Negli ultimi giorni del settembre di ottant’anni fa, nelle isole Ionie di Cefalonia e Corfù, si consumano gli ultimi atti della più grave tragedia sofferta dall’esercito italiano nel corso del secondo conflitto mondiale: un altro frutto avvelenato dello sciagurato armistizio siglato appena pochi giorni prima. Nella prima isola, presidiata dagli uomini della divisione “Acqui” comandata dal generale Antonio Gandin, la mattina dell’11 settembre, i tedeschi agli ordini del colonnello Barge, chiedono perentoriamente la consegna delle armi italiane entro ventiquattro ore. Ufficiali e soldati della “Acqui” la pensano, però, diversamente e dopo una consultazione che investe tutti i militari - un caso unico nella storia del nostro Esercito - la scelta unanime è quella della lotta contro i germanici. Nel pomeriggio del 15 settembre formazioni di aerei Stukas bombardano le posizioni della “Acqui”, i cui reparti passano comunque all’offensiva: conquistano il monte Thelegrafos, respingono le forze tedesche verso punta San Teodoro e le costringono ad arrendersi. Si scatena, allora, la reazione della Wehrmacht forte di truppe fresche appena sbarcate e di una totale superiorità aerea malamente contrastata: solo poche postazioni di artiglieria contraerea messe a tacere una dopo l’altra mentre scarseggiano le munizioni. Vana l’attesa di aiuti areo-navali Alleati o in un qualche intervento dall’Italia, il cui comando supremo, ormai al sicuro a Brindisi, continua a elargire promesse e inutili elogi. Una situazione disperata vista la sproporzione delle forze.
Il 22 settembre, alle ore 16:00, dopo nove giorni di furiosi combattimenti, gli italiani si arrendono. E inizia la strage che si protrae sino al giorno 24 e oltre. Trattati come “traditori badogliani”, o peggio “franchi tiratori” da fucilare sul posto, i nostri soldati subiscono dall’ex alleato la pratica bestiale delle esecuzioni di massa - già ferocemente esperita dalla Wehrmacht nei Paesi dell’est Europa - che non risparmia i feriti e gli ufficiali: anzi su questi si infierisce con maggiore crudeltà. Innumerevoli gli esempi di coraggio: il generale Gandin che affronta sereno i mitra tedeschi; il generale Ghersi che affronta la fucilazione scoprendosi il petto e gridando “Viva l’Italia”; il colonnello Ghersi che, prima di morire, vuole passare in rassegna il suo reggimento; il sottotenente Clerici che muore cantando La leggenda del Piave… Oltre 5000 uomini vengono massacrati in queste selvagge rappresaglie, né miglior sorte tocca agli ufficiali, eliminati nella misura del 90% : su 400 ne vengono risparmiati solo 37.
Altrettanto tragica la vicenda che si svolge a Corfù, la maggiore delle isole Ionie. Qui, il presidio italiano della “Acqui”, il 18° reggimento fanteria, comandato dal colonnello Lusignani, nella notte tra il 12 e il 13 settembre, dopo aver respinto con sdegno l’ultimatum tedesco alla resa, mette fuori combattimento il presidio germanico di stanza nell’isola e impedisce lo sbarco di un convoglio navale che porta uomini e armi: i tedeschi, però, passano al contrattacco con l’appoggio dell’aviazione e di artiglierie poste sulla costa albanese. Anche in questo caso non mancano le promesse di aiuti provenienti dagli Alleati e dall’Italia. A parte, però, una missione inglese giunta paracadutata sull’isola il giorno 20 settembre, gli eroici combattenti della “Acqui” rimangono disperatamente soli e senza mezzi, a parte l’appoggio militarmente poco rilevante dei partigiani greci dell’isola guidati dal comandante Papas Spiru, a cui i militari italiani fanno pervenire rifornimenti e materiali bellici. Costretti alla resa dalla superiorità di fuoco del nemico, gli italiani si arrendono nel pomeriggio del giorno 25. E subito si scatenano le rappresaglie e i massacri indiscriminati che portano all’eliminazione di almeno 3000 uomini. Il colonnello Lusignani, il colonnello Bettini e molti ufficiali sono immediatamente passati per le armi, mentre i superstiti sono avviati via mare verso l’Italia occupata dai tedeschi per essere deportati in Germania. Tragedia nella tragedia, il 10 ottobre, una di queste imbarcazioni, la motonave Rossellini, colpita da bombe americane, s’inabissa trascinando nel fondo del mare un migliaio di prigionieri italiani.
Così, ieri, i fanti della divisione “Acqui” hanno piantato i semi della nostra attuale, faticosa, libertà.