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Scritto da irene decorte
Summer Festival
26 Giugno 2024

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Ogni tanto incontro qualcuno che mi dice: ah, sei ancora vivo?”. Non solo è ancora vivo, ma come sempre vivace e ironico Vittorio Cecchi Gori, uno dei più grandi produttori cinematografici e imprenditore a livello internazionale, che sul palco di Lucca Summer Festival Talk nel cortile degli Svizzeri ha ripercorso la sua vita ricca e articolata, sia personalmente che professionalmente, sotto la guida dei giornalisti Eleonora Daniele e Alessandro Ferrucci.

Tra i molteplici nuclei tematici di questa vita spicca naturalmente il cinema, rievocato soprattutto sotto la luce dorata degli Oscar, più volte vissuti e raggiunti o sfiorati, a partire da film come “L’ultimo imperatore”, di cui fu co-produttore minoritario, e “Mediterraneo”, il cui merito viene attribuito soprattutto al padre Mario.

Ci sono stati dei casi in cui mi sono scontrato con mio padre e avevo ragione io, ma si trattava di una questione generazionale: lui ad esempio non capiva il successo di Terence Hill e Bud Spencer, e anche Celentano non era il massimo per lui, mentre per me era un grande amico”, ha raccontato l’imprenditore, che nel corso della serata ha ricordato anche altre grandi amicizie nel mondo del cinema, da Verdone a Gassmann.

Gassmann per me è stato come un padre: ne ho un ricordo meraviglioso, era l’attore più istruito che abbia mai conosciuto - ha raccontato - Fu lui che mi diede da leggere Cent’anni di solitudine: molti anni dopo entrai in contatto con Gabriel Garcia Marquez, mi tornò in mente il libro e andai a visitarlo a Città del Messico con Tornatore. Marquez era una persona adorabile, semplice: disse a Tornatore che gli avrebbe ceduto i diritti di tutti i suoi libri, ma non di Cent’anni di solitudine, che era la sua anima. Purtroppo, Marquez e Tornatore non legarono, o il film si sarebbe fatto: è il grande rimpianto della mia vita”.

Cecchi Gori ha poi parlato di Massimo Troisi, anche lui un grande amico, di cui ha ricordato il lavoro su “Il postino” e la morte prematura. “Il sogno di Massimo era fare un film di Hollywood: disse che aveva questo libro, Il postino di Neruda di Antonio Skarmeta, e io comprai subito i diritti. Il giorno della fine delle riprese volevo andare a salutare Massimo, ma lui mi telefonò dicendomi che sarebbe rimasto a Cinecittà fino a tardi per doppiare alcune scene che in presa diretta non si erano sentite bene. Gli dissi che c’era tanto tempo, ma lui insistette. La mattina dopo, Massimo improvvisamente morì. Scoprii poi che gli avevano detto che la situazione del suo male congenito al cuore era peggiorata e l’unica soluzione era fare un trapianto, ma lui insistette di finire prima il film, con la mentalità del napoletano per cui lo spettacolo è eterno e va oltre la vita terrena. Il film fu bocciato per rappresentare l’Italia agli Oscar in favore di un altro che avevo fatto io, Lamerica, un bel film ma non adatto per gli Oscar. Per fortuna, mi venne una grande idea: comprai un cinema a Los Angeles e vi feci rappresentare Il Postino, così che potesse concorrere per gli Oscar americani. L’anno dopo fu candidato in cinque categorie, e vinse per la miglior colonna sonora drammatica”.

C’è stato poi il grande successo di “La vita è bella”, vincitore dell’Oscar per migliore colonna sonora, migliore film straniero e miglior attore protagonista a Roberto Benigni: “All’inizio mi dicevano tutti che ero matto, perché facevo con Benigni, che è un attore comico, un film sull’Olocausto. Io rispondevo che sì, era una strada stretta, ma Benigni e Cerami erano le persone adatte per percorrerla: quando i film si fanno fuori dalle regole, a volte sono veramente belli - ha dichiarato il produttore - Il mio unico contributo è stato dire sì all’inizio, e alla fine far mettere la bandierina americana sul carro armato”.

