Riceviamo e pubblichiamo questa lettera circa una situazione di malasanità che si è verificata al pronto soccorso dell'ospedale "San Luca" di Lucca:
«Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapienza e ‘l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».
Questa è l’iscrizione che il Sommo Poeta trova innanzi all’entrata verso gli inferi nella sua Divina Commedia e questo, in linea di massima, dovrebbe essere l’avvertimento che precede l’ingresso al pronto soccorso dell’ospedale San Luca di Lucca.
Sia “l’etterno dolore” che “la perduta gente” ben descrivono la condizione dei malcapitati pazienti e del frustrato ed impotente personale sanitario. Ebbene, in questo caso non vi sono “dannati” puniti e “demoni guardiani”, ma solo un inferno comune a tutti dove, veramente, vale “lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, sia che l’accesso avvenga per necessità di cure (urgenti, visto il servizio in questione) che per svolgere il proprio lavoro.
Scrivo queste poche righe per denunciare lo stato di “malasanità” in cui versa il nostro ospedale e di cui sono stato testimone per circa cinque ore.
Alle quattro della mattina di mercoledì 10 agosto, mia cognata accusa problemi cardiaci e viene chiamata un’ambulanza che, dopo pochi minuti il prelevamento, è davanti al pronto soccorso del suddetto ospedale.
La ragazza si trova, pertanto, in una barella dentro le stanze della struttura ospedaliera nel primo mattino di una giornata infernale. A questo punto termina la logica ed inizia la follia.
Senza entrare nei particolari, scrivo solo che questa paziente non è stata mai presa in carico da un medico dato che alle 5 del pomeriggio del medesimo giorno, ossia dopo 13 ore, non si avevano notizie alcune e la stessa ha deciso di andarsene da quel girone dantesco. Inoltre, dopo poco tempo dal suo ingresso, poiché serviva la barella su cui era stata trasportata, la persona in questione è stata fatta accomodare in sala di attesa. Tralascio alcuni particolari vergognosi, indegni di un popolo che si autodefinisce “civile” (come il vedere una persona con catetere che esce tranquillamente dallo stabile e decide per farsi una passeggiata o prendere un caffè portando fieramente il sacchetto dove viene contenuta l’urina con la mano sinistra oppure un ragazzo con una caviglia notevolmente gonfia a causa di una frattura che non è stata trattata, ossia senza contenimento alcuno, che per cinque ore è abbandonato su di una sedia a rotelle con la possibilità di uscire tranquillamente per fumarsi una sigaretta ogni tanto ed altre “tristi letizie”) per chiedermi a quale miserevole condizione siamo arrivati.
Mia cognata è stata fortunata: un evento patologico cardiaco temporaneo che non ha comportato conseguenze spiacevoli ma verso il quale, comunque, occorre porre attenzione con opportuni esami diagnostici segnati dopo una visita cardiologica effettuata “intramoenia” nello stesso ospedale il giorno dopo (ovviamente, quando ulteriormente si paga rispetto le già salate tasse, si ha anche celerità, un buon servizio ed un’ottima competenza); mi chiedo, invece, come sta quel ragazzo che attendeva assieme a lei e che denunciava dolore al petto con pressante mal di stomaco da ore e che, al personale del pronto soccorso, faceva presente il fatto che suo padre fosse deceduto per infarto come lo zio. Anch’egli non sembrava esser degno di attenzione da parte della struttura.
È la decadenza totale.
Certamente: disorganizzazione e tagli criminali hanno massacrato il personale che cerca in qualche modo di lavorare e che, molto probabilmente a causa della frustrazione e del pesante stress psicofisico a cui è sottoposto, non riesce a gestire sia verbalmente che operativamente la grave situazione ed il numero dei pazienti, venendosi a creare una condizione di pericolo grave per la salute dei cittadini tutti. Non credo proprio sia il caso di lanciarci in imprecazioni contro medici ed infermieri, anche se il paziente ed i parenti che giustamente sono preoccupati della sua condizione di salute, si trovano spesso trattati con sufficienza se non con totale indifferenza, quasi fossero loro stessi il problema della struttura.
La situazione è molto grave ed è preludio al caos poiché il malumore che serpeggia fuori e dentro quel pronto soccorso è notevole. Se da una parte esistono delle condizioni invalidanti per i medici e gli infermieri che lavorano in quel luogo, dall’altra vi sono i pazienti che soffrono e sono potenzialmente in pericolo di vita a cui non interessa delle “giustificazioni” al disservizio (oserei dire: giustamente) e vedono nell’ospedale una sorta di “traditore” che non si cura affatto della loro salute (visione spesso confermata dalla stanca e malcelata mortificazione del personale sanitario che sfocia in un – spero - apparente menefreghismo).
Da cittadino onesto che paga le tasse pretendo (ed è nel mio pieno diritto) che il servizio pubblico ospedaliero funzioni correttamente e non mi interessa la promozione di attività sanitarie private a cui necessariamente si arriva data la penosa situazione.
Questa gravissima inefficienza è figlia di molti padri tra cui l’evidente incapacità gestionale e la totale mancanza di valori etici che hanno da sempre identificato la civiltà di un popolo. Vi sono sicuramente persone che dirigono queste strutture ed a cui va rivolta tutta l’attenzione possibile perché il sistema da loro gestito non funziona ed è addirittura divenuto un pericolo per tutti noi.
In una nazione che ha sopportato lo sfacelo di una pandemia, notare che nulla è cambiato, ma anzi peggiorato, nel proprio sistema sanitario è deprimente e porta ad amare considerazioni che ricadono nei maledetti vizi di questo “belpaese”.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate".