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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
22 Gennaio 2025

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La piccola città boema di Terezin, un modesto centro di appena tremila abitanti a un’ora e mezza di macchina a nord di Praga, è posizionata in maniera tale da ricoprire, quasi nella sua interezza, l’area di un’antica fortezza militare, i cui ruderi secolari sono ancora esposti alla vista nella periferia dell’abitato. Resti di un passato lontano e triste. Qui, infatti, nell’Ottocento vennero ristretti centinaia di patrioti di ogni nazionalità a scontare la loro opposizione all’impero austro-ungarico e alle sue logiche di dominio. Tra di loro non pochi gli italiani e, non ultimo, il tanto celeberrimo quanto famigerato terrorista e nazionalista serbo Gavrilo Princip, il cui attentato al principe ereditario Francesco Ferdinando (28 VI 1914) accese le polveri per lo scoppio della Grande Guerra. Ma, insieme a quei ruderi di natura militare, colpisce l’attenzione dei visitatori la presenza di estesi cimiteri, appartenenti a un tempo assai più recente, ove sono allineate, secondo ordinate sequenze, migliaia di candide pietre tombali. Ma se Terezin conta solo tremila residenti impegnati nei diversi settori professionali - un po’ di manifattura, agricoltura, turismo, servizi… -  secondo modalità di vita che appaiono normali e serene, perché mai allora un tale esorbitante numero di tombe quando invece ai suoi abitanti sarebbe sufficiente un cimitero di assai più modeste dimensioni? Perché, poi, sui marmi dei tumuli sono incisi nomi slovacchi, cechi, polacchi, tedeschi, ungheresi austriaci, italiani, francesi, olandesi e anche taluni altri di chiara provenienza extraeuropea?
Per rispondere a tale interrogativo occorre tornare indietro nel tempo … Sino al 1940, ottantacinque anni or sono, quando le forze de Terzo Reich stabilirono, proprio a Terezin, un importante centro di smistamento per internati ebrei e politici. Dalla cittadina boema, poi, i prigionieri erano avviati ai campi di lavoro o a quelli di sterminio di Treblinka e Auschwitz in Polonia… Trattandosi di uomini, donne, bambini, vecchi già fortemente segnati dai disagi e dalle fatiche della guerra e della deportazione, le malattie e la fame mietevano ampiamente vittime tra gli internati in transito. Più di 200.000 internati passarono per i campi di concentramento organizzati dalla Ghestapo a Terezin e si calcola che oltre 40.000 persine qui morirono di stenti, patimenti e tribolazioni sino a quando i pochi sopravvissuti – era l’8 maggio 1945 – furono liberati dalle truppe sovietiche che fecero il loro ingresso in città.
Passata la bufera di quella tragiche vicende belliche, ricostituita la vita civile nei territori occupati dai nazisti, le autorità cecoslovacche prima, ceche oggi, si sono preoccupate di dar vita a un museo a Terezin dove son esposti i tristi cimeli dei quello sciagurato periodo, mentre si provvedeva al laborioso e doloroso riconoscimento delle vittime ignote: oggi, poche tra esse sono rimaste senza nome. Senza trascurare, naturalmente, il riordino dei cimiteri che accoglievano le spoglie delle povere vittime.
Ogni anno nella cittadina boema il concorso dei visitatori è massiccio e il numero delle presenze supera sempre di gran lunga le duecentomila unità. Vengono da ogni parte d’Europa, in pellegrinaggio sui luoghi che videro le sofferenze dei loro cari congiunti. Altri, che mai conobbero la fine dei loro parenti, si raccolgono in meditazione dinanzi alle tombe di martiri ignoti. Altri, ancora, giungono fin qui per imparare a fare tesoro degli insegnamenti della storia e ritrovare il senso di quegli accadimenti terribili e tragici. E, in tempi in cui i popoli europei sembrano soffrire di amnesie e smarrimenti, tornare, se del caso, a posizionarsi dalla parte giusta.

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