Ciò che sto scrivendo sarebbe destinato solo a chi è paracadutista, ma credo che parlare di persona seria faccia bene a tutti, e allora ho scelto di mandarlo a tutti i miei lettori. Neppure il titolo mi veniva.
“È andato via” non era corretto, come “ci ha lasciati”. Non potrà mai andar via da noi, non ci lascerà mai il suo ricordo. E non è retorica. Ci sono comandanti che passano, e quelli che lasciano cicatrici indelebili nella memoria.
Lo conobbi alla Folgore, ero un giovanissimo sottotenente e lui il mito, il comandante della famosa Compagnia Esplorante Autonoma Paracadutisti. Lo rimase sempre e annualmente li riuniva ancora, e anche quando aveva 80 anni gli si stringevano intorno. Erano i suoi ragazzi di leva. Quelli che di norma transitavano per un anno nelle Forze Armate e non vedevano l’ora di tornare alla fabbrica, all’officina, ai campi, ai libri. Ma di quell’anno con Celentano hanno evidentemente mantenuto memoria. Coi capelli bianchi e un po’ di pancetta, a volte, ma fieri di dire “ero della C.E.A.PAR.!”
Lo ritrovai quando lavorava allo Stato Maggiore Difesa e io al Comando Generale. Non era solo “Folgore … e si moriva!” Si capiva che prima di parlare aveva studiato, e che se apriva bocca era perché aveva qualcosa da dire.
È stato poi uno dei miei comandanti di brigata alla Folgore. Senza nulla togliere agli altri, eccellenti, credo il migliore. Forse prima e dopo di lui ci fu di meglio, ma non li ebbi come miei superiori. Sicuramente vi fu di peggio ed ebbi la fortuna di non prestar servizio alle loro dipendenze.
Uno che mangiava dopo l’ultimo suo paracadutista. E un professionista che ogni volta che veniva a vedere cosa stessimo facendo in esercitazione, comprendeva e dava un contributo concreto. E se era andato tutto bene lo faceva capire, senza sottilizzare per far vedere di esserci. Credetemi, non è da tutti. E lui c’era.
Uno che metteva davanti a tutto l’esigenza di prepararsi a far la guerra, considerato ciò che eravamo. Uno che trascorreva la notte di festa a visitare i reparti per far gli auguri ai ragazzi in servizio di guardia. E ci passò i guai quando credettero che chissà che insabbiamenti volesse fare. 20 anni di calvario, finiti in nulla. Era strano che un comandante la notte girasse fra i suoi uomini che non potevano festeggiare, comprensibile siano sorti sospetti. Strano, se non ti chiami Enrico Celentano. Roba che poteva far lui, e pochi altri.
Gli perdonavo il suo insistito ed eloquente italico “Voi”, seguito da locuzioni in medievalese, ma era capo chiaro e leale alla Patria.
Soldato d’altri tempi, e modernissimo, ebbe il coraggio di raccogliere lo “Zibaldone” – un insieme di vignette e articoli paradossali che fotografavano la situazione italica – e ce lo regalò come “stupidario”, qualcuno gli volle male e lo fece passare per il suo pensiero. Meritava fedeltà, perché era persona pulita, ma in questo mondo in genere queste persone finiscono fregate.
Noi carabinieri paracadutisti lo seguimmo, magari smadonnando per la sua mania di far sfilare inquadrati dopo l’alza bandiera, ma aveva ragione. Se perdi pochi minuti al giorno a fare una cosa, non hai bisogno di gran lavoro per muovere in parata nelle ricorrenze solenni. E questa lezione vale per tutto. Abituarsi a far le cose semplici, come andavano fatte, senza troppi fronzoli e chiacchiere, tutto lì.
“Quanno lo capo se toglie lo elmo, tutti gli uomini si tolgono lo elmo”.
Il sunto del suo lascito. Il capo va seguito, chiunque sia. Poi – magari – si vede.
Il capo fa ciò che fanno gli uomini, e se il capo riposa, possono farlo tutti. Se il capo sfanga e fatica, idem.
Non so quanti gli possano essere grati. Io sì.