Non sappiamo quante volte, tantissime, abbiamo visto un film che, per noi, ha rappresentato non soltanto un sogno, ma anche qualcosa di più, il simbolo stesso della professione di giornalista, il desiderio inconfessato, ma confessabile di poter un giorno affrontare certe vicende e, soprattutto, portare alla luce ciò che si vuole tenere nascosto. La pellicola era stata girata nel 1991 da Marco Risi e si chiamava Il muro di gomma, su soggetto e sceneggiatura di Andrea Purgatori, Stefano Rulli e Sandro Petraglia, il primo all'epoca dei fatti un poco più che ventenne cronista della sede romana del Corriere della Sera. Chi lo avrebbe mai detto che un giorno, molti anni dopo, Purgatori sarebbe venuto a Lucca e, presso palazzo Bernardini, avrebbe tenuto una splendida lezione di giornalismo. Era stato lui, del resto, il primo a seguire sin dai giorni immediatamente successivi alla tragedia del Dc 9 caduto sui cieli di Ustica il 27 giugno 1980. E la figura del collega che tanto ci intrigava e appassionava era portata sullo schermo dal compianto attore Corso Salani con musiche di Francesco De Gregori e interpreti di prestigio come Angela Finocchiaro, Antonello Fassari, Bruno Vetti, Sergio Fiorentini.
Era una storia, quella dell'aereo precipitato in mare non poi così lontano da un'altra isola, quella di Ponza, dove trascorrevamo le vacanze della nostra incosciente e inconsapevole gioventù, che ci aveva preso lo stomaco non appena, all'Università degli studi La Sapienza, avevamo deciso che il mestiere di scrivere sarebbe stato il nostro obiettivo primo e assoluto. Poi, nel 1988, dopo anni di silenzio, la vicenda era tornata al centro dell'attenzione mediatica proprio grazie agli articoli di Purgatori e di altri colleghi e noi, in quel tempo, eravamo nientepopodimeno che, impiegati durante il servizio di leva al ministero dell'Aeronautica dove, ogni mattina, dovevamo predisporre la cartella stampa per il generale Proietti a capo del Centro Reparto Servizi. Ingenui e anche un po' superficiali, provavamo a tentare un approccio, ma di Ustica nessuno voleva parlare e anche il solo nominarne la parola attirava le risposte secche e senza indugio dei potenziali interlocutori. Ricordiamo benissimo la figura di Zeno Tascio, all'epoca capo del Sios, servizio informazioni dell'Aeronautica, che una mattina sì e l'altra pure appariva sull'uscio per confabulare di chissà quali temi con i suoi colleghi.
L'aeronautica militare, del resto, è sempre stata l'arma... fascista per eccellenza, sin da quando, proprio sotto il Governo Mussolini, venne scorporata dall'Esercito e costituita in Arma autonoma con tanto di Stato Maggiore proprio a partire dal 1926. I figli del duce, ad esempio, da Vittorio a Bruno Mussolini e il genero, Galeazzo Ciano marito di Edda, la primogenita, presero parte alle varie imprese militari volute dal regime a cominciare dalla guerra di Etiopia.
Negli anni non abbiamo mai abbandonato l'interesse per la tragedia in cui perirono 81 persone e che, almeno nell'immediatezza dell'evento, tutti o quasi sembrarono attribuire ad un cedimento strutturale del velivolo. All'epoca dei fatti, estate 1980, eravamo dei giovani virgulti intenti a ottenere il diploma di studi superiore di ragioneria e attivi politicamente nella federazione giovanile repubblicana dei Davide Giacalone, Massimo Santori, Alessandro Cecchi Paone, loro già avviati verso una promettente carriera noi, al contrario, ancora alla ricerca di una precisa identità culturale e politica. Non a caso, infatti, l'anno seguente salutammo tutti senza alcun rimpianto. Il 2 agosto di quell'anno avvenne la strage di Bologna e i riflettori puntarono tutti su quell'increscioso e spaventoso episodio nel quale morirono altrettanti innocenti e della tragedia di Ustica non se ne parlò per un bel pezzo.
La costanza e il coraggio, la determinazione e la serietà professionale di Andrea Purgatori e, successivamente, di altri colleghi di altrettante testate, contribuirono, grazie anche alla nascita dell'associazione dei familiari delle vittime, a squarciare quel muro di gomma che nessuno, a quanto pare, voleva avvenisse. 81 persone tra cui 13 bambini erano morti e nessuno sapeva spiegare perché. La compagnia aerea Itavia era stata costretta, ovviamente, a portare i libri in tribunale anche se l'ipotesi del cedimento strutturale, negli anni, perse ogni consistenza. L'aereo, infatti, era stato sottoposto a una revisione completa soltanto l'anno prima e anche il pilota che il giorno precedente la tragedia lo aveva guidato, non aveva riscontrato nulla di che.
