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Scritto da Redazione
Economia e lavoro
18 Luglio 2020

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La Toscana è nelle ultime posizioni fra le regioni italiane come capacità di smaltimento e recupero energetico dei rifiuti; gli impianti esistenti nel territorio regionale sono quasi esclusivamente discariche, anch'esse largamente insufficienti; entro il 2020 o poco oltre si esaurirà la capienza delle discariche toscane.

In queste lapidarie e incontestabili affermazioni, certificate anche da recenti studi dell'Università di Firenze, sta lo scenario in cui si le imprese manifatturiere di Confindustria Toscana Nord sono costrette a muoversi. Il ricorso allo smaltimento in impianti esteri o comunque lontani dal territorio regionale è sempre più frequente, con importanti impatti ambientali dovuti ai trasporti, con costi sempre più elevati e con conseguente grave penalizzazione delle aziende, alle prese con concorrenti internazionali che ignorano problemi del genere.

Le elezioni regionali che si stanno avvicinando hanno nei temi ambientali uno dei riferimenti più importanti. Parallelamente, a livello nazionale si riscontra una stasi sul piano normativo solo in parte giustificabile con le difficoltà dettate della pandemia, dato che anche in precedenza si marciava senza la debita determinazione.

Confindustria Toscana Nord chiede da anni normative che favoriscano il riutilizzo degli scarti di lavorazione e quindi la riduzione del volume dei rifiuti, passaggio decisivo in direzione di un'economia circolare che non sia tale soltanto a parole. Il binario è doppio: riutilizzare di più gli scarti, ridurre quindi i rifiuti ma prendere anche atto che questi ultimi continueranno a esistere e ad esigere impianti per il loro smaltimento. Impianti di smaltimento che - nonostante errate e incomprensibili affermazioni diverse - non sono affatto in contrapposizione con i principi dell'economia circolare ma viceversa ne sono parte integrante: senza smaltimento non c'è recupero sul piano energetico e il ciclo non si chiude. Servono normative adeguate per favorire il recupero di materia, così come servono impianti per consentire il recupero di energia da quella parte della materia che non è riutilizzabile.

Niente di tutto ciò sta accadendo. Rimangono allo stato embrionale le norme nazionali sui sottoprodotti e sull'end of waste, vale a dire le regole per far sì che uno scarto di lavorazione o un prodotto già utilizzato non siano classificati come rifiuti ma vengano reimmessi nel ciclo di produzione; quanto agli impianti di smaltimento, all'orizzonte non se ne vedono. Eppure servirebbero, e molto, anche per i rifiuti urbani: impianti pubblico-privati sarebbero una buona soluzione che, integrata da impianti unicamente privati, potrebbe portare finalmente la Toscana a livello di civiltà nella gestione di questi problemi. Il dibattito pubblico appare viziato da approcci ideologici e populistici, assecondando timori della popolazione che, quando si tratti di progetti seri e correttamente impostati, non hanno ragion d'esistere.

Sul tema si registrano crescenti preoccupazioni e proteste da parte delle imprese. Settori come la moda, il cartario, l'edilizia e il lapideo - fra le più interessate al problema - fanno sentire la loro voce. Gli scarti dei quattro settori nell'area Lucca-Pistoia-Prato ammontano a 50.000 tonnellate per il tessile-abbigliamento; 200.000 tonnellate per il cartario; 1,5 milioni di tonnellate per gli scarti edili (demolizioni e terre e rocce da scavo; il dato è stimato in riferimento ai soli materiali che giungono negli impianti di recupero); 40.000 tonnellate per il lapideo (il residuo dell'estrazione e lavorazione delle pietre).

"Il tessile-moda produce scarti 'leggeri' ma di volume consistente; parliamo di residui delle fasi tessili di pettinatura, filatura, tessitura, rifinizione a cui si aggiungono i ritagli di confezione - spiega Francesco Marini, vicepresidente di Confindustria Toscana Nord ed imprenditore tessile -. Dal punto di vista tecnico una parte consistente di questi possono essere riutilizzati: non solo la lana, emblema del riciclo pratese, ma anche altre fibre. Tuttavia rimangono scogli normativi che rendono difficile e oneroso sottrarre alla classificazione come rifiuti sia gli scarti di lavorazione sia il cosiddetto post-consumo, cioè gli abiti usati. Qualche passo avanti per favorire l'utilizzo dei sottoprodotti si è fatto col 'Patto per il tessile' sottoscritto fra categorie economiche pratesi e Regione Toscana, Comune di Prato e Alia lo scorso gennaio, ma ancora siamo ben lontani dall'obiettivo. Siamo nel pieno paradosso: per l'economia circolare nella moda ci sono competenze e interesse delle imprese ma sono le leggi a remare contro. E i rifiuti tessili, che comunque anche con le migliori prassi di recupero rimarrebbero in quantità significativa, dove devono andare? Le società specializzate, data l'estrema scarsità di siti toscani in grado di ricevere rifiuti tessili, li portano in altre regioni o all'estero, con forti aggravi di costi. Una situazione non più sostenibile. I decisori pubblici nazionali e regionali non possono più sottrarsi all'assunzione di provvedimenti che risolvano questi problemi."

