19 luglio 1992 - 19 luglio 2022: trent’anni fa perdeva la sua vita il magistrato Paolo Borsellino. Solo a 57 giorni dalla strage di Capaci, dove avevano perso la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la scorta, un nuovo attentato, quello di Via D’Amelio, colpisce feralmente il nuovo simbolo dell’antimafia palermitana.
Paolo Borsellino, assurto alla ribalta suo malgrado, come nuovo paladino della lotta al cancro mafioso, viene ucciso insieme alla sua scorta con un auto bomba sotto casa della madre. Segue così il destino del suo amico e collega di sempre, quel giudice Giovanni Falcone, con cui aveva condiviso tutta la stagione dei pentiti e il maxi processo. Dopo l’attentato di Capaci, Paolo Borsellino comprende subito che il prossimo obiettivo sarà lui.
Lui sarà il nuovo agnello sacrificale, di una lotta senza quartiere tra lo Stato e la mafia, che lo ha visto insieme a Falcone protagonista. Una lotta quella tra Stato e mafia che ancora oggi perdura ma si è fatta più silenziosa, meno appariscente, ma non per questo meno dura e cruenta.
Con Paolo Borsellino scompare, l’ultimo baluardo di spessore della magistratura operante sul campo, che aveva compreso come indirizzare bene le attività investigative e sapeva dove colpire quel tumore venefico, che ancora oggi ammorba la Trinacria e l’intera Penisola Italiana. Dopo la sua scomparsa, molti passi in avanti sono stati fatti nella lotta alla mafia, molte battaglie sono state vinte, molti grandi capi di Cosa Nostra sono stati arrestati, tanto che al momento attuale, l’unico nome di spicco del gotha mafioso di quel periodo rimasto da catturare, è Matteo Messina Denaro.
Paolo Borsellino capisce immediatamente, già sul cratere dell’attentato di Capaci di essere lui il prossimo bersaglio di Cosa Nostra. Si prepara allora a subire questo sacrificio, ma non vuole rimanere inerte e allora comincia a fare ciò che gli riesce meglio, inizia a indagare. Riempie di appunti la sua famosa agenda rossa, ascolta pentiti e collaboratori di giustizia, vuole capire perché la mafia ha deciso di reagire in quel modo cruento, plateale che non è certamente nei costumi di quell’organizzazione criminale.
Non aveva evidentemente compreso che invece si era avviato quel periodo delle stragi e degli attentati di cui lui stesso sarà vittima e che continuerà con gli attentati dinamitardi di Roma e Firenze. Ormai era guerra senza esclusione di colpi da parte della mafia, in particolare dell’area stragista dei corleonesi capeggiata da Totò Riina contro lo Stato e i suoi rappresentanti. Uccidere Paolo Borsellino, a così poca distanza dalla morte del suo amico Giovanni Falcone, nella mente di coloro che avevano pianificato, organizzato e portato a termine gli attentati significava mandare questo preciso messaggio allo Stato: fermatevi con le vostre indagini, avete oltrepassato ogni limite consentito e siamo pronti a tutto pur di continuare a fare i nostri affari illeciti indisturbati.
Per fortuna questi due attentati hanno prodotto l’effetto inverso, hanno risvegliato le coscienze di tutti i siciliani onesti e non, si sono consolidati i due elementi portanti della lotta alla mafia: la condivisione delle informazioni e il sostegno dell’opinione pubblica. Certamente, ci sono stati ancora attentati dinamitardi con danni enormi a strutture architettoniche e di rilievo artistico/storico con ulteriore uccisione di persone innocenti, ma anche una reazione a catena di tutti gli apparati investigativi dello Stato, che hanno raggiunto una sequela di successi che non aveva avuto mai simili precedenti nell’atavica lotta alla mafia.
Dobbiamo essere grati a Paolo Borsellino così come a Giovanni Falcone e ai rispettivi componenti delle loro scorte, perché senza il sacrificio delle loro vite, senza il loro esempio di coraggio, oggi continueremmo a vivere in un'Italia oppressa dal fenomeno mafioso, che pure non è stato sconfitto del tutto, ma, sicuramente, molto ridimensionato, quindi è giusto ricordare oggi, e farlo sempre in ogni anniversario, questo grande uomo, questo magistrato che è andato incontro alla morte pur essendo consapevole della condanna pendente sul suo capo, ma non ha arretrato minimamente dando a tutti, soprattutto, alle generazioni che sono venute dietro la sua morte, un grande esempio di servizio allo Stato.