Piano piano cominciarono a farsi avanti ipotesi inquietanti su una sorta di guerra nei cieli che aveva visto protagonisti aerei della Nato e, a quanto pare, aerei nemici. La storia del Mig 23 libico ritrovato sulla Sila, si disse e si raccontò con una apposita velina al Tg, il 18 luglio 1980, in realtà si portava dietro alcuni lati oscuri. Uno dei medici che aveva effettuato l'esame esterno del cadavere prima di firmare il documento relativo, si rese conto che qualcosa non tornava poiché la pelle del pilota deceduto, di nazionalità libica, ma con indosso uniforme e stivaletti militari dell'aeronautica militare italiana, si sfilacciava così facilmente che la morte non poteva essere avvenuta in quella data presunta del ritrovamento annunciato, bensì almeno tre settimane prima, guarda caso in corrispondenza della tragedia del Dc 9. Perché, allora, il dottor Zurlo firmò ugualmente quel documento? Lo ha spiegato lui stesso, perché in un paese dove tutti si conoscono e dove nessuno fa niente contro qualcun altro, era molto, ma molto più semplice. Salvo, poi, pentirsene.
Successivi riscontri e testimonianze, più quelle unofficial che quelle fornite dalle autorità militari le quali, l'arma azzurra in primis, fecero di tutto e di più per depistare, insabbiare, nascondere, distruggere elementi documentali richiesti dal giudice che indagava sulla strage, portarono all'evidenza che l'aereo doveva essere precipitato non tanto per un cedimento strutturale, quanto per qualcosa di molto peggio. Vennero, così, a formarsi due partiti: da un lato quello della presenza di una bomba a bordo e l'altro che sosteneva l'esserci stato un conflitto vero e proprio nei cieli sopra l'isola di Ustica con un missile che, destinato a colpire con ogni probabilità un Mig libico che viaggiava in scia o sotto la pancia del Dc 9, abbatté, invece, l'aereo di linea.
A mano a mano che si andava avanti nel tempo, la classe politica marcia fino all'osso che sarebbe, fatalmente, implosa con Tangentopoli, continuava a far finta di niente e non c'era verso che i socialisti, figuriamoci i democristiani, mostrassero di essere servitori della verità o anche soltanto del rispetto verso le vittime della sciagura.
Anche la spedizione dell'Ifremer, azienda, peraltro, collegata ai servizi segreti francesi con la Francia possibile candidata al ruolo di protagonista della storia, non portò granché di nuovo se non la scatola nera dalla quale si poté apprendere, in fasi successive e mediante ripuliture sempre più sofisticate, che prima del black-out il comandante si rivolse al secondo con questa frase: Guarda cos'è...
Altro che giallo, altro che thriller, altro che scandalo. Più si rumava e più la cosa puzzava sprigionando un'aria fetida e irrespirabile che i vertici dell'aeronautica militare si guardarono bene dal tentare di rimuovere. Negazione su negazione, rifiuto dopo rifiuto, rigetto dopo rigetto, sparizione dopo sparizione. Niente da fare, sembrava che il muro di gomma fosse destinato a durare per sempre.
Sono passati tanti anni, ormai, 44 e anche se non sono in fila per tre con il resto di due come recitava una famosa canzone per bambini, sono sempre un periodo così ampio e, a questo punto, molti testimoni sono deceduti alcuni dei quali anche in circostanze misteriose e sospette, ma, soprattutto, le nuove generazioni nemmeno sanno che cosa significa la parola Ustica. Può sembrare assurdo, ma ci siamo accorti di quanto l'eta sia avanzata senza nemmeno ce ne accorgessimo proprio da una serie di interviste agli studenti universitari di qualche anno fa proprio sul tema della caduta del Dc 9. E allora, così come è accaduto per tante altre tragedie nazionali - vedi, su tutte, l'8 settembre 1943 e la mancata difesa di Roma - la percezione, chiara, è che il tempo annacqua tutto, anche le peggiori responsabilità e quello che, soltanto venti anni fa, avrebbe fatto, magari, accapponare la pelle, oggi, praticamente o quasi, non interessa più nessuno se non i familiari delle vittime, qualche storico, altrettanti giornalisti ormai con i capelli bianchi e poco più.
