Sfollati, sinistrati, rastrellati, lavoratori coatti, ma anche renitenti alla leva, ebrei, oppositori politici... Non c'è stata categoria, tra le tante prodotte dal secondo conflitto mondiale, e segnatamente nell’annus horribilis, settembre ’43 - settembre ‘44, che non abbia conosciuto l'intervento materiale, concreto della Chiesa lucchese e delle sue organizzazioni, del suo clero e delle sue parrocchie impegnati allo spasimo per alleviare i disagi e le sofferenze causati, non dimentichiamolo mai, dalla guerra voluta dal governo fascista. E allora le canoniche e le sagrestie si sono aperte per accogliere e nascondere: uno sfollato, uno sbandato, un prigioniero alleato in fuga, un ebreo in cerca di salvezza. Un partigiano... Opere di carità cristiana, certo, ma che finivano per assumere anche un chiaro significato politico.
Come faceva la gente a non mettere a confronto coloro che avevano imposto la guerra e tutti i dolori e i lutti che ne erano seguiti, con quanti cercavano di alleviare queste sofferenze? Come si poteva restare equidistanti tra i fascisti e i nazisti che rastrellavano gli uomini per mandarli al lavoro forzoso e coloro che i rastrellati li sfamavano e i ricercati li nascondevano?
La Chiesa di Lucca, le sue donne e i suoi uomini non potevano essere dalla stessa parte delle SS e delle Brigate nere. E infatti è stata larga e fitta la rete di solidarietà che si è costituta intorno alle parrocchie. E quando le istituzioni civili si sono sciolte come neve al sole, sono stati i preti, i soli rimasti al proprio posto: il prete, per vocazione l'annunciatore della parola di Dio, ha incarnato spontaneamente la coscienza del popolo. E questo è accaduto per i parroci di campagna, i giovani sacerdoti appena usciti dal seminario, i pastori delle piccole comunità che si sono fatti carico del popolo sofferente e spaventato per essere "tutto a tutti". Hanno vestito gli ignudi e dato da mangiare agli affamati, confortato i dolenti e nascosto i perseguitati di tutti i tipi, senza chiedere di appartenenze ideali, culturali, politiche, religiose... Un contributo alla vita oltre che alla fede. È al parroco, infatti, che si ricorre per cercare rifugio, per domandare un pezzo di pane, per sollecitare la difesa dei più deboli, per ricevere conforto, per avere soccorso quando il corpo è stato straziato dalle armi. E la parrocchia diventa quasi naturalmente il luogo dove ci si ritrova per unire le forze, per recuperare insieme il coraggio, per organizzarsi, per ricostruire la comunità civile che il fascismo ha cercato di schiacciare. Gli stessi uomini di Salò sono stati costretti ad ammettere che "giornali, propaganda e radio della Repubblica Sociale non possono nulla contro le migliaia di parroci che ci sono contrari".
Le hanno praticate tutte le opere di Misericordia, questi poveri servi di Dio! E per il loro coraggio disarmato, per la loro mite coerenza, hanno pagato un prezzo alto, altissimo... E il primo a testimoniare il Vangelo con il proprio sangue è stato don Aldo Mei in una tarda e calda serata dei primi giorni agosto. Il primo di una lunga lista: quel povero corpo, sporco di terra impastata di sangue, offeso nella sua integrità, abbandonato per ore alla vista dei passanti è stato un esempio terribile, feroce, sanguinoso per intimidirli tutti, i preti. Per farli rinchiudere confusi, turbati, spaventati, nel silenzio delle canoniche, nell'ombra delle sagrestie; per ridurli all'adorazione di un Cristo disincarnato e lontano dalla vita delle donne e degli uomini loro affidati per proteggerli e consolarli in un tempo buio, impietoso, disumano.
Tutta "santa", dunque, la Chiesa di Lucca? Certo che no! Alcuni sacerdoti, pochi per la verità, non seppero vedere e non colsero la vera anima del popolo, non si resero conto di dov'era Cristo: fuggirono o si misero d'accordo coi carnefici. La stragrande maggioranza dei sacerdoti, però, capì "i segni dei tempi" e quando l'ingiustizia e la violenza imposero una scelta, essi furono pronti a rischiare e a morire. Sì, la maggioranza del clero lucchese anche nei momenti più cupi di quella terribile estate è rimasto col gregge e non lo ha lasciato in balia dei lupi. È merito suo se ancora oggi, a ottant’anni di distanza, ogni prete può volgersi sereno dall'altare e insegnare, contro ogni violenza che ritorna, i grandi valori dell'amore, della giustizia, della libertà che rendono la vita degna di essere vissuta.
È stata una resistenza senz'armi, quella della comunità lucchese. Mite, non violenta, ma tenace. Così è riuscita a scompaginare, disorientare, ritardare l'ultrapotente macchina da guerra tedesca. Non guerrieri per vocazione né per scelta, i Lucchesi siamo stati trattati con disprezzo dai "totenkopf", gli adoratori nazisti della morte... Invece, il bene da loro praticato ha generato altro bene. Perchè un qualunque gesto di carità, di compassione non è mai vano. Il bene porta sempre un esempio. Viene recepito, provoca, infiamma... Sparge la sua forza ovunque, si trasmette dagli uni agli altri, è una cosa semplice, ma indimenticabile. Compete a tutti. Perché nostro compito oggi è quello di provare, insieme, a ricomporre la trama, allora inizialmente esile poi sempre più fitta e robusta, di un tessuto civile fatto di libertà e giustizia, rispetto e reciproca tolleranza. E di pace, fatto soprattutto di pace, visti i tempi calamitosi, in Europa e nel mondo, che stiamo attualmente vivendo.
Mercoledì 7 agosto, alle 18:30, in San Martino, il cardinale Matteo Zuppi, arcivesovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, concelebrerà una messa in cattedrale e inaugurerà una lapide che ricorda il sacrificio di ben 28 religiosi ammazzati da nazisti nel '43 / '44.