Marco Brinzi, dopo il successo dello spettacolo Ich war Da dedicato all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema propone di nuovo alla cittadinanza e alle scuole uno spettacolo di argomento civile: letture scelte di pagine dalla Tregua di Primo Levi nel Giorno della Memoria. Dopo una breve introduzione dell’assessore Ilaria Vietina e di Luciano Luciani dell’ISREC la voce di Brinzi e la chitarra di Luca Giovacchini hanno condotto i ragazzi dalla liberazione di Auschwitz fino al termine del lungo nostos di Levi a Torino, riuscendo a dare vita alle attese, alle contraddizioni, alle false speranze e soprattutto agli incubi che riportano il protagonista a riemergere alla vita mentre attraverso un’Europa straziata torna in patria nel giro di quasi nove mesi. La voce di Brinzi e la graffiante chitarra elettrica di Giovacchini sanno alternarsi magistralmente lasciando senza fiato il pubblico, riuscendo a trasmettere oltre al dato storico una profonda e tragica esperienza umana. Uno dei momenti più toccanti sono le parole che Levi dedica a Hurbinek, figlio di Auschwitz, muto, che urla la sua testimonianza solo grazie alle parole dell’autore:
Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva.
Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all’ultimo respiro, per conquistarsi l’entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.
L’obbligo di testimoniare a nome di chi non è più, di chi non è riemerso dall’inferno del lager e rischierebbe l’oblio: questo il significato profondo delle parole di Levi che lo spettacolo ha reso perfettamente visibili.