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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
31 Ottobre 2024

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Addio, mia bella addio!

Per gli italiani che si accingevano ad affrontare la prova terribile e tragica della Grande Guerra risultò naturale rifarsi spontaneamente alla memoria delle vicende risorgimentali, ai suoi eroismi, protagonisti, miti... Questo spiega perché nelle trincee di quell'immane conflitto fanti e bersaglieri, alpini e artiglieri, tornarono a cantare la canzone più popolare che sia stata scritta e cantata da coloro che combatterono nelle guerre dell'indipendenza nazionale: Addio, mia bella addio!

I versi sono di Carlo Bosi, studente fiorentino di giurisprudenza e risalgono alle convulse settimane che precedettero il Quarantotto italiano.

Il primo verso suonava “Io vengo a dirti addio...”, ma il sentimento popolare lo mutò nel più patetico “Addio, mia bella addio!”.

Per la parte musicale il Bosi fece ricorso, riadattandola, a una melodia che già esisteva e circolava da tempo a Firenze. Immediata la diffusione di questa canzone patriottica: il 21 marzo 1848 appena a Pisa furono conosciuti i fatti d'arme delle Cinque Giornate milanesi, non fu possibile contenere l'entusiasmo degli universitari toscani, che per manifestare la loro passione nazionale intonavano dappertutto il testo recente del loro collega fiorentino.

Le parole e la musica di questa canzone patriottica avrebbero, di lì a qualche settimana, accompagnato l'epopea del Battaglione universitario toscano nel nord Italia, a Curtatone, divenendo, in breve tempo, un inno modesto ma efficace a entusiasmare e commuovere.

La ragazza neutrale

Una canzone che si intitola La ragazza neutrale non può che rimandare a quel periodo sospeso tra pace e guerra durato circa otto mesi (estate 1914 – primavera 1915) in cui il nostro Paese vide e conobbe di tutto: bruschi voltafaccia diplomatici; repentine conversioni all'idea della bontà e bellezza della guerra, magari aiutate dai quattrini dell'industria pesante; il recupero strumentale di tante memorie patriottiche; agitazioni della piazza, divisa tra interventisti - una minoranza nel Paese - e neutralisti - la maggioranza -, ma fiacchi, poco convinti e poco determinati.

La ragazza neutrale è l'Italia, che, in un'Europa già a ferro e fuoco, non si fa scrupolo di flirtare con questo o quel pretendente (l'Intesa: Russia, Francia e Gran Bretagna da una parte; gli Imperi Centrali: Germania e Austria-Ungheria dall'altra) per darsi a chi offre di più.

Un tema serio, potremmo dire tragico, trattato con la superficialità propria della belle époque: un mondo destinato a sparire nel fango delle trincee e sotto le bombe dei contendenti.

Le parole della canzonetta sono di un giovane giornalista torinese della “Stampa”. La musica è di un compositore poco noto, Colombino Arona: ancora meno nota la cantante, Giorgetta Goletti, artista di una sola estate o poco più...

Ninna nanna della guerra

Nello scontro tra pace e guerra che divise l’Italia e che vide gli intellettuali giocare un ruolo determinante, non va dimenticata una voce pacifista, certo più mite e sommessa dei versi sonori e retorici dell’eclettico D’Annunzio, nutrita però di valori di pace e tolleranza e di un’angosciata umanità di fronte agli indicibili orrori del conflitto: quella di Trilussa.

Nel 1914 il poeta romano era all’apice della sua fama. Quasi un’istituzione, amato e apprezzato tanto dal popolo quanto dalla borghesia e dall’aristocrazia della Capitale, blandito, e temuto, dai politici, benvoluto dagli intellettuali. Moderno Esopo, la sua arguzia, la sua ironia, la sua popolaresca sincerità, corrispondevano agli umori profondi del senso comune romano e nazionale: alla sua vena moraleggiante e priva di particolari audacie ideologiche attingevano a piene mani comici, intrattenitori, artisti di varietà da Ettore Petrolini a Nicola Maldacea. Insomma, Trilussa apprezzato cantore di un buon senso vernacolo lontano da ogni sdegno e furore, faceva opinione. E a lui si deve una poco nota ma dolente e durissima testimonianza contro la guerra: un testo che avrebbe avuto una significativa diffusione nelle trincee e negli ambienti contrari alla guerra, reso ancor più pervasivo per l'azzeccata partitura di un musicista rimasto anonimo:

