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Scritto da Luciano Luciani
StoricaMente
07 Settembre 2023

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Il caos dell'8 settembre. I nuovi ordini.

Alle 19,45 dell'8 settembre 1943 il maresciallo d'Italia e capo del governo Pietro Badoglio, recatosi nella sede romana dell'Eiar, dà notizia dell'armistizio con gli angloamericani: nelle ore immediatamente successive, e segnatamente nella mattina del giorno seguente, anche un altro maresciallo, responsabile solo di una piccola stazione dei Carabinieri tra la Valdiserchio e la Garfagnana, Felice Benincasa, si trova dover fare i conti a livello locale con gli effetti disastrosi di quella che è stata definita "la completa follia del governo italiano e del comando supremo". Così li descrive il sottufficiale:

Gli abitanti delle città e dei paesi della provincia, miracolosamente sfuggiti al cerchio di fuoco e ferro tedesco, giungevano a Gallicano, nelle prime ore del giorno 10 settembre successivo, stanchi e affamati, fuggiti da luoghi invasi pur di salvare il salvabile e la propria vita.

In tutti i rioni, in tutte le strade della città, affermavano loro, era un corri corri di uomini di tutte l'età per sfuggire ai tedeschi inferociti.

Grande anche il disorientamento degli uomini della Benemerita di stanza a Gallicano. Divisi tra l'ordine, ambiguo, di cessare ogni resistenza contro gli Alleati e resistere, invece, "ad eventuali attacchi di altra provenienza" e le concrete contingenze del territorio lucchese: "Per noi delle stazioni dei carabinieri dislocati nella provincia, rimasti isolati nelle caserme, senza direttive degli ufficiali, nella caotica, enigmatica situazione, non rimaneva che subire supinamente il disarmo uguale a quelli delle città, ed abbandonare la caserma e le nostre famiglie". Benincasa, allora, riunisce i suoi collaboratori e illustra la difficile, inedita situazione. "Tutti ci siamo trovati d'accordo di non abbandonare la caserma né la famiglia" e immediata, quasi istintiva è l'opzione antitedesca: "Cedere vergognosamente le armi ai tedeschi senza prima combattere? No. Mai." Ma gli ordini provenienti dal Comune capoluogo prendono una direzione diversa. Il comandante del Gruppo Carabinieri di Lucca, maggiore Ramelli conte Cesare, dopo aver definito "matti" i Carabinieri di Gallicano, comunica che, secondo gli accordi intervenuti tra lui e il comando tedesco di Lucca, tutti i militari dell'Arma dei carabinieri della città e quelli dislocati nel territorio della provincia sono tenuti a proseguire il servizio con tutte le armi in loro possesso "per il mantenimento dell'ordine pubblico, per la sicurezza dei cittadini, delle opere militari e civili esistenti nel territorio della propria giurisdizione."

Il lungo anno.

Prende inizio così il lungo annus horribilis e insieme mirabilis del maresciallo maggiore Benincasa, segnato da una formale e forzata appartenenza alle truppe di Salò, mentre il cuore, la testa e l'agire quotidiano sono tutti dalla parte della Resistenza e dei suoi protagonisti. Una condizione particolarmente precaria e pericolosa. Benincasa, infatti, non è una figura di "mediatore" come quella dell'avvocato Giovanni Gelati, sindaco-podestà di Coreglia Antelminelli per volontà del Cln lucchese; è, invece, quella di un patriota della lotta antifascista che si batte per la libertà in divisa da carabiniere (Benincasa racconta con una punta di orgoglio di essere riuscito a non indossare mai la camicia nera!) in un punto sensibilissimo del conflitto in atto: addirittura all'interno dello schieramento nemico, mentre intorno infuria uno scontro senza esclusione di colpi. Una posizione delicata, quella del maresciallo maggiore Felice Benincasa e dei carabinieri della stazione di Gallicano. Azzardata. Sottoposta al rischio continuo che la sua infaticabile attività, quella dei dei suoi uomini e dei loro compagni di lotta finisca sotto l'occhio sospettoso di un qualunque simpatizzante della parte avversa che può, in qualsiasi momento, trasformarsi in un delatore e informare tedeschi e fascisti dello "strano" operare delle Fiamme d'Argento di quel piccolo paese sulla collina. E la divisa di servitore dello Stato (quale, poi?) non sarebbe stata schermo sufficiente alle ritorsioni e ai castighi degli occupanti nazifascisti. Anzi, essa avrebbe agito da aggravante per sicure rappresaglie e vendette.

Sì, perchè anche in Garfagnana, dopo qualche iniziale titubanza, dalla primavera del '44 i primi gruppi armati iniziano a insidiare la presenza nazifascista nell'area. A salire in montagna sono quelli che hanno trovato la forza per reagire ai sequestri di beni e raccolti e alle razzie del bestiame; quanti provano un'istintiva reazione di ripulsa per le rinnovate prepotenze fasciste nei centri abitati dell'alta valle del Serchio; i più giovani, poco più poco meno di vent'anni, che si danno in massa alla macchia per non rispondere ai sempre più assillanti e minacciosi bandi di arruolamento di un altro maresciallo d'Italia, quel Rodolfo Graziani, che, dopo i disastri africani, aveva pensato bene di riproporsi come ministro della guerra della Rsi. E sui monti incontrano militari sbandati con alle spalle la Grecia o i Balcani e sicure competenze militari; soldati Alleati evasi dai luoghi di detenzione; qualche antifascista dichiarato da sempre entrato in clandestinità dopo l'8 settembre; rari studenti e intellettuali con il cuore carico di passione politica e la testa piena di ideali di libertà e giustizia... Intorno a tutti loro, per settimane, per mesi, si era stesa, protettiva, la rete di accoglienza e solidarietà delle famiglie contadine e montanare, dei parroci dei piccoli paesi di montagna, di uomini in divisa come Felice Benincasa e i suoi carabinieri della stazione di Gallicano che scelgono la difficile e pericolosa strada di "una formale e forzata appartenenza alle truppe di Salò, mentre il cuore, la testa e l'agire quotidiano sono tutti dalla parte della Resistenza e dei suoi protagonisti". Gioca su due tavoli, il maresciallo di Gallicano. Simula e dissimula, boicotta e sabota, nasconde armi e occulta partigiani, aiuta i prigionieri alleati e fa di tutto - e gli riesce - per non indossare la camicia nera! Un doppio gioco complicato e pericoloso che durerà per un anno, dal settembre '43 al settembre '44: il tempo necessario ai fascisti locali per rendersi conto che il maresciallo di Gallicano opera in tutti i modi possibili per favorire il movimento partigiano. Quando decidono di intervenire è troppo tardi: il sottufficiale, con un po' di fortuna e l'aiuto della gente del posto, si sottrae alle loro attenzioni per raggiungere il comando dell'XI zona e il comandante "Pippo".

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