Jorge Mario Bergoglio, il Papa gesuita assurto al soglio di Pietro con il nome di "Francesco", ci ha lasciati. Tutta la cristianità lo piange, come è giusto e doveroso che sia. Troppo presto per trarre un giudizio storico sul suo pontificato, durato 12 anni. Un periodo durante il quale il Vescovo di Roma ha dovuto fronteggiare non pochi epocali stravolgimenti. Innanzi al segno dei tempi nuovi, sia sul piano politico sia su quello etico, l'ex Vescovo di Buenos Aires ha dovuto misurarsi con la velocità, la straordinarietà e la vastità del cambiamento. Per poter adeguare la Chiesa ai nuovi orizzonti che gli si sono parati innanzi, ha corso il rischio di secolarizzarla rincorrendo spesso gli eventi che, per loro natura, sono tragici come le guerre, oppure insidiosi come quelli sociali. Siamo stati, su queste stesse colonne, più volte critici verso un Pontefice che tutto voleva sembrare tranne che il Vicario di Cristo in Terra. Dismessa radicalmente ogni aura che ne rendesse ieratica e sacra la figura, Bergoglio ha mostrato, infatti, più volte atteggiamenti e modi di essere più da missionario che da "Capo" della Cristianità. Non ha mai dismesso quella originaria vocazione di pensare al mondo come un tutt’uno con le sue tragiche miserie, le grandi differenze socio-economiche e i bisogni primari da soddisfare nelle degradate periferie del Sud America. Il pauperismo ad oltranza è apparso il dato distintivo della sua azione pastorale, la sua principale preoccupazione. Per testimoniare questa vocazione, Francesco ha fornito anche un'interpretazione piuttosto originale della dottrina sociale della Chiesa, arrivando a ritenere che il concetto stesso di proprietà potesse coincidere con un abuso, con il segno ed il risultato di un pregresso sfruttamento. In sintesi: Bergoglio non ha mai abbandonato la cosiddetta "teoria della liberazione", ideata dal Vescovo di Recife, don Elder Camara, coi i suoi preti operai o rivoluzionari, come una nuova teologia per le parrocchie latinoamericane. Una Chiesa povera per i più poveri, che seppur giusta ed etica in quel contesto geopolitico, ne relegava l'azione ecumenica ad una visione parziale della società praticamente di stampo socialista. Se c'è un appunto critico che si può muovere al pontificato di Jorge Mario, è proprio quello di aver limitato e ristretto a quella unica visione pastorale l'azione del Vaticano, lasciando fuori dalla porta della speranza, di essere redenti e salvati, tutti coloro che non vivevano quella misera condizione. E in questa ottica monotematica si è sviluppata anche la politica sul fenomeno migratorio accettato tout court senza limiti, sul favorire il multiculturalismo religioso, sull'essere "deboli" nel combattere e condannare le violenze ed i massacri compiuti anche ai danni dei tanti cristiani colpiti dalle frange violente dell’Islam, vittime della "sharia" e della "jihad". In parole povere: Francesco non ha mai seguito il suo predecessore Benedetto XVI, che, con il discorso di Ratisbona, ben rimarcò le differenze esistenti tra le due religioni sul versante storico, etico-sociale e politico, affacciando la possibilità che l'equiparazione di tutti i credi e la tolleranza senza limiti avrebbero potuto creare una specie di equipollenza che non è mai esistita tra la fede dei cristiani, che ha dato i fondamenti a tutta la civiltà occidentale, e quella musulmana. Anche sul piano dello stravolgimento di taluni valori etici, provenienti dal mondo laico, che hanno non poco disorientato i fedeli, Francesco è apparso piuttosto permissivo. Sono infatti passati in cavalleria come esiti "sociali" già acquisiti dalla collettività, i cosiddetti "diritti" delle coppie omosessuali, delle famiglie queer, le teorie gender, la manipolazione e la selezione eugenetica degli embrioni, gli uteri in affitto, l'eutanasia, il "sesso liquido", l'aborto inteso come arbitrio e spesso come abuso in mano decisionale alla sola donna. Materie, queste ultime, che hanno lasciato la Chiesa praticamente estranea ad un fermo e deciso intervento del Papa, vicariato, spesso, dalla sola Conferenza Episcopale. Infine restano i reiterati Concistori con i quali Bergoglio ha determinato, "ad abundantiam", la futura geografia politica del Conclave e, con esso, le caratteristiche del proprio successore, quasi a voler incanalare il futuro della Chiesa di Roma in quello stesso sentiero da lui fin qui percorso. Tutte crepe dottrinarie inserite nel corpo vivo del credo cattolico. Variazioni in tema di fede e testimonianze di vita che gli hanno procurato senz'altro grandi simpatie da parte degli "atei devoti", quelli ai quali piace la Chiesa accondiscendente e politicamente allineata con il proprio modo di pensare. Insomma in populismo che nel contempo, però, ha svuotato sia le parrocchie che le vocazioni nei seminari. Ammettiamolo: Francesco è stato un Papa "piacione" all'esterno, ma che ha retto con mano ferma e modi autoritari la Chiesa all’interno, sbarazzandosi con autoritarismo dei suoi critici. Ha piegato alla propria visione del mondo una chiesa che per fare tutto quello che egli ha fatto, in altri tempi e con altri Pontefici, avrebbe avuto bisogno di qualche enciclica papale in più se non di un Concilio Ecumenico.