Caro direttore,
lungi da me entrare nel complesso problema della iniziativa/progetto della Fondazione sulla ex Manifattura tabacchi. Non ne ho titolo né conoscenza sufficienti.
Colgo invece l’occasione per esprimere una opinione su un problema che affligge da decenni lo sviluppo della economia italiana (Lucca compresa).
Nel progettare investimenti complessi l’operatore dispone di una serie di elementi che definirei “statici”, (non certi: in economia di certo non c’è quasi niente, per questo si chiama “rischio di impresa”), ne cito solo alcuni: il luogo dove investire, la stima dei costi dell’investimento, la domanda di mercato potenziale o reale (cliente già acquisito) che ripaghi l’investimento, la vendita /affitto del bene, una joint venture con soggetti economici sinergici o quanto meno omogenei, la disponibilità dei mezzi finanziari (se dispone dei soldi o se deve cercarli nel sistema del credito o sul più ampio mercato finanziario), la convenienza ad investire in quel progetto o in altri che diano prospettive di maggior reddito o di minori rischi o di più rapido raggiungimento del ROI ( che significa il tempo in cui gli torna indietro il denaro investito e da quel momento comincia a guadagnare).
È un mestiere complicato che richiede competenza, propensione al rischio, voglia di fare: sarebbe più semplice per tutti tenere i soldi sotto il materasso o in BOT, o in altri strumenti finanziari, ma in tal caso non ci sarebbero nuovi investimenti provocando l’arresto dello sviluppo anche sociale oltreché tecnico: per esempio la ex Manifattura tabacchi o sarebbe ancora tale (continuerebbe a lavorare tabacco) oppure il rudere che è diventata continuerebbe a deteriorarsi per l’usura del tempo e dell’incuria, che è un atteggiamento tipico della gestione pubblica dei beni che le sono affidati: tutti decadenti, spesso rifugio e sede della umanità meno virtuosa, anzi diciamo pure delinquenziale (autoctona ma ormai ancor più immigrata). Ne vedi a decine di questi ruderi indecenti affidati al cinismo e alla indolenza del pubblico, tutto regole e cartebollate ma neanche un mattone rimesso al suo posto.
In Italia si aggiunge un altro aspetto critico: il tempo.
Chiunque, anche quando ha voluto rifarsi il bagno di casa, ha dato nasate contro il muro della burocrazia.
Quando devi fare investimenti importanti hai un bel disporre dello schema del BEP e del BET o applicare il diagramma di Gantt, o usare gli altri tecnicismi di cui ti faccio grazia. La burocrazia italica ti mangia vivo, fingendo di non sapere che sul libero mercato, sempre più esiguo in Occidente, il tempo è fattore critico: un investimento diventa una opportunità a determinate condizioni: che cosa me ne faccio di una concessione edilizia se non ho più il cliente?
Il tempo è un fattore critico della gestione di impresa più dei soldi e della competenza: su questi puoi più o meno agire, sul tempo non puoi farci niente: lo vedi infrangersi sulle scrivanie degli infinti uffici pubblici che decidono quando vogliono, in un labirinto di norme e di prassi che sembra il gioco dell’oca: di tanto in tanto torni alla partenza senza passare dal via.
Nel caso mi sembra di aver capito che Fondazione ha un cliente che sembra di notevole credibilità e consistenza, opera (anche) nel segmento finanziario in piena armonia con la cultura storica della città e per di più ha incorporato una eccellenza lucchese. A sua volta ha un proprio progetto legato al tempo. Se il progetto lucchese va fuori dai tempi del suo progetto, lo abbandona. Mi pare di capire che ormai siamo vicini al limite.
A ritardare l’opera si aggiungono spesso le argomentazioni di singoli o di gruppi locali che non la condividono o non ne condividono la destinazione: espongono motivazioni specifiche, qualche volta romantiche o di solo impulso interdittivo. Quando non si tratta di gruppi di pressione utilizzati da concorrenti o da ideologie politiche (come i NO TAV): non mi sembra questo il caso.
Dai toni che leggo mi sembra invece che le voci di dissenso interpretino perplessità reali di una parte della cittadinanza.
Per esempio invitano (e lo fai anche tu) la Fondazione a proseguire con le operazioni finanziarie che le hanno consentito anno dopo anno di essere la maggior fonte di erogazione di benefici sul territorio allargato.
Ma, per erogare benefici bisogna che la gestione del patrimonio dia un reddito.
Dico di mio, ignorando totalmente l’attività operativa della Fondazione, che la finanza ha un tasso di rischio sempre più elevato e sempre meno remunerativo (i tassi sono da tempo in caduta libera, interi settori economici stanno frantumandosi in questi mesi, la certezza della ripresa è rimandata, l’economia si prospetta fragile ed offre sempre minori prospettive di successo e sempre più elevati livelli di rischio).
Avessi io il pesante compito di gestire patrimoni comuni mi orienterei su investimenti solidi, sotto casa e quindi più agevoli da gestire, con clienti certi e redditività almeno parzialmente prevedibili, offrendo alla città una buona occasione di business e di occupazione, che costituisce di per sé una erogazione di benefici al territorio.
Lascio da parte la politica che sembra giocare ruoli a sé stanti, con soggetti spesso inidonei ad affrontare problematiche che vadano oltre il cortile di casa, oltre il cappuccino della mattina. Il capitolo sarebbe troppo lungo e doloroso.
Non faccio il tifo, ma ritengo che o la Fondazione riesce a realizzare il progetto oppure cercherà altre opportunità di investimento. Temo invece che Lucca, non avendo progetti alternativi, si terrà per altri anni un inutile contenitore sempre più deteriorato.