Stefano Raffaglio, 47 anni, milanese doc, dal 2010 è direttore generale di Dolcitalia, il più grande gruppo italiano di distribuzione di prodotti d'impulso o da banco sul canale Ho.Re.Ca. (Horel, Restaurant e Cafè) con 150 affiliati in tutta Italia e un fatturato di 350 milioni di euro all'anno oltre a servire 180 mila punti vendita dei quali 100 mila sono bar.
Lei, in un recente intervento, ha concluso con questa frase: "Andrà tutto bene, ne siamo certi. Per chi?" Cosa voleva dire?
Ovviamente la nostra speranza è che possa andare bene a tutti. Il tema che mi preme sottolineare è che nei momenti di profonda rottura e confusione come questo, sovente si presentano anche delle grandi opportunità di vita e di lavoro. Il nostro auspicio è che ne possa godere l'intera collettività e non solamente qualcuno. La frase, nel caso di specie, era legata al fermento attuale sul tema mascherine con il timore che si possa sviluppare in modo speculativo solo attraverso alcune aziende. Il concetto, tuttavia, può essere esteso a tutto il nostro business.
Ci scusi, ma cosa c'entrano le mascherine con la vostra attività principale?
Con uno studio pubblicato recentemente, il Politecnico di Torino, stima un consumo medio giornalieri per i prossimi mesi, di circa 35 milioni di mascherine. E' chiaro che, essendo uno strumento di salvaguardia della salute della collettività, questi prodotti dovranno poter essere resi disponibili attraverso una distribuzione capillare. Ci immaginiamo che possano essere vendute in tutti i punti vendita del canale moderno, ma anche nelle tabaccherie, nei bar, nei negozi di vicinato, ovunque si manifesti la necessità del loro utilizzo e di una pronta disponibilità. Noi siamo i leader nella distribuzione di prodotti da banco. Abbiamo abbracciato un progetto di Confindustria Moda per sviluppare la distribuzione di questo prodotto in modo etico perché proveniente da ristrutturazione industriale dell'azienda del tessile italiano. Abbiamo creato degli espositori da banco in modo da consentire ai nostri distributori di risollevarsi economicamente, seppure in modo parziale, con prodotti utili alla collettività in questo momento di bisogno.
Quindi, tutto procede per il meglio?
Purtroppo no. Perché le imposizioni di un prezzo al pubblico emanate dal premier Conte e dal commissario Arcuri, che non tengono conto degli attuali costi di produzione e dei costi di filiera, rischiano di non rendere disponibile questo prodotto con la capillarità necessaria.
Raffaglio, fatto il punto sulle mascherine, torniamo, però, a quella che è la realtà del vostro settore, decisamente e ci smentisca nel caso, drammatica.
Il nostro mondo, composto da bar, ristoranti, chioschi, centri sportivi, è al collasso. Dopo tre mesi di totale chiusura la Fibe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) stima che dei 330 mila punti vendita in Italia 50/60 mila saranno costretti a chiudere. Quelli che riusciranno a sopravvivere vedranno ridimensionato notevolmente il loro fatturato a causa di una minore affluenza di avventori nei punti vendita. Questo fenomeno si ripercuote a catena su tutta la filiera e i nostri distributori incontreranno gravissime difficoltà economiche: difficilmente incasseranno i crediti precedenti, perderanno molti clienti, ridurranno in modo importante gli ordini post-lockdown, ma, al contempo, dovranno onorare gli impegni economici con i propri fornitori senza che, a oggi, siano evidenti le misure di sostegno economico.
Il quadro che lei dipinge è, lettaralmente, terrificante. Quando accenna a 50/60 mila ipotetiche chiusure di attività, si rende conto che si tratterebbe di una ecatombe sociale oltreché economica?
Purtroppo mi è molto chiaro. Auspico una consapevole ridefinizione dei nostri modelli di businesse e quando dico nostri parlo di tutta la filiera. L'unica chance di sopravvivenza è un cambio di passo radicale intercettando nuove opportunità e nuove metodologie di consumo. A monte i nostri distributori dovranno pensare seriamente a processi integrativi che consentano l'efficientamento delle loro aziende.
Lei, a differenza di tanti altri colleghi e dirigenti d'azienda, non ha finora mai fatto appello o riferimento all'intervento dello stato. Perché ritiene inutile perdere tempo con un malato pressoché terminale o per una semplice dimenticanza?
