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Scritto da Redazione
Cronaca
24 Aprile 2020

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L’app “Immuni” è un software che una volta individuata una persona contagiata, può ricostruire i suoi incontri precedenti per trovare le persone che può avere infettato. Il Governo ha intenzione di utilizzarlo nella Fase 2 del Covid-19.

Elenco le poche cose certe che si sanno:

  • sarà disponibile sia per sistemi Android (Google) che iOs (Apple);

  • è una applicazione che dovrà essere rilasciata con licenza Open Source MPL 2.0 e quindisarà accessibile e verificabile da parte di tutti;

  • l’installazione sarà su base volontaria, la installa solo chi vuole;

  • sarà garantito l’anonimato di chi la installa, cioè l’app non rileverà il numero di telefono e l’identificativo dell’utente né accederà ai suoi contatti;

  • sarà utilizzata la tecnologia bluetooth, al posto della tecnologia GPS; il cambiamento non è irrilevante perché il GPS permette la localizzazione esatta dell’utente se non è in un luogo chiuso, mentre il bluetooth permette di rilevare solo la posizione relativa rispetta ad altri utenti, con un raggio d’azione al massimo di qualche decina di metri;

  • i dati saranno conservati probabilmente con una tecnologia mista, cioè sia su server centrali pubblici che localmente sui dispositivi degli utenti;

  • per avere risultati effettivamente utili si stima che debba essere utilizzata almeno dal 60% della popolazione (unico neo);

  • è gratis sia per lo Stato (l’ha detto Arcuri) che per l’utente.

E quindi? E quindi va benissimo, fatela di corsa non ci sono problemi, sarebbe un servizio pubblico di grande utilità. Perché no?

E purtroppo da quella latrina che sono diventati i social media è partita una campagna in nome della privacy contro l’app, della quale si sanno solo le poche cose citate.

Dopo i terroristi sanitari è la volta dei terroristi della privacy. Ridicolo e provo a spiegare perché.

Partiamo da alcuni dati di diffusione dei principali software di social media e di messaggistica in Italia:

  • Facebook: 30 milioni di utenti

  • Whatsapp: 32 milioni di utenti

  • Instagram: 20 milioni di utenti

  • LinkedIn: 14 milioni di utenti

  • Telegram:  9 milioni di utenti

  • Twitter: 3,7 milioni di utenti

  • Snapchat: 3,05 milioni di utenti

Questi software utilizzati da una fetta rilevante di italiani sono tutti gratis, di proprietà di privati, e di società non italiane.

Non voglio fare un articolo di informatica, ne nascerebbe una diatriba infinita, ma tutti questi software sanno chi sei, chi conosci e dove vai (GPS).

Non ne parliamo poi di Google – la società proprietaria di Android - che con le sue apps Google Maps (o Waze che è sempre di Google), Google Street View e Google Foto ci guida pure per strada fino al numero civico desiderato e se vogliamo in modo semiautomatico conserva le nostre foto sui loro server in cloud. Gratis.

Whatsapp, con 32 milioni di utenti, se installato in maniera standard (cioè quasi da tutti) ha accesso a Contatti, Posizione, SMS e numero di telefono. Quello che è anonimo sono i contenuti dei messaggi e le chiamate telefoniche perché, ci dice Mark, protetti con crittografia end-to-end. Ci fidiamo.

Stesso discorso vale per gli altri software, con poche e marginali differenze.

La privacy nella nostra società digitale è tema complesso ed infinitamente delicato, ma per essere trattato con cognizione richiede conoscenze e competenze notevoli.

Non come stanno facendo gli haters di Twitter e company che forniscono a tutte queste società da anni informazioni per poter essere skillati a fini commerciali (ecco perché sono gratis) e senza fiatare, GLI STESSI rompono ora le palle per un’app pubblica, anonimizzata e senza secondi fini se non la salute degli utenti, agitando la bandierina della privacy.

È bene che sappiano i difensori della privacy da social, che queste società, con le app dalle quali urlano e dalle quali sono skillati, hanno fatto diventare i loro proprietari i più ricchi della terra in pochi anni.

Di come ti chiami a loro interessa meno di niente; sei un id (Identificatore univoco) che ha determinate abitudini e preferenze e su queste informazioni fondano le strategie commerciali loro e delle società alle quali vendono i dati. Poco importa se a tirar fuori 100 euro per un prodotto è Paola o Enrico, basta che li spende grazie ai loro input.

E nessuno si lamenta o disinstalla le app, anzi gli utenti aumentano di anno in anno e Mark e Larry e Jeff e Jack diventano gli uomini più ricchi della galassia con applicazioni date gratis ai nostri soldatini compratori trasformatisi in defenders.

L’app “Immuni” ti direbbe, senza sapere chi sei e senza secondi fini, se hai o no incontrato una persona positiva al Coronavirus. Punto. Non sei interessato? Hai paura che ti schedino?

Non la installare e torna a farti classificare serenamente sul tuo Facebook così ti vendono qualcosa di interessante.

Così come è stata pensata l’app è sicura e ci sarà tempo per testarla visto che ancora non l’hanno realizzata. Io la installerò, senza timori, perché è un ottimo servizio pubblico.

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