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Scritto da Redazione
Rubriche
31 Gennaio 2020

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Il tempo si è fermato nel mondo senza pace di Elena Ceste. Ha bloccato le lancette di quei giorni colmi di angosce e spaventi. Nulla sarà mai come prima ma forse quel nulla incarna il riflesso di Costigliole d’Asti, terra misteriosa ed incatenata nei suoi lunghi silenzi.

Cari lettori, torno nuovamente sulla scena di un crimine che continua a  spaccare l’Italia. Una di quelle tragedie che spezzano cuore e vita e che non si stancano mai di far parlare di sé. Torno a parlarvi di Elena Ceste e di Michele Buoninconti. E torno a parlarne perché forse saranno i protagonisti inconsapevoli di  una pagina nuova della storia del crimine del nostro Paese.

Ormai mi conoscete da quasi due anni. La mia rubrica talvolta unisce, talvolta divide. Non sono un mistero le continue minacce che ormai pervadono la mia bacheca social e la redazione del mio giornale. Questa stessa mattina ho ricevuto nuove intimidazioni. Intimidazioni di soggetti che minacciano “di presentarmi il conto”, di “tenermi d’occhio” perché ho “osato” rivelare aspetti o raccontare episodi che dovevano rimanere nascosti nei meandri del tempo. Siamo in Italia, ormai non mi stupisco più. Siamo abituati a capi ultras che si contendono la scena. E purtroppo non soltanto negli stadi. Oramai, chi segue il crimine, ti chiede : “ma tu, sei innocentista o colpevolista?”. È la nostra realtà e tentare di combatterla produce lo stesso effetto di Don Chisciotte contro i mulini a vento. Per questo non intendo ridurre questo numero della mia rubrica ad una sorta di volantino “pro questo” o “pro quello” (al massimo “pro reo”). Non un baluardo innocentista o colpevolista. Voglio soltanto farvi indossare gli occhiali del giurista per ripercorrere a ritroso una drammatica vicenda.

 Lui è Buoninconti Michele. Lei è Ceste Elena. Il primo è stato condannato a trent’anni di carcere per l’omicidio della seconda. E come più volte ho cercato di sottolineare la sua condanna non può dirsi, a mio avviso, affermata al di là di ogni ragionevole dubbio. Ho già avuto modo di raccontarvi il perché ma, per spiegarvi cosa accadrà la prossima settimana, voglio ricapitolarne i tratti salienti. 

L’art. 533 c.p.p è a mio avviso la cosa più bella e più alta che il nostro ordinamento giudiziario ci riconosca.  Oltre al ragionevole dubbio, però, c’è un altro principio fondamentale espresso dal brocardo latino “in dubbio pro reo”: nelle situazioni di incertezza, nelle quali non è possibile attribuire con certezza un fatto criminoso all’imputato, il giudice deve privilegiare la tutela di quest’ultimo.

Prima di parlare della posizione del Sig. Buoninconti voglio portare l’attenzione su alcuni elementi che non sono mai arrivati agli onori (o agli oneri) della cronaca. L’ho detto. Non è un baluardo innocentista, ma nemmeno colpevolista. Dunque cosa abbiamo in tavola? Anzitutto una giovane donna che ha lasciato questa terra nel fiore degli anni quando aveva ancora un lungo percorso davanti a sé. Abbiamo una donna che intratteneva relazioni extraconiugali con tre uomini scelti non casualmente (due lontani da casa, uno il padre del compagno del figlio). Abbiamo un messaggio inviato a Gian Domenico Altamura qualche mese prima della sua scomparsa “hai creato in me una violenza psicologica che porta al suicidio. Ti definivi rimbambito per essere gentile. Io provo solo pietà  di fronte al male ho solo la pazienza che mi rende forte e i miei figli che mi danno la vita ” e abbiamo ancora le testimonianze di uno degli amanti e del suo ex compagno Guido Garrone. Entrambi la definivano “sessualmente parlando, molto disinibita, le piaceva l’erotismo. Appariva molto libertina e saltellava da un rapporto ad un altro”.

Ma perché parlare della vita privata di Elena Ceste. Elena forse era vittima di un profondo stato di turbamento emotivo? Sicuramente, anche il parroco del Paese, Don Zappino, aveva ricevuto confidenze dalla donna che “si sentiva sulla bocca di tutti”. Hanno definito Buoninconti un uomo geloso e possessivo. La Ceste una donna succube e non in grado di condurre la propria vita a causa della presenza ingombrante del marito. Però aveva diversi amanti. Mi sfugge un passaggio.

Non mi stanco neppure questa volta di ripeterlo: non abbiamo una causa di morte. E questo è agli atti:  “I medici legali dott. Romanazzi e dott.ssa Maria Gugliuzza, pur precisando che lo stato dei resti, che non presentavano lesioni ossee evidenti, non era tale da evidenziare con certezza la causa della morte, erano tuttavia pervenuti alla conclusione di attribuirla ad asfissia non avendo concreta possibilità di essere sostenuta ogni ipotesi alternativa”. (pag. 10, sentenza Corte D’Assise d’ Appello di Torino). Dunque, nessuna evidenza scientifica depone per la causa di morte di Elena Ceste. Per esclusione, però, questa viene ricondotta all’azione omicidiaria di Buoninconti.

Altro aspetto fallace di tutta la faccenda è il mancato espletamento di analisi tecnico-scientifiche, in specie quelle genetiche. Se la causa di morte è ignota, perché non tentare di isolare tracce biologiche? Ai posteri l’ardua sentenza. Ai posteri non tanto. Il prossimo 4 febbraio presso l’Università di Tor Vergata di Roma si svolgeranno le analisi proprio dei campioni di materiale biologico rinvenuto nel cortile adiacente all’abitazione Ceste/Buoninconti dal Dott. Eugenio D’orio, consulente tecnico del secondo. Trattandosi di accertamenti potenzialmente irripetibili, la difesa ne ha dato avviso alla Procura ed alle parti offese, invitando questi a prendervi parte, coadiuvati dai rispettivi consulenti. Si cercano nuove prove, quindi, affinché il condannato possa esercitare – come in tal senso ammette il codice di rito – il mezzo di impugnazione straordinario della revisione. Esso, chi opera nel settore dovrebbe ben saperlo, è esperibile senza limiti di tempo e presuppone che vi sia una vicenda processuale già conclusasi con un giudicato. Il dottor D’orio, oltre a ribadire l’importanza di indagare elementi mai analizzati durante le indagini, ha dichiarato: “L’avviso alla Procura ed alle parti offese, oltre ad essere imprescindibile per la prevedibile irripetibilità degli accertamenti, era doveroso per garantire quel contraddittorio tra le parti che il codice di procedura penale mira a garantire.  Quanto al resto, io credo molto nella scienza e nel supporto che questa può dare in sede di indagine. E come tutta la mia squadra, mi auguro che possa affermarsi tanto anche per il caso Ceste Buoninconti”.

Tirando le fila, la verità non ha mai paura della menzogna e quindi presenterà irrimediabilmente presto il suo conto.

Nella foto la criminologa Anna Vagli

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