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Alla soglia dei cinquant’anni mi sarei aspettata di tutto, meno che sentirmi addosso un costante senso di angoscia interiore per come sta evolvendo il mondo.
Nata e cresciuta in un’epoca in cui si viveva con poco e si gioiva di quello che avevamo, dove si lottava per farsi le ossa e diventare adulti, dove si poteva pensare e parlare senza che nessuno ti si avventasse contro, mi ritrovo oggi a dover reprimere molti dei miei pensieri o tutt’al più condividerli soltanto con chi la pensa come me. Perché l’epoca del contraddittorio, dello scambio costruttivo è finita. Probabilmente da molto tempo, di sicuro a partire dal febbraio 2020 con l’inizio della pandemia e delle restrizioni psicologiche, fisiche, intellettuali cui tutti siamo stati sottomessi e che tutti, salvo pochi, hanno accettato sommessamente.
Faccio fatica ad essere me stessa..
Le occasioni di socialità, onestamente, le ho ridotte al lumicino, ma non per paura di contrarre il covid quanto proprio di correre il rischio di lasciarmi andare e dire come la penso su moltissime questioni.
Sono sempre stata abituata a farmi delle domande, a pormi dei dubbi, ad informarmi se qualcosa nella mia testa non torna come dovrebbe, ma oggi non si può più fare, bisogna essere allineati al mainstream.
E se due anni di chiusure, mascherine e vaccini ci hanno messi gli uni contro gli altri, oggi c’è l’invasione dell’Ucraina ad opera della Russia. Domani ci sarà l’imposizione del credito sociale di importazione cinese e dopo domani ci sarà qualcos’altro.
Oramai l’uomo pensante, l’uomo libero non esiste più. E se tornerà a vivere non accadrà sicuramente in tempi brevi e senza prima passare da un lungo periodo di privazioni e sofferenze.
Perché l’essere umano è così, non riesce a non mettersi in competizione per troppo tempo, soprattutto se da una parte ci sono interessi ghiotti come denaro, potere, manie di arrivismo, e dall’altra persone che per fatica, inedia, incapacità e paura prendono per vero qualsiasi storiella venga loro raccontata.
Io non ho la ricetta per uscire da questa impasse collettiva. Anche perché se in gioventù ho provato a cambiare qualcosa e non ci sono riuscita perché tutti avevano da perdere, figuriamoci ai giorni nostri dove c’è il rischio tangibile di ritrovarsi radiati dalla società semplicemente per pensarla diversamente dalle masse imbambolate.
Erano gli anni 2011/2012 quando con l’amico Lorenzo Lucatelli a Lucca, la nostra città, aprimmo una pagina Facebook dal nome “Portiamo le chiavi delle nostre aziende a Roma”.
Ricordo che uscimmo sui quotidiani locali, addirittura fummo intervistati da una emittente per promuovere quella che, a parer nostro, avrebbe dovuto rappresentare una partenza, un tentativo di riscatto per le nostre imprese subissate dallo Stato. Ovviamente l’inizio della “rivolta” sarebbe stata Lucca, una piccola realtà toscana, ma attraverso Facebook e con un po' di fortuna eravamo convinti di portare davvero una valanga di chiavi a Roma in segno di protesta.
Niente di più sbagliato. Perché al momento di “partire” in pochissimi ci hanno seguito. Tutti avevano qualche interesse da sacrificare e metterci la faccia era troppo rischioso. Da qui io e Lorenzo desistemmo e, delusi, proseguimmo le nostre vite.
Oggi, anno 2022, nulla è cambiato da allora. Anzi siamo alle soglie del terzo conflitto mondiale, ci facciamo la guerra gli uni contro gli altri mentre i potentati si sfregano le mani. Rischiamo di rimanere al freddo, senza cibo, senza lavoro, ma nel frattempo che facciamo?
Nulla. E mai nulla faremo. Perché l’indole dell’ “italiano medio” è questa.
Bugna, si lamenta, sbuffa, si dibatte, ma nel contempo programma le vacanze in Sardegna, la settimana bianca sulle Dolomiti e si inchioda per comprare la borsetta o le scarpe firmate.
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Per le giovani generazioni non è sempre facile trovare lavoro. Si sente dire ogni giorno quanto sia complicato, per chi si trova ad affacciarsi per la prima volta su un mercato reso sempre più complesso e articolato da contratti a tempo, collaborazioni sottopagate e ritmi disumani, riuscire a diventare economicamente autonomi. Una realtà – ahinoi! – spesso vissuta da quegli stessi giovani come una normalità comunemente accettata. Poi ci sono quelle persone che non ci stanno, che si mettono in gioco e rischiano tutto per fare quello che amano, che se il mondo gli dice che non c'è posto per loro quel posto se lo creano da soli. È una di queste persone Nico Venturi, il giovane giornalista che, dopo aver preso il tesserino nel 2017, scrivendo per La Gazzetta di Lucca, ha trovato lavoro come addetto stampa per poi decidere, proprio durante il primo lockdown, di crearsi da solo il proprio futuro dando vita a Wally Communication (https://wallycommunication.com/) una giovane e vivace agenzia di comunicazione e marketing.
