Giugno era il mese in cui si affilavano le falci per il taglio del grano. Era questa una operazione che impegnava la famiglia contadina, a volte per settimane, secondo l’ampiezza dei campi propri od altrui. Più spesso erano di altri quei campi sterminati, biondi come l’oro, cosparsi di papaveri rossi, che di notte si accendevano di milioni di lucciole.
«Il venti di maggio tutto spigato, il venti di giugno tutto granito», dicevano i nostri contadini e ciò si poteva avverare soltanto se la stagione fosse stata propizia e se si fossero seguiti con scrupolo gli insegnamenti dei vecchi che provenivano da esperienze maturate nei secoli.
La semina, ad esempio, da noi si effettuava abitualmente di novembre, ma mai nei giorni di martedì e venerdì perché «né di venere né di marte non si semina, non si parte, non si dà principio all’arte».
Per un raccolto abbondante si dovevano gettare i semi a luna calante perché «chi semina a luna crescente perde il raccolto e la semente».
La neve d’inverno era una mano benedetta per un buon raccolto perché «sotto la neve ci sta il pane, sotto l’acqua ci sta la fame». L’ultimo controllo si faceva ad aprile, con l’augurio che il cinque, per San Vincenzo Ferreri, fosse una bella giornata: «San Vincenzo chiaro, assai grano; se è scuro, pane niuno».
Si aspettava quindi che il grano giungesse allo stato di maturità e non di secchezza ed a quel punto si poteva dar inizio alla operazione del taglio. Era un lavoro massacrante. Contadini, uomini e donne iniziavano a lavorare alle prime luci dell’alba, ad evitare le ore più calde e chini fra papaveri e spighe continuavano fino alle 11del mattino, con una interruzione per consumare la merenda a base di frittate, insalata, formaggio, cipolle e frutta. Riprendevano il lavoro verso le cinque del pomeriggio e tiravano avanti fino all’ora di cena. Così, per giorni e giorni.
Le spighe tagliate a fior di terra, venivano legate in manne e poi lasciate sul campo, esposte al calore del sole, finché non fossero completamente secche, pronte per la battitura. Operazione questa, dalla quale si otteneva il distacco dei granelli dalla spiga; poi i semi venivano ventilati per liberarli dalle scorie, e finalmente riposti nei sacchi per la molitura. Quella polvere bianca che ne derivava, la farina, era un qualcosa di sacro, tanto è vero che prima di impastarla per farne pane, la massaia si faceva sempre un segno di croce.