Ana Maria De Jesus Ribeiro nasce il 30 agosto 1821 nello Stato di Santa Caterina nell’estremo sud del Brasile. È la terzogenita di dieci figli di una famiglia contadina povera e, proprio per emanciparsi da una condizione di estrema indigenza, a soli 14 anni va in moglie a Manuel Giuseppe Durante de Aguiera, calzolaio: una convivenza, secondo i biografi, destinata a durare poco tempo.
Ana, detta Anita, conosce Garibaldi quando lei ha 18 anni e lui, già oltre la trentina, è impegnato a guidare le truppe farroupillas, ‘straccione’, e repubblicane del Rio Grande del sud in lotta per la propria indipendenza dall’impero brasiliano. Così il Generale racconta l’incontro: Entrammo, e la prima persona che si affacciò al mio sguardo era quella il cui aspetto mi aveva fatto sbarcare. Era Anita! … La salutai finalmente, e le dissi: “Tu devi essere mia!” Parlavo poco il portoghese, ed articolai le proterve parole in italiano. Comunque io fui magnetico nella mia insolenza. Avevo stretto un nodo, sancita una sentenza, che solo la morte poteva infrangere. Io avevo incontrato un tesoro proibito, ma un tesoro di gran prezzo. Tra i due giovani è amore a prima vista: il 16 settembre 1840 nasce Menotti Domingo, mentre il matrimonio tra Ana e Giuseppe viene celebrato nella chiesa di San Francesco a Montevideo, il 26 marzo 1842. Garibaldi è così povero da non avere neppure i pochi spiccioli richiestigli dal prete per la celebrazione del sacramento. Scrive Giuseppe Guerzoni, tra i più accreditati biografi del Generale: Garibaldi dovette levarsi di tasca l’orologio d’argento, ultimo scampolo di un lungo naufragio, e consegnarlo al degno Ministro di Cristo in pagamento della sua benedizione. Sempre nella capitale uruguaiana, nel 1843 viene al mondo Rosita, che morirà ad appena due anni. Nel 1845 vede la luce Teresita e nel 1847 Ricciotti.
Nel 1848 Anita e i figli seguono Garibaldi di ritorno in Italia. La famiglia si sistema a Nizza, ma Anita non sopporta a lungo la separazione dal marito e lo raggiunge a Roma nel febbraio 1849. In aprile riparte per Nizza per rivedere i figli e nel mese di giugno rientra fortunosamente in città nonostante l’assedio francese. Intanto, mentre la situazione della Repubblica Romana accerchiata da ogni parte si fa sempre più disperata, procede la sua quinta maternità. Uscita da Roma a cavallo, il 2 luglio 1849, insieme al marito e a circa 4000 combattenti repubblicani, Anita partecipa al disperato tentativo di Garibaldi di raggiungere Venezia, ultimo baluardo della resistenza italiana ed europea al ricostituito potere austriaco. Con l’incoraggiamento di reazionari e moderati, preti, austriacanti e borbonici, ben quattro eserciti, per un totale di 65.000 uomini in armi, danno la caccia alla colonna garibaldina che fame, diserzioni e agguati contribuiscono progressivamente a decimare. Anita sta male: alle sofferenze della sua quinta gravidanza si aggiungono le fatiche della fuga, gli strapazzi e una febbre malarica probabilmente contratta da Anita nella Campagna romana in uno dei suoi pericolosi rientri a Roma. Prima Todi, poi la Repubblica di San Marino, quindi Cesenatico accolgono generosamente i superstiti garibaldini. Qui, nel porto romagnolo, Garibaldi e le 162 camicie rosse superstiti requisiscono sei bragozzi da pesca e tentano di raggiungere Venezia. L’audace iniziativa non riesce. Intercettate le imbarcazioni dalla marina austriaca, Garibaldi e Anita, ormai sfinita e in fase preagonica, si ritrovano in fuga nelle paludi di Comacchio aiutati solo da pochi amici fidati. Anita si spegne intorno alle 16:00 del 4 agosto 1849, 175 anni or sono, alle Mandriole di Ravenna. Sempre il Guerzoni: … appena adagiata in letto, ella chiese con voce semispenta un po’ d’acqua fresca, ne trangugiò alcuni sorsi e spirò, come di colpo, nelle braccia del marito. Non aveva ancora 28 anni.
Un olio su tela del pittore lucchese Luigi De Servi (Lucca 1863 – 1945), Garibaldi e Anita morente, esposto presso il Museo del Risorgimento di Lucca, rende un perenne omaggio, nella Città delle Mura, a questa donna fiera e irriducibile.
Breve commento dell'irresponsabile direttore della Gazzetta: Grazie a Luciano Luciani, coltivatore della storia del nostro Risorgimento e della identità di questo Paese, che ci ha restituito una figura femminile straordinaria.