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Mercoledì 21 Maggio 2025
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Scritto da Redazione
Enogastronomia
21 Maggio 2025

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Composta fino al 2024 da pochi filari, la prima vigna urbana moderna di Firenze ha rinnovato lo scorso anno il suo parco viti mettendo a dimora 700 nuove piante. Il terreno, esposto a nord-est, è gestito dall’azienda agricola donne Fittipaldi di Bolgheri, presieduta da Maria Fittipaldi Menarini che, con le quattro figlie Carlotta, Giulia, Serena e Valentina, si è lanciata con convinzione ed entusiasmo in questo progetto. “Questa vigna rappresenta anche la mia infanzia – ricorda Maria – quando i primi di settembre, di ritorno dalla villeggiatura, amavo cogliere gli acini e anche alcuni grappoli per la tavola”. La passione e l’esperienza acquisita in vent’anni di creazione e gestione della loro azienda agricola a Bolgheri l’hanno convinta a far rivivere la vecchia vigna di casa. “In qualche modo – prosegue Maria – volevo dare un segno e un senso di continuità a questa casa, particolarmente amata da mio padre Mario. È passato giusto un anno da quando mettemmo a dimora le barbatelle ed oggi è davvero grande l’emozione per me e le mie figlie di vedere ogni barbatella già trasformata in vite con le prime foglie e soprattutto le prime infiorescenze. Questa vite ci racconta la vita che continua.”

Intanto Vigna Michelangelo fa già parte dell’Urban Vineyards Association presieduta dall’italiano Nicola Purrello con il suo vigneto urbano a Catania ai piedi dell’Etna. Un’Associazione che si estende su 10 Paesi in 4 Continenti, per un totale di 21 vigneti urbani: da Venezia a Torino, da Parigi a Barcellona, da Londra a Los Angeles, da Brasilia a Melbourne.
Questa vigna è vista come elemento in grado di ricomporre l’insieme di patrimonio rurale, storico e paesaggistico tipico di una comunità urbana ancora lontana dall’industrializzazione. Un progetto in grado di esaltare la biodiversità e di contribuire alla sostenibilità urbana. Progetto che era partito il 29 settembre 2021, presentato poi alla stampa il 22 aprile 2022, e che prevedeva la completa riconversione dell’impianto con l’inserimento di viti da allevare con il sistema ad alberello, compatibile con la pendenza del terreno, in simbiosi con le piante di olivo già in produzione. Le varietà sono state scelte con cura storica tra le varietà toscane più tradizionali, incluse quelle a rischio di estinzione perché poco redditizie, ma di altissima qualità. Chiaramente questo progetto non rappresenta solo un progetto viticolo ma deve essere considerato come un omaggio alla città di Firenze ed alla Toscana essendo fatto da varietà autoctone della regione.
L’aspetto tecnico è seguito da alcuni tra i migliori professionisti della Toscana come l’agronomo Stefano Bartolomei e l’enologo Emiliano Falsini. “Il vigneto che siamo andati a realizzare – sostiene Stefano Bartolomei - è un vigneto giardino e sarà perfettamente integrato con l’ambiente circostante per mantenere inalterate le caratteristiche del paesaggio”. “Per quanto riguarda il vino che verrà, mi immagino un vino dal sapore antico che affonda le sue radici nella tradizione toscana ma con uno sguardo rivolto al futuro in chiave moderna – prevede Emiliano Falsini. La componente varietale e di territorio richiameranno un sapore che identifica la Toscana classica (base Sangiovese con altre varietà autoctone) ma dove cercheremo di avere un respiro moderno e contemporaneo basato sulla freschezza, bevibilità, eleganza: un vino complesso ma mai complicato capace di parlare un linguaggio tradizionale, contemporaneo e attuale.”
La Vigna Michelangelo è costituita da 700 viti così suddivise:
300 viti sono di Sangiovese, vitigno principe della Toscana, con i cloni scelti nella selezione CCL2000.
150 viti sono di Canaiolo, anch’esso vitigno molto diffuso in tutti gli areali chiantigiani, utilizzato per conferire eleganza e leggerezza ai Sangiovese più austeri, ma anche per il vino d’annata con la pratica del “governo alla toscana”. 
100 viti sono di Foglia Tonda, vitigno coltivato con successo in Val d’Orcia e nella Valle dell’Arno, che unito al Sangiovese dà maggiore robustezza al vino e maggiore longevità.
Altre 100 viti sono di Pugnitello, varietà che sta offrendo interessanti risultati in Toscana, e che deve il suo nome alla caratteristica forma del grappolo a piccolo pugno chiuso.
Infine, 50 viti sono di Colorino del Val d’Arno, conosciuto anche come Abrostino o Abrusco. Il nome è dovuto alla sua buccia, intensamente dotata di colore rosso cupo. In autunno le foglie si colorano di un rosso fuoco e, con le striature rosso violacee in prossimità di qualche nodo, offrono un effetto scenico unico.
Come dicevamo, per l’impianto è stata scelta la forma ad alberello, la forma più antica di allevamento conosciuta, già praticata da Greci e Romani, ma anche la più qualitativa e costosa: consente di controllare molto bene lo sviluppo arboreo della pianta e tenerlo limitato a favore di una migliore crescita dei grappoli.  In pratica non abbiamo i consueti filari con i fili di ferro, ma ogni vite è protetta e si appoggia ad un piccolo tutore di legno. Le viti della Vigna Michelangelo, insomma, saranno curate e coccolate affettuosamente per ricavarne un vino fuori dal comune. “Questa forma di allevamento – continua Stefano Bartolomei – richiede una lavorazione totalmente manuale, con costi di gestione importanti. I grappoli sono più accessibili e facili da tenere sotto controllo a pieno vantaggio della maturazione e della qualità delle uve. Per l’impianto si è scelta la forma cosiddetta a ‘quinconce’. Ogni alberello si trova sui vertici di un quadrato che ha un’altra vite al centro, come la faccia di un dado con il numero 5”. L’aspetto visivo sarà scenicamente spettacolare: i filari potranno essere percorsi in lungo, in largo e in diagonale a piedi o con macchine di piccole dimensioni senza trovare ostacoli. Sarà così ottimizzata l’occupazione del suolo e la vite potrà sviluppare le sue radici nel migliore dei modi anche su questo terreno ripido. “Mi viene in mente – dice Maria – l’incitazione di Veronelli a ‘camminare le vigne’. Si potrà così farlo anche in città con la prospettiva di contribuire a rendere di nuovo vivibile e salutare una parte del contesto urbano.”
Quale sarà il futuro per la Vigna Michelangelo? Le viti daranno i primi frutti adatti alla vinificazione solo fra due anni, per raggiungere poi il vertice della qualità molto dopo. Il vino richiede pazienza, ma intanto l’appuntamento è per la vendemmia 2027 con la produzione della prima botte di vino dal vigore interamente michelangelesco. “Da quella botte si ricaveranno circa 700 bottiglie – conclude Maria - da vendere sul mercato internazionale tramite aste con finalità benefiche di sostegno sociale. Il fine della vigna non è comunque solo il vino, ma il rapporto che si crea tra uomo, terra e aria, un rapporto che ridimensiona la sterilità del cemento e dell’asfalto con la ricerca di un rispetto reciproco”. Diceva Andy Warhol: “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”. Se poi da questa terra nasce anche un grande vino, l’opera d’arte si completa. 

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