Credo che nella gestione di questa emergenza sanitaria, e non me ne vogliano le altre regioni, Lombardia e Veneto abbiano dimostrato che il vecchio adagio 'chi fa da sé fa per tre', purtroppo funziona anche in queste circostanze. Una città come Bergamo ha curato i propri malati negli alberghi, sepolto i propri morti trasportandoli sui camion militari, mandato decine di medici al macello quando le dogane stavano ancora decidendo se liberalizzare l'utilizzo di milioni di mascherine bloccate nei magazzini. Tutto quello che ci verrà dato sarà, ovviamente, prezioso, ma non possiamo più aspettare.
Aspettare cosa scusi?
Aspettare che la burocrazia faccia il proprio corso, che le persone acquisiscano coscienza, che vengano utilizzati in modo realmente utile i soldi che tutti noi abbiamo contribuito a rendere disponibili allo stato. Governare in questo momento è quantomai complesso, ma le nostre aziende, il nostro mercato, le nostre famiglie hanno tempi ed esigenze diversi e noi siamo chiamati a tutelare questi in primis.
Direttore ancora non abbiamo capito, però, di chi è la colpa: del virus?, del Governo?, del lockdown? Anche lei ci sembra che navighi, un po', nella nebbia. O è soltanto prudenza?
La colpa, ammesso che di colpa si possa parlare, è di tutti noi italiani, storicamente incapaci di fare sistema e, purtroppo, questi nodi vengono al pettine nei momenti drammatici come questo. Tutti viaggiamo a vista, nessuno ci sta capendo nulla. L'italiano medio è bombardato costantemente da fakenews che rendono impossibile la formazione di un pensiero indipendente e corretto. Gestiamo le nostre preferenze politiche con la stessa enfasi e le stesse modalità che dedichiamo alla squadra del cuore. Partecipiamo alla res publica come al grande fratello. Abbiamo poco da lamentarci se gli attori prendono la scena oggi.
Se poi aggiungiamo, visto che lo ha citato lei, che il portavoce del presidente del Consiglio utilizza, come curriculm vitae, la propria partecipazione alla trasmissione trush, ci sembra che il cerchio si chiuda da sé.
In un mondo gestito dalla televisione priva di contenuti mancano gli statisti, i politici, una classe dirigente...
Una classe digerente ci scusi o abbiamo capito male?
Le allusioni e le metafore riempiono costantemente le nostre giornate. Quello che, in realtà, manca, purtroppo è la sostanza delle cose ed una coscienza collettiva che porti la visione oltre i confini del proprio orticello e del proprio interesse. Da italiano affezionato al proprio paese, fatico a riconoscermi in questo sistema e vivo con frustrazione l'impossibilità di incidere in modo radicale nel suo cambiamento. Quando saltano gli schemi e le prospettive, ritorniamo al Colosseo in modalità panem et circenses declinato in versione 4.0
Lei ha detto che ci sono 150 affiliati in tutta Italia che, ci consenta l'eufemismo, adesso sono, metaforicamente, ma nemmeno tanto, nella merda. Aspettano da lei, una parola di incoraggiamento e di speranza. Se la sente di dargliela?
Non solo me la sento, ma è mio preciso dovere farlo. Nei periodi di grande confusione come questo è fondamentale mantenere salda la barra e ascoltare le voci autorevoli. La nostra salvezza sarà l'utilizzo del pensiero laterale perché ci consentirà, in un momento di crisi profonda, di intraprendere, con il coraggio necessario, strade che, sino a ieri, ci sembravano impercorribili. Abbiamo passato troppo tempo concentrati sul 'come si faceva una volta' perdendo di vista il 'come si farà domani'. Il cambiamento forzato delle nostre abitudini ci ha dato consapevolezza che tutto può girare in modo diverso. Adesso dobbiamo solo il coraggio di farlo.
Ora ci manca solo che ci venga a dire che il Coronavirus rappresenta una opportunità...
Una grande opportunità. Il bicchiere non è mai mezzo vuoto, basta trovare il rubinetto giusto e diventa tutto pieno. Stiamo lavorando da mesi su progetti che parlano di: home delivery, portali e-commerce B2B, modelli di integrazione orizzontale tra aziende, data sharing. Questi sono i pilastri sui quali ricostruire le nostre aziende. In questo senso la crisi sanitaria è stata un'opportunità perché, obtorto collo, costringerà anche noi italiani a fare sistema capendo che non è un modo per sopravvivere, ma per incrementare produttività e profitto delle nostre aziende.
Uno degli slogan più diffusi dai soloni della Nuova Verità, è che niente sarà mai più come prima. Eppure e non siamo i soli, a noi, tutto sommato, non dispiacerebbe tornare, proprio, come eravamo fino a due mesi fa.
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