L’America ha sempre occupato un posto speciale nel cuore di Vittorio Cecchi Gori, che lì ha a lungo vissuto e lavorato: “Ero riuscito a fare una cosa che a ripensarci non so come ho fatto, e nessuno ha più fatto: sono entrato nel cuore del cinema americano. Non ho mai parlato benissimo inglese, ma gli americani finché hai successo e soldi capiscono tutto - ha scherzato, ricordando che anche nelle cose che si amano bisogna vedere i difetti - Forse ho fatto male a non rimanere lì: a consigliarmi di rimanere fu Trump, di cui tutto mi immaginavo eccetto che diventasse presidente degli Stati Uniti, e forse aveva ragione”.

In America non mi sarebbe mai successo niente - ha infatti proseguito - Quello che è accaduto non voglio che risucceda a qualcun altro: sarebbe bello che alla fine venisse fuori quello che è successo perché ha fatto danni a tutto il cinema italiano, alle mie relazioni con gli Stati Uniti, e non doveva assolutamente accadere. Allora io dico che forse bisognerebbe esaminare il mio caso perché serva a qualcosa, o è stato un sacrificio inutile”.

A questo si è aggiunta la malattia, che ha visto Cecchi Gori coinvolto in una lotta tra la vita e la morte da cui è uscito vincitore: si è trattato di un momento di grande difficoltà, ma anche di cambiamento, a seguito del quale ha riallacciato i rapporti con i figli e l’ex moglie Rita Rusic.

Il mio matrimonio con Rita è durato quasi 20 anni. L’ho conosciuta sul set di un film di Celentano, che me la presentò. A spingermi verso di lei fu Troisi: mi lamentavo di essere rimasto l’unico che ancora non si era fatto una famiglia a 40 anni, e lui mi disse guarda, c’è Rita proprio qui - ha ricordato - Con i miei figli quando erano piccoli sono stato poco, perché lavoravo troppo, facevo troppe cose: questo è stato uno sbaglio”.

C’è stato infatti l’impegno politico, che non rimpiange, ma per cui si considera, con il senno di poi, inadatto: “La politica sarebbe una cosa semplice: uno dovrebbe credere in Dio o in un’altra entità superiore e distinguere il bene dal male, senza destra e sinistra. Ma i politici, per arrivare da qui e lì, non seguono la strada più dritta e semplice; io non ho quella mentalità, come politico non andavo bene”.

Altro impegno di Cecchi Gori è stato quello calcistico, da presidente della Fiorentina: “Con alcuni allenatori ho litigato, con Terim sono quasi venuto alle mani; Radice non capiva, avevo comprato Batistuta e non me lo faceva giocare, il resto sono tutte favole - ha spiegato - Del calcio adesso io non parlo più: l’hanno rovinato, è semplice, ma lo fanno diventare una montagna per tutti gli interessi che ci sono dietro. Quello che mi dà fastidio è che nessuno quando perde dice che è perché gli altri giocavano meglio: si riduce semplicemente a questo”.

Tutti questi argomenti e altri ancora Vittorio Cecchi Gori ha affrontato nell’arco di un’ora, affascinando i presenti con le sue storie e districandosi fra di esse con perenni ironia e lucidità. “Raccontare le cose della vita vissuta è facile: adesso la testa funziona, anche troppo bene, vedo le cose che avvengono e le decifro facilmente, il che nasce dalla vecchiaia - ha osservato infatti - Bisogna che racconti le cose, o dopo che me ne sarò andato non le saprà più nessuno”.

Il prossimo appuntamento con i talk del Lucca Summer Festival si terrà il 4 luglio, con Andrea Scanzi e Veronica Gentili intervistati da Rossella Brescia.

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