Andrea Purgatori, la memoria di Ustica, è morto e al suo posto abbiamo visto tentare, un paio di mesi fa, in Tv, Massimo Giletti di far luce ancora di più sull'intera vicenda. Non avevamo visto la trasmissione, ma proprio in questi giorni abbiamo voluto guardarla con attenzione. Ebbene, per i molti che poco sapevano e sanno, è stata l'occasione per porsi qualche domanda, ma è stato evidente a tutti che in quella enorme sala dove è custodito lo scheletro del Dc 9 recuperato dai fondali del Tirreno, il tempo aveva ucciso la verità o, quantomeno, aveva fatto di tutto per provarci. Anche Daria Bonfietti, la straordinaria presidente dell'associazione, aveva sul volto, inevitabilmente, disegnati i tratti del tempo che incombe, una vita spesa nel tentativo di dare un nome e un volto a coloro che gli uccisero il fratello maggiore. La Bonfietti, oggi, ha 79 anni. Quando suo fratello morì, ne aveva 35, una vita fa. Eppure lei e con lei tutti gli altri componenti l'associazione dei parenti delle vittime di Ustica, non ha mai ceduto.
Noi che non siamo gli ultimi arrivati in materia anzi, abbiamo letto su letto molto di quello che è stato detto e scritto, abbiamo voluto vedere se dalla trasmissione di un neofita perché Giletti non si era mai occupato di Ustica, sarebbero venute fuori delle novità eclatanti come era stato annunciato.
Ebbene, se questa trasmissione fosse andata in onda sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, nemmeno degli Ottanta, ma anche dieci anni dopo, sarebbe venuto giù il mondo. Un maresciallo che, sì, aveva raccontato ai magistrati, ma in Tv mai aveva detto quel che aveva visto e sentito dal momento che era sottoposto a vincolo di assoluta segretezza, e che finalmente dice quel che sa, avrebbe scatenato direttori responsabili di quotidiani e periodici, cronisti d'assalto e politici in cerca di gloria. Un ex ministro della Difesa, ha raccontato, come Giovanni Spadolini che riceve nella sua casa di Firenze in vestaglia rossa, da un corriere ultrasegreto appunto il maresciallo testimone, una lettera in cui si dichiara che il Mig libico è stato inseguito e abbattuto da due aerei Mirage francesi e da un F-14 Tomcat americano, beh, scusate se è poco. Se si pensa che ancora oggi il generale Leonardo Tricarico ex capo di stato maggiore in rappresentanza dell'aeronautica e ormai in pensione, ancora sostiene che la tesi della bomba a bordo e dell'assenza di traffico aereo quella sera nel cielo del basso Tirreno...
Ma non è tutto. Durante la trasmissione si sono succeduti alcuni colpi di scena parte dei quali erano stati già avanzati: dalle immagini della Saratoga, portaerei americana in rada a Napoli quella sera, scattate da alcune coppie di sposi sulla collina antistante il mare di Napoli; alla testimonianza di un ex militare in servizio all'epoca che ha raccontato di come sia stato per tutti questi anni vittima di pressioni ed emarginazione solo per aver manifestato perplessità a proposito del ritrovamento del pilota del Mig libico. Gli volevano a tutti i costi far dire che era il 18 luglio, quando lui, al contrario, ricorda bene di essere stato svegliato di soprassalto la notte del 27 giugno 1980 per recarsi a cercare qualcosa sui monti della Sila; i solchi ben visibili sulla sabbia a 3 mila 700 metri di profondità e mai apparsi nei video della Ifremer, della serie c'era già stato qualcun altro prima sul fondo del Tirreno?; e vogliamo parlare della persona che, in vacanza sui mari della Calabria, vide all'orizzonte la sera del 27 giugno un duello aereo tra un velivolo che inseguiva e sparava con tanto di traccianti colorati diretti verso un altro aereo che lo precedeva e provava sottrarsi alla caccia?
Ma non è stato tutto. Eppure, nonostante ciò, il generale Tricarico che non si capisce bene cosa sia stato invitato a fare e, però, ve lo spiegheremo alla fine, alle domande rispondeva con dichiarazioni di principio o riferimenti a cose senza senso e inesistenti, una sorta di ostruzionismo che ha mandato in pezzi, giustamente, i nervi suscitando rabbia e sconforto di tutti i familiari delle vittime che quelle storie della bomba a bordo pensavano fossero state cancellate da un pezzo.
Già, la bomba a bordo. E pensare che c'è anche una parte di Lucca in questa vergognosa vicenda che riporta l'Italia ai tempi in cui era soltanto una sorta di burattino nelle mani di un gioco e di giocatori molto, ma molto più importanti e grossi di lei. Come fa una bomba, piazzata su un aereo che parte con più di due ore di ritardo, ad esplodere in cielo quando il velivolo doveva essere atterrato da un pezzo a Palermo? E com'è possibile che la stessa bomba, secondo i teorici della sua presenza a bordo, nascosta nella toilette, non abbia minimamente scalfito, nell'esplosione, gli arredi del piccolo bagno che si trovava in fondo alla carlinga? Proprio coloro i quali hanno visionato i metalli ed effettuato i rilievi non hanno trovato alcunché che provi questa teoria. Inoltre, appena precipitato l'aereo, ecco una telefonata con cui si annunciava la presenza tra i passeggeri di Marco Affatigato, lucchese, all'epoca riparato in Francia e assolutamente non imbarcato sul Dc 9. Anche qui si voleva sostenere la tesi della bomba attraverso la presenza sul velivolo di un militante dell'estrema destra.