Ninna nanna, nanna ninna,

er pupetto vo’ la zinna,

dormi dormi, cocco bello,

se no chiamo Farfarello,

Farfarello e Gujermone

che se mette a pecorone,

Gujermone e Cecco Peppe

che s’aregge co’ le zeppe…

co’ le zeppe de un impero

mezzo giallo e mezzo nero;

ninna nanna, pija sonno

che se dormi nun vedrai

tante infamie e tanti guai

che succedono ner monno,

fra le spade e li fucili

de li popoli civili.

Ninna nanna, tu nun senti

li sospiri e li lamenti

de la gente che se scanna

per un matto che comanda,

che se scanna e che s’ammazza

a vantaggio de la razza

o a vantaggio de una fede

per un Dio che nun se vede…

ma che serve da riparo

ar sovrano macellaro:

che quer covo d’assassini

che c’insanguina la tera

sa benone che la guera

è un gran giro de quatrini

che prepara le risorse

pe’ li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello,

finché dura ‘sto macello,

fa la ninna, che domani

rivedremo li sovrani

che se scambiano la stima,

boni amichi come prima;

so’ cuggini, e fra parenti

nun se fanno complimenti!

Torneranno più cordiali

li rapporti personali

e, riuniti infra de loro,

senza l’ombra de un rimorso

ce faranno un ber discorso

sulla pace e sur lavoro

per quer popolo cojone

risparmiato dar cannone.

La tradotta che parte da Novara

Esemplato su un canto di miniera di area lombardo/bresciana. Prende spunto, sia per il testo, sia per la melodia da un'altra Tradotta, quella che parte da Torino. Questa, però, assume connotati rivendicativi e di polemica sociale, narrando la triste vicenda di un reduce di guerra, mutilato, costretto a vivere di carità per l'inadeguatezza della pensione assegnatagli.

Ta- pum

È uno dei canti più noti e diffusi della Grande Guerra. L'onomatopeico ta-pum imita il rumore del colpo d'artiglieria e l'eco nella valle. La sua origine risale a un vecchio canto di minatori, nato tra il 1872 e il 1880, durante i lavori di scavo per la realizzazione della galleria ferroviaria del San Gottardo. In quel caso, ovviamente, il ta-pum si riferiva allo scoppio delle mine. Il canto è conosciuto anche con il titolo Venti giorni sull'Ortigara, in memoria di uno sfortunato assalto degli Alpini alla quota 2015 del monte Ortigara, conquistata e poi perduta, nella seconda metà del giugno 1917.

Monte Nero

Nelle prime settimane di guerra, nella notte tra il 15 e il 16 giugno, quattro battaglioni del 3° Reggimento Alpini, con una spericolata azione notturna, occuparono la cima del monte Nero, nelle Alpi Giulie. Fu la prima importante azione militare della guerra e ebbe l'onore di essere riportata dalla stampa internazionale come esempio di brillante azione bellica. Dietro gli elogi della stampa si nascondeva, però, la dura realtà di un prezzo assai elevato in termini di vite umane, morti e feriti.

La tradizione vuole che il canto, Monte Nero, che oggi ritroviamo in tutti i repertori delle corali alpine sia stato scritto e musicato dagli stessi militari superstiti. Quindi, davvero “popolare” perché collettivo, improvvisato e anonimo.

La leggenda del Piave

Unica canzonetta ammessa alle manifestazioni e celebrazioni militari, in un certo qual modo un “inno” entrato nel novero dei canti ufficiali della Patria, risale alla tarda primavera del 1918.

Parole e musica di un modesto letterato napoletano, ancor più modesto compositore: non aveva, infatti, cultura musicale e si limitava a improvvisare sul mandolino, affidando, poi, la trascrizione dei suoi testi a musicisti di professione. Il suo nome era Giovanni Gaeta e il suo pseudonimo E. A. Mario.

Forse fu proprio la semplicità dei versi e della melodia a decretare il successo strepitoso della Leggenda del Piave, la cui quarta strofa risale ai giorni del Bollettino della vittoria.

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