Un desiderio, quello di lavorare nel mondo della comunicazione, maturato spontaneamente nel tempo: “Durante il secondo anno di università – racconta Venturi – ho chiesto di poter anticipare di un anno lo stage curricolare. Tra le attività convenzionate c’era la possibilità di un tirocinio a La Nazione di Lucca e fu proprio lì che cominciai il mio percorso nel settore. Alla fine delle 500 ore di progetto non c’era, però, la possibilità di rimanere nella redazione. Questa prima esperienza, intanto, mi aveva permesso di vedere più chiaramente che cosa volevo fare nel mio futuro e sicuramente avrei voluto scrivere. Per continuare a farlo, quindi, mi venne indicato un annuncio con cui Aldo Grandi cercava nuovi collaboratori per la Gazzetta di Lucca. Mi feci avanti, partecipai a una giornata di colloqui organizzata dal giornale e da lì a poco mi ritrovai a seguire sopralluoghi e conferenze. Gli anni con le Gazzette sono stati un’esperienza positiva e altamente formativa alla quale mi sento legato”.
Un legame e una stima che hanno portato lo stesso Venturi a incentrare la propria tesi di laurea triennale in Scienze della Comunicazione proprio sul quotidiano online con un testo dal titolo “Le Gazzette: un fenomeno unico di giornalismo e marketing”. Un affetto che emerge anche nel suo descrivere le Gazzette come un ambiente che ti responsabilizza e che, buttandoti nella mischia, ti costringe a crescere: “I primi tempi mi capitava di seguire ogni cosa, poi, scoprendo la mia passione per il calcio, Aldo mi indirizzò sulla Lucchese. Per due anni ho seguito la squadra in toto, dalle conferenze alle partite, ed è stata una fase formativa incredibile che ritrovo ancora oggi nel lavoro che faccio e che mi ha permesso di creare legami, capire meglio le dinamiche e le modalità di questo mestiere”.
Una volta preso il tesserino, poi, per il neo giornalista è arrivata la possibilità di lavorare come addetto stampa per il Pontedera Calcio: “Nel 2017 ho colto questa offerta – spiega – che mi ha permesso di passare dall’altro lato della scrivania continuando a fare ciò che mi piace: scrivere. Lì ho potuto subito mettere a frutto tutto quanto appreso ricordandomi come era stare dall’altra parte del tavolo e quali erano le cose che avrei voluto che gli addetti stampa facessero o non facessero quando mi presentavo come giornalista”.
Fare ogni giorno qualcosa di diverso, essere dinamico, vivere ogni giornata lavorativa con energia senza che la quotidianità si appiattisca è un obbiettivo che in molti si prefissano e che ha spinto Nico, durante il primo lockdown del 2020, a farsi coraggio e lanciarsi in una nuova e incerta avventura per costruire lui stesso, con le sue sole forze, quel futuro, quel lavoro che desiderava. È nata da questa spinta l’agenzia di comunicazione di cui è fondatore e che a giugno compie già due anni: “Il lockdown del 2020 per me ha costituito un importante momento di riflessione – ammette – si era fatto forte il desiderio di ottenere un’indipendenza economica e di poter fare il mio lavoro a tutto tondo mettendo in gioco la mia intraprendenza e la voglia di stare sul pezzo. È nata così Wally, l’agenzia di comunicazione e marketing che porta il nome della mia bisnonna, che gestisco e che nel tempo ho saputo far crescere insieme con altri collaboratori”.
Oltre al Pontedera Calcio, tra i clienti dell’azienda si trovano anche il Tau Calcio, s.e.p.i., una società di riscossione di Pisa, e altre realtà. L’azienda è specializzata in comunicazione a tutto tondo: oltre alla parte di ufficio stampa e rapporto con i giornali, infatti, offre servizi di marketing online e realizzazioni grafiche.
“Il bello di aver collaborato con il giornale – spiega – è stato il fatto di aver potuto toccare con mano un quotidiano indipendente da ogni influenza politica ed economica. Per la mia crescita è stato fondamentale poter vedere al lavoro un giornalista libero di dire quello che vuole come Aldo. È una persona che ti forma e che ti dà fiducia non solo perché ne ha bisogno, ma perché dimostra di ricordare cosa vuole dire essere gli ultimi arrivati che devono crescere e scoprire questo mestiere. Oggi mi sento realizzato e libero e questa libertà me l’ha insegnata Aldo”.