"Il settore cartario può dirsi fra i più virtuosi dal punto di vista ambientale - aggiunge Tiziano Pieretti, presidente della sezione Carta e cartotecnica di Confindustria Toscana Nord e vicepresidente di Assocarta -. Chi utilizza cellulosa vergine da foreste certificate produce pochissimo scarto; chi impiega la carta da macero da raccolta differenziata svolge un ruolo prezioso, riutilizzando materiale riciclato per produrre nuova carta composta interamente da fibre riciclate scartando meno del 10% (scarto pulper). Stiamo cercando di riutilizzare il più possibile anche quello ma non ci facciamo illusioni: esistono limiti tecnici tali da far dire che lo scarto di pulper, un po' di più o un po' di meno, esisterà sempre. Politici e amministratori se ne facciano una ragione: una soluzione va trovata. Ai tavoli regionali ci hanno detto, ed è anche nero su bianco, che si chiedeva ai privati di presentare dei progetti. Un progetto c'è, attendibile e utile anche a salvaguardare l'occupazione: quello di KME, che viene però ostacolato in maniera pretestuosa e incomprensibile. E' ora per la politica di cambiare registro e di assumersi responsabilità di scelte indispensabili e non più differibili. Lo scarto di pulper lucchese finisce in altri paesi europei, in spregio al principio, recepito anche dalla legge italiana, secondo cui i rifiuti vanno smaltiti in impianti di prossimità per limitare l'impatto ambientale dovuto al trasporto dei materiali. Intuibili i costi ingenti di questa situazione."

"Gli scarti delle attività edili, terre e rocce da scavo e materiali provenienti da costruzioni e demolizioni, sono materiali inerti che possono andare in discarica o essere recuperati dopo passaggi di selezione e frantumazione che ne fanno materie prime secondarie - interviene Alessandro Cafissi presidente di ANCE Toscana Nord-sezione Edili di Confindustria Toscana Nord -. In questo ambito la situazione è molto diversa a seconda dei territori. La situazione peggiore è in provincia di Prato, dove uno spazio dedicato agli scarti dell'edilizia non esiste, imponendo alle imprese edili pratesi onerosi trasferimenti dei loro scarti nelle province vicine. Un'area è stata individuata: confidiamo che questa carenza venga colmata quanto prima. Ma comunque il problema degli scarti edili  è generalizzato: anche dove gli impianti ci sono rimane aperta la questione del loro riutilizzo. Riutilizzare questi materiali è non solo compatibile con una gestione corretta dell'ambiente ma addirittura potrebbe consentire di realizzare importanti riqualificazioni, per esempio andando a colmare le cavità di attività estrattive dismesse o altre situazioni di erosione del suolo. Un altro uso possibile è per basamenti di opere edili di varia natura, ma sappiamo bene quale situazione di stasi esista in questo ambito. Perché questo non avviene? Perché manca un piano complessivo, che da anni chiediamo alla Regione Toscana, per orientare questi interventi, e comunque per inerzia delle amministrazioni."

"I residui fangosi della lavorazione delle pietre hanno caratteristiche diverse a seconda del materiale di partenza - conclude Fabrizio Palla, presidente della sezione Lapidei e varie di Confindustria Toscana Nord -. Quando derivano dal marmo bianco sono più facilmente riutilizzabili, mentre i fanghi colorati, provenienti da graniti e pietre varie, hanno ad oggi minori applicazioni industriali e finiscono, come rifiuto, in discarica, mentre solo in parte possono essere destinati a impianti di recupero che, con opportune lavorazioni, li portano allo stato di materia prima secondaria. Come gruppo lapidei di Confindustria Toscana Nord abbiamo sviluppato uno studio con la Scuola Sant'Anna di Pisa ed esperti tecnici locali per modificare i cicli produttivi, con notevole miglioramento degli impatti ambientali  - elevato risparmio idrico e riduzione dell'impiego di prodotti chimici -  e la possibilità di ottenere con questi fanghi un 'sottoprodotto' ben riutilizzabile in riqualificazioni ambientali, come materiale di riempimento di ex cave e di siti di altro genere erosi da varie attività umane o da processi naturali. Per portare avanti il progetto abbiamo cercato, a oggi senza successo, il coinvolgimento della Regione Toscana, dato che in altre regioni pratiche simili sono già consolidate. Occorre che anche in Toscana si guardi in maniera nuova ai temi ambientali. L'inerzia non paga, va solo a ingigantire i problemi. Serve un approccio proattivo e innovativo, che guardi ai residui della lavorazione lapidea e in generale ai materiali di scarto come a potenziali risorse. E' necessario che l'economia circolare lasci definitivamente le tavole rotonde ed entri nella vita quotidiana delle aziende. Sul piano tecnico si può fare: serve però la volontà politica."

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