Tutto il Medioevo, dieci secoli di storia, è percorso da una robusta vena antifemminile. Tanto per fare un esempio, il santo benedettino francese Oddone di Cluny (879 - 942) nelle sue Meditationes si interroga su come mai quanti rifiutino di toccare gli escrementi o la materia purulenta che promana da una piaga, possano poi desiderare di baciare quel “sacco di sterco” rappresentato dalla donna.
Sant’Oddone ci va giù pesante e non è il solo
Così, per esempio, alla fine del mondo antico, si esprime san Girolamo, il padre di tutti gli spregiatori del sesso femminile: “La donna è la porta del demonio, la via della perfidia, l’aculeo dello scorpione, insomma una cosa pericolosa”. Un concetto ribadito tre secoli più tardi da un altro santo, Tommaso d’Aquino, sempre lui: “la donna fu creata per aiutare l’uomo, ma solo nella procreazione… giacché in ogni altra opera l’uomo trova in un altro uomo un aiuto migliore che in una donna”.
Nel disprezzo misogino non sono da meno i letterati laici. Per Cecco d’Ascoli la donna è una “Insanabil piaga” dell’uomo, “tossico dolce, putrida sentina,/ arma di Satanasso e suo flagello,/ pronta nel male, perfida, assassina,/ lussuriosa, maligna, molle e vaga”, mentre un Giovanni Boccaccio, ormai anziano e stanco, immemore delle straordinarie figure femminili del Decameron, nel senile Corbaccio non si controlla più e allenta tutti i freni inibitori: “niuno animale è meno netto di lei; non il porco, qualora è più nel loto coinvolto aggiugne alla bruttezza di loro; e se forse alcuno questo negasse, ricerchinsi i luoghi segreti dove esse, vergognandosene, nascondono gli orribili strumenti, li quali a tor via li loro superflui umori adoperano”.
“Animale prodotto a sorte e per caso, o almeno contra il volere della natura”, creatura bizzarra intrisa di umori, “naturalmente è umida ciascuna/ e l’umido la forma non conserva (Cecco d’Ascoli), e quindi libera e mutevole, uomo mancato, libidinosa assai e assai più del maschio, la donna rappresenta la vexata quaestio dell’intero Medioevo dalla fine del mondo antico sino all’emergere degli studia humanitatis. Quasi mille anni di storia ruotano e soffrono attorno a un irrisolto problema femminile: un’intima schizofrenia, ben espressa, come spesso accade, da un poeta, Francois Villon (1431 – dopo il 1463) e dalla sua acuta, lacerata sensibilità per il corpo femminile tra attrazione e ripulsa, fascinazione e orrore:
Chi siete mai ora, liscia fronte,
capelli biondi, ciglia inarcate,
occhi spaziati, vezzose occhiate,
i più accorti a vincere pronte,
bel naso di linea perfetta,
e le piccole orecchie aderenti,
il dolce, chiaro viso, a fossetta
il mento, e quelle labbra ardenti?
Minute spalle graziose,
lunghe braccia, mani delicate,
piccoli seni, anche carnose,
alte, giuste, ben appropriate
a sostenere lizze amorose;
le reni larghe, e quel fichino
tra cosce salde, maestose,
nel suo minuscolo giardino?
Fronte rugosa, capelli grigi,
sopraccigli radi, occhi spenti,
che mandavano sguardi e sorrisi
e attiravano molti clienti;
naso ricurvo, beltà passata!
Orecchie pelose, pendenti,
faccia spenta, smorta, sbiancata,
mento grinzoso, labbra cadenti; […]
Irrimediabilmente misogina l’Europa medievale che muove verso la riscoperta della humanae litterae, un aspetto della mentalità collettiva tanto permanente nel tempo quanto largamente diffuso. Lo storico Jean Delumeau riporta che ancora nei secoli XV – XVII “su dieci proverbi francesi relativi alle donne, in media sette le sono ostili”. Infingarde, le donne (La donna si lagna, la donna si duole, la donna è malata quando vuole); avide e dissipatrici (Le donne non amano che i rubini o anche Tutto ciò che un uomo ara, la donna divora); querimoniose (Ogni momento il cane piscia e la donna piange); inutilmente ciarliere (Due donne fanno una disputa, tre fanno un gran cicaleccio, quattro un gran mercato); inaffidabili (La donna è banderuola che si cambia e muta sovente); litigiose (Chi ha moglie, ha disputa). Tutti difetti che le predispongono a essere degradate ad animale (Il cervello delle donne è fatto di creme di scimmie e di formaggio di volpe) o, addirittura, equiparate al demonio. Si rammenti il diffusissimo La donna ne sa una più del diavolo, oppure Dite una sola volta a una donna che è graziosa, il diavolo glielo ripeterà dieci volte, senza dimenticare che Le donne sono angeli in chiesa, diavoli a casa e scimmie nel letto. È su questo retroterra di accuse lapidarie e pregiudizi, maldicenze e luoghi comuni che crescerà la mala pianta della caccia alle streghe: un’allucinazione collettiva, una malattia sociale, la demonopatia che intossicherà per oltre due secoli la coscienza europea, equamente distribuita tra mondo cattolico e protestante. Equiparate agli eretici, a partire dagli anni del Rinascimento, centinaia di migliaia di donne incolpevoli, accusate di colpe risibili, subirono una sistematica persecuzione che per crudeltà e accanimento può essere annoverata tra le vicende più efferate e sinistre nella storia dell’intolleranza e delle deviazioni dello spirito umano.