Se qualcosa di nuovo la trasmissione di Giletti ha portato, è un ulteriore conferma che l'ipotesi ormai unica e più accreditata è proprio quella del Dc 9 abbattuto durante una missione di guerra non dichiarata nei cieli italiani. Attenzione, si è saputo poi che i Mig 23 libici di Gheddafi che era socio in Fiat e aveva investito a suon di petrodollari in Italia, avevano una sorta di lasciapassare garantito per transitare senza essere rilevati sopra il nostro territorio e i nostri mari, cosa che aveva indispettito per non dire molto, ma molto peggio, gli alleati francesi e americani stanchi del solito doppiogiochismo nostrano. Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo. Del resto anche il fatto che il pilota del Mig libico indossasse indumenti militari italiani e si trovasse alla guida di un velivolo che era presumibilmente decollato da una base militare in territorio Nato, peraltro restituito impacchettato e senza problemi di sorta al suo Paese - proprio il colonnello Zeno Tascio si occupò di gestire la vicenda per l'aeronautica militare italiana - dimostra come l'Italia fosse un Paese inaffidabile per la Nato che, al contrario, con Gheddafi voleva chiudere i conti.
Bravo Giletti, ma quando si è dei neofiti della materia, bisognerebbe stare attenti alle trappole e, soprattutto, prestare attenzione ad un vecchio detto giornalistico: niente è più nuovo di quel che è già stato detto e scritto. In realtà di nuovo, in tutta questa storia, non c'è granché se non, appunto, il fatto che alcune cose mai trapelate, sono state portate alla luce dei riflettori Tv. Dubitiamo, tuttavia, che i magistrati che conducono l'inchiesta, l'ennesima, sul reato di strage che non si prescrive mai, possano evitare l'archiviazione in assenza di ulteriori elementi decisivi dal punto di vista probatorio. E troppo è stato fatto per spargere nebbia e menzogne.
Ciononostante la speranza è l'ultima a morire e magari lo stesso Giletti ci sorprenderà. Attenzione, però, perché non si può cadere, per lui che è un professionista, nel tranello di portare in trasmissione il generale Tricarico in rappresentanza dell'aeronautica militare. Appena lo abbiamo visto e sentito siamo rimasti di sasso: ma come, ancora?, ancora un esponente dell'arma azzurra che ha il coraggio di presentarsi e di venire a raccontare quello che tutti sapevano e ora non tutti sanno, essere una mistificazione della realtà?
Hanno ragione i familiari delle vittime con in testa l'avvocato Daniele Osnato che ha assalito più volte il generale accusandolo di seminare menzogne, ad essersi inalberati e aver avuto la sensazione di essere tornati indietro. Sul fronte delle indagini e della verità acquisita almeno fino ad ora. E' indubbio che Andrea Purgatori non sarebbe caduto in questo tranello e, in particolare, non si sarebbe prestato a questo 'ritorno al passato'. Ecco perché, non ce ne voglia Giletti, non ci si improvvisa esperti di un evento così tragico e così fitto di omissioni e di mezze verità oltreché di interessi inconfessabili. Ci domandiamo, infatti, come ha potuto Giletti accettare la presenza di un generale dell'Aeronautica che sapeva benissimo portatore di una teoria fuori da ogni logica.
E allora non ci meraviglieremmo se, alla luce anche delle parole a difesa proprio dell'Aeronautica Militare prima dell'andata in onda della trasmissione di Giletti e pronunciate da Maurizio Gasparri di Forza Italia, ma ex militante del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale Italiano e, come tutti coloro che vennero sdoganati insieme a Gianfranco Fini da Silvio Berlusconi, nipotino - anagraficamente e anche culturalmente - di Mussolini, la presenza del generale Tricarico sia stata imposta al conduttore della trasmissione.
Per il resto, c'è ben poco da aggiungere a quanto detto, in conclusione, da un sincero democratico e professionista quale, appunto, è Massimo Giletti: ma che Paese è un Paese dove dopo 44 anni 81 vittime innocenti non sanno ancora perché sono morte?
Indubbiamente ci sono ancora in giro uomini che sanno, ex militari e politici o politicanti che dir si voglia. Anche per loro si avvicina il momento in cui dovranno lasciare questa valle di lacrime. E allora perché non disfarsi di un peso e arrivare davanti a nostro Signore con la coscienza più leggera e ripulita?