Tra i passionate pilgrims ottocenteschi di lingua inglese, gli appassionati pellegrini dell’Italia, “paese solare e insieme romantico” (A. Lombardo), merita di essere ricordata Margaret Fuller, giornalista, intellettuale insieme raffinata e combattiva, scrittrice provocatoria e di successo. Nata a Boston nel 1810, dopo aver ricevuto un’eccellente educazione – conosceva, infatti, il latino, il greco, il tedesco, il francese e l’italiano – era entrata in contatto prima con la cultura di Harvard, poi con gli ambienti del trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson, Henry D. Thoreau e Nathaniel Hawthorne, un movimento filosofico-letterario-estetico che, richiamandosi soprattutto a Schelling e Hegel, sosteneva un idealismo panteistico e romantico che considerava l’uomo e la sua divinità al centro dell’universo. Direttrice dal 1840 al 1842 del periodico “The Dial”, rivista che si faceva interprete e propagandista di questa nuova sensibilità, aveva fatto parlare di sé pubblicando nel 1844 Un’estate sui laghi, disincantato reportage di un lungo viaggio all’ovest, luogo di trasformazioni formidabili e non sempre positive, e soprattutto La donna nel XIX secolo, uno dei testi più importanti nella storia del femminismo americano dell’Ottocento. Nel 1846 Margaret Fuller partiva per l’Europa per un “grand tour” estetico-politico-culturale. Tocca prima l’Inghilterra e la Scozia dove conosce Carlyle, Wordsworth e l’esule Giuseppe Mazzini. Visita poi la Francia e qui incontra George Sand – “Donne come la Sand parlano ora, né si lasceranno zittire” – e Adam Mickiewicz, poeta e patriota polacco che da allora le sarà amico e confidente. Nel febbraio del 1847 è in Italia, che visita in lungo e in largo: Genova, Livorno, Napoli. Poi Roma, Firenze, Ravenna, Bologna, Venezia, Milano… Di nuovo Firenze, di nuovo Roma, per fermarsi.
Puntuali e sempre capaci di cogliere con grande perspicacia i processi collettivi in atto tanto nel senso comune, quanto nelle coscienze individuali, in quel tormentato periodo della storia d’Italia, dall’ottobre 1847 a luglio 1849 Margaret Fuller spedisce al “Tribune” di New York diciassette corrispondenze esemplari, “inviata per caso” in uno dei fronti più drammatici della rivoluzione europea del 1848-49: quello della Repubblica romana assediata e piegata dallo strapotere delle armi francesi. Commosse e partecipi le parole della sua ultima lettera (luglio1849): “Sì, il 4 luglio, il giorno festeggiato con tanta gioia nel nostro paese, è il giorno dell’entrata dei francesi in Roma…! Ieri ho visitato i luoghi delle battaglie. Era terribile anche soltanto vedere le rovine del Casino dei Quattro Venti e del Vascello, dove francesi e romani erano stati per tanto tempo così vicini; frammenti di preziosi stucchi e di affreschi erano ancora appesi alle travi tra gli squarci fatti dai cannoni, ed era terribile pensare che vi erano rimasti dentro e vi avevano combattuto degli uomini, quando già erano una massa di rovine… Più che mai mi ha colpito l’eroico valore del nostro popolo – lasciate che lo chiami così ora e sempre – poiché, dovunque io vada in futuro, un’ampia parte del mio cuore rimarrà per sempre in Italia. Spero che i figli di questo popolo sempre riconosceranno in me una sorella, anche se non sono nata qui”.
Poi, rivolgendosi ai lettori americani del “Tribune”, il cui editore Horace Greeley si era spesso mostrato solidale con la causa italiana: “Mandate soldi, mandate incoraggiamento, riconoscete come capi e governanti legittimi gli uomini che rappresentano il popolo, che comprendono le loro necessità, che sono pronti a morire o a vivere per il loro bene… Mazzini lo conosco, conosco l’uomo e le sue azioni, grandi, pure, costanti, un uomo a cui soltanto l’epoca futura potrà rendere giustizia, quando mieterà il raccolto del seme che egli in quest’epoca ha seminato. Amici, compatrioti, e voi amanti della virtù, amanti della libertà, amanti della verità state all’erta; non riposate ignavi nella vostra vita così facile, ma ricordate che: “L’umanità è una sola e pulsa con un grande, unico cuore”.
Appena un anno più tardi, nel luglio 1850, in un terribile naufragio, davanti a Fire Island, l’oceano doveva sommergere la Fuller, il marito Giovanni Ossoli, conosciuto a Roma, e il figlio loro, Angelino di neppure due anni. Un tragico destino in cui doveva andare smarrito, e per sempre, anche il manoscritto di quella Storia della Repubblica romana a cui Margaret intendeva affidare il compito di continuare negli Stati Uniti la battaglia per la libertà del popolo italiano.