci accorgiamo che siamo stati gli unici a non divorare tutto il guanciale affogato nel formaggio invecchiato 36 mesi. E questo perché, paradossalmente, ma molto paradossalmente, dovremmo essere a dieta. Tra l'altro, una delle foto che pubblichiamo e scattata da Gaia Lucchesi, ci fa sembrare ancora più rotondi di quello che siamo. Lo avrà fatto apposta? Non vogliamo nemmeno pensarlo. Serata davvero piacevole e rilassante e per chi, come noi, ha respirato per decenni stress a pieni polmoni, queste sono occasioni da non perdere.