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Scritto da irene decorte
Summer Festival
09 Luglio 2024

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“Una guerra tira l’altra: l’Europa è nata sul presupposto che non ci fossero mai più guerre, ma il lascito dei padri dell’Unione Europea è stato tradito, e oggi le guerre sono considerate un’opzione come un’altra, come una prosecuzione della politica con altri mezzi”: così ha esordito Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano e per l’occasione protagonista dell’ultimo appuntamento con Lucca Summer Festival Talk.
Un appuntamento per certi versi diverso dagli altri due di questo nuovo format, che hanno visto protagonisti rispettivamente Vittorio Cecchi Gori e Andrea Scanzi con Veronica Gentili; non solo perché Travaglio ha parlato direttamente dal palco del Lucca Summer Festival di piazza Napoleone, ma perché l’ha fatto in solitaria, senza interlocutori se non se stesso e il suo pubblico: così ha presentato il suo ultimo libro, intitolato appunto “Una guerra tira l’altra”, già un bestseller da mesi in cima alle classifiche. 
“La guerra in Ucraina deriva da una lunghissima sequenza di eventi dove è difficilissimo destreggiarsi fra ragioni e torti- ha cominciato il giornalista con il primo dei due argomenti principali della serata- L’inizio c’è stato nel 1989, quando è caduto il muro di Berlino, l’Unione Sovietica si è sfaldata e le varie repubbliche socialiste sovietiche si sono prese la loro indipendenza, compresa l’Ucraina, a cui era stata donata la Crimea, perché tanto era lo stesso stato: ora le cose cambiano. In seguito, la Nato si è allargata più volte violando i patti fatti con Gorbaciov, fino a dichiarare l’intenzione di annettere l’Ucraina e la Georgia, la chiappa sinistra e la chiappa destra della Russia: si sapeva un bruto come avrebbe reagito. Non riesco a vedere differenze con i nostri, i buoni: ciascuno ha le proprie linee rosse, i propri confini allargati non scritti da nessuna parte ma che nessuno tocca”. 
Dietro il singolo fotogramma del 24 febbraio 2022 c’è dunque una lunga storia che, ha dichiarato il giornalista, non giustifica le azioni di Putin, ma permette di comprenderne meglio le cause: “Raccontare che Putin un giorno è impazzito e ha deciso di invadere l’Ucraina, e se non glielo impediamo invaderà l’Europa, è una cavolata, così come è una cavolata che la Russia è isolata: l’anno scorso l’economia russa è cresciuta sei volte più della nostra, e la Russia intrattiene stretti rapporti con tutti i paesi più popolosi e in crescita come la Cina e l’India- ha dichiarato- Noi siamo la minoranza, noi siamo isolati perché continuiamo a crederci buoni e padroni del mondo, e non lo siamo. Siamo di fronte al tramonto di un impero: l’impero americano”. 
La guerra russo-ucraina non può che terminare in uno dei tre modi in cui tutte le guerre finiscono: con la disfatta totale di uno dei due contendenti, con l’imposizione di una soluzione dall’alto o con una contrattazione tra le due parti in causa. “Ad ora la Russia controlla oltre un quinto del territorio ucraino, gli ucraini stanno finendo i soldati, e l’occidente ha aumentato la gittata dei missili forniti a Kiev, per cui è aumentato anche il territorio che i russi devono conquistare in Ucraina per mettere al sicuro i propri confini: senza che ce lo dicano, e forze senza che lo sappiano, stanno lavorando al suicidio assistito dell’Ucraina- ha commentato Travaglio- Putin ha posto come proprie condizioni di pace la possibilità di mantenere tutte e quattro le regioni che ha annesso, più la Crimea: si tratta di un piano inaccettabile, di fronte a cui oggi ridiamo, ma non vorrei che fra uno o due anni la situazione fosse molto peggiore e questo diventasse il piano di pace di Zelensky”. 
Non molto diversa la situazione dell’altra grande guerra di questo momento, quella tra Palestina e Israele: stessa influenza americana, stessa storia lunga e complessa dietro l’illusione di un singolo fotogramma. Ma diversa reazione delle masse. “Putin ha un mandato di cattura internazionale, Netanyahu non ne ha nessuno; la Russia è stata colpita da sanzioni ed embarghi, Israele no: il mondo dei buoni tratta i morti palestinesi come se valessero il millesimo della vita di un ucraino, di un israeliano, di un americano. Perché le vite umane non valgono tutte allo stesso modo?”
Una storia, quella argomento dell’ultimo libro del giornalista, che da oltre 100 anni si snoda in uno zig-zag continuo: dopo la decisione delle Nazioni Unite del 1947 di una spartizione dei territori fra palestinesi e israeliani, poi concretizzatasi nella sola realizzazione dello stato d’Israele a causa della mancata accettazione della spartizione da parte degli stati arabi, tutta una sequela di guerre inframezzate a tentativi di pace, proseguiti nel nuovo millennio con personaggi come Sharon e Olmert. “Sharon era leader del Likud, il partito di Netanyahu, era stato deposto dal suo ruolo di ministro della difesa dalla corte suprema per il suo coinvolgimento indiretto nel massacro di Sabra e Shatila, e con la marcia sulla Spianata delle moschee aveva dato via alla seconda Intifada: sembrava che con lui primo ministro, nel 2001, si dovesse dire addio alla pace, e invece fu lui che si elevò oltre se stesso e da uomo di fazione si fece statista- ha spiegato Travaglio- Lui ha stabilito che era necessario restituire i territori di occupazione israeliana ai palestinesi e ritirare i coloni che lì si erano insediati: dal 2005 gli ebrei si sono ritirati da Gaza, del tutto sigillata ai confini. Nello stesso anno Sharon ha fondato il partito Kadima, e dopo che un ictus lo lasciò in stato vegetativo nel 2006 a lui subentrò il suo vice, Olmert. Questo nel 2008 fece ai palestinesi una proposta che non si poteva rifiutare: proponeva loro il 101 per cento dei territori che rivendicavano. Eppure, non fu accettata”. 
Così si arriva all’elezione di Benjamin Netanyahu (già primo ministro dal 1996 al 1999), dal 2009 sempre rieletto se non per una breve parentesi durante il periodo della pandemia. “Di fatto, Netanyahu controlla Israele da 15 anni, con due punti programmatici: riformare la corte costituzionale così che i suoi processi non giungano a conclusione, cosa che non gli è riuscita, e tagliare le gambe al tavolo dei negoziati con la Palestina perché nessuno ci si sieda più, favorendo Hamas. Ma non è un problema che si può nascondere sotto il tappeto”. 
“Non posso concludere con un messaggio positivo: non vedo niente di positivo. Sembra che tutto debba finire in un bagno di sangue, anche se lo stesso si diceva per il Sudafrica: oggi ci sono ancora problemi seri, ma sono tutti vivi- ha dichiarato in conclusione il giornalista- Perché si possa essere ottimisti anche con Israele, si dovrebbe veder nascere qualche statista anche lì: non ne vedo in campo né israeliano, né palestinese, né internazionale. Forse in qualche asilo stanno crescendo questi statisti: speriamo che quando saranno adulti non sia troppo tardi”. 

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