Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la lettera inviataci dal professore Riccardo Massagli in merito ai lecci di Villa Bottini.
Mi chiamo Riccardo Massagli, sono un insegnante e storico dell'arte. Mi sono laureato in storia dell'arte medioevale a Firenze, sono stato borsista presso la Fondazione Longhi e ho conseguito il dottorato in Storia dell'Arte sempre occupandomi di storia dell'arte lucchese. Per circa 10 anni ho collaborato stabilmente con la Soprintendenza, nello specifico occupandomi dell'inventario dei Musei Nazionali Lucchesi e della sezione didattica di quei musei conducendo percorsi didattici e incontri culturali estesi a tutta le cittadinanza oltre che alle scuole. Sono stato relatore di conferenze e convegni e ho all'attivo diverse pubblicazioni scientifiche tutte riguardanti il medioevo lucchese e la pittura del Quattrocento a Lucca.
Vi invio una riflessione legata ai 5 lecci che si intende tagliare presso il parco di Villa Bottini perché allo stato attuale l'aspetto storico culturale della questione non mi sembra emergere dagli interventi emersi in questi giorni. So di inviarvi un testo un po' denso ma vi sarei davvero grato se poteste pubblicarlo integralmente perché tocca, in modo scientifico, una serie di argomenti profondamente interconnessi che credo sia davvero urgente mettere in campo su questa questione così accesa. Decurtarlo sarebbe impoverirne il contenuto e ora più che mai c'è bisogno di offrire spunti solidi e sfaccettati di riflessione per il dibattito in corso anche da un punto finora poco toccato, quello storico artistico.
Vi ringrazio anticipatamente per la vostra attenzione.
La decisione di tagliare i cinque grandi lecci che ombreggiano oltre il muro perimetrale del parco di Villa Bottini su via Santa Chiara, è un’operazione che, se portata a compimento, segnerà in negativo la storia culturale e politica della nostra città. La sopravvivenza dei cinque alberi potrebbe, viceversa, essere l’occasione per scrivere una significativa pagina di collaborazione fra enti e cittadinanza. Il mio intervento, come storico dell’arte, si focalizzerà solo su uno degli aspetti di rilevanza che spingono alla salvaguardia delle piante di Villa Bottini, quello, cioè, connesso alla loro valenza culturale.
Lucca, nel variegato panorama dei centri d’arte europei, ha un posto di rilievo soprattutto per la sua natura urbanistica. È infatti costituita dalla stratificazione e dall’intreccio di elementi che una plurisecolare politica di controllo e gestione di spazi urbani ed extraurbani ha risolto in quell’armonia strutturale riconosciuta quale tratto distintivo di questa città. Gli alberi sono componente essenziale di una tale partitura architettonica. Non occorre scomodare i dannunziani riferimenti all’arborato cerchio per trovare conferma di quanto gli alberi siano intimamente connessi con l’immagine e con l’immaginario della città in questione. La cinta muraria cinquecentesca fu munita di alberatura già prima dei noti interventi ottocenteschi che trasformarono una delle più imponenti opere di difesa d’Europa in un parco pensile di portata romantica. Confermate dalla trattatistica d’epoca e dalla bibliografia scientifica di riferimento, le planimetrie e le vedute urbane sei e settecentesche ci informano come gli alberi venissero piantati sulle cortine per rafforzare con le radici i terrapieni ed elevare con le chiome l’altezza delle strutture difensive. Allo stesso modo è noto come la Guinigi non sia l’unica delle antiche torri chiomate di alberi, per altro della stessa specie di quelli che ora s’intendono tagliare presso Villa Bottini. Il verde urbano ha una storia affascinante ancora poco indagata che è ben percepibile da posizioni sopraelevate: il sistema dei giardini chiusi e delle corti rimarca ancora oggi l’abitudine antica di piantare anche alberi di pregio negli interstizi della planimetria. Per un certo periodo, intorno alla metà del XVII secolo, l’interno dello spazio dell’anfiteatro romano fu occupato da orti coltivati. Nell’evolversi continuo dei gusti, delle tendenze e delle conoscenze botaniche, la città si arricchiva di piante non autoctone e ogni nuovo ingresso botanico fu spesso collegato a un preciso contesto politico e culturale. Esempio forse più noto è quello della magnolia, albero che fa il suo ingresso trionfale in epoca napoleonica importato dai francesi, e che costituisce oggi una delle emergenze arboree più connotanti del paesaggio antropico lucchese.
Il gusto estetico, come è noto, è un parametro costantemente mutevole e in evoluzione. Su di esso ogni civiltà ha impostato scelte politiche e culturali. In questo, la parte politica ha un ruolo fondamentale soprattutto se si assume, come oggi è auspicabile, anche un ruolo pedagogico. Ogni fase storica richiede che ci si educhi a una nuova estetica anche e soprattutto in relazione con lo spazio naturale. Oggi, a Lucca, siamo indietro rispetto al sentire del nostro tempo. C’è un’urgenza globale di adeguare l’intero sistema di vita a un’ottica nuova, ecologica in senso ampio e profondo. L’estetica non può sottrarsi a questo processo accelerato. Vi è inevitabilmente implicata. Pertanto deve conciliare due necessità: quella di preservare gli apparati storici e quella, attualissima, di includere in questi stessi apparati gli elementi naturali che fino a pochissimo tempo fa, nel contesto delle Soprintendenze, venivano etichettati come ‘beni paesaggistici’. Gli alberi, nei casi specifici come Lucca, non sono solo paesaggio. Dell’architettura e dell’urbanistica sono la parte viva, mutevole e bisognosa di attenzioni particolari.
Rispettare l’archivio arboreo storico del tessuto cittadino è una priorità che non può essere disattesa e che è parte di questa sensibilità rinnovata che non dobbiamo ignorare. I cinque lecci di Villa Bottini sono il segmento di una stratificazione che interessa da secoli un’area della città. Le chiome dei lecci connotano la veduta prospettica di via Santa Chiara sia dall’imbocco sud - quando, svoltando da Via Elisa, essi movimentano l’infilata del muro perimetrale della Villa -, sia da Nord - dove la loro indubitabile imponenza si staglia a distanza guardando dallo sbocco di Piazza San Francesco. Proprio da qui, lo spazio d’ombra che essi contribuiscono a creare in concomitanza con le verticali della Pia Casa, anima in senso chiaroscurale quell’angolo urbano, vero e proprio cannocchiale capace di mettere a fuoco, con una soluzione di quinte d’integra bellezza, il portale manieristico del muro del parco di Villa Bottini, a seguire i lecci e, oltre, il complesso di San Micheletto col suo elegante binomio di facciata e campanile. Si tratta di una delle visioni urbane più caratterizzate e suggestive della città. Gli alberi sono parte integrante di questa visione, non possono venirne scissi. L’area urbana in questione, non dimentichiamolo, nasce come suburbio esterno alla cinta medievale e sarà oggetto delle lottizzazioni cinquecentesche sulle quali, per l’appunto, sorgerà anche il Palazzo Buonvisi al Giardino, oggi Villa Bottini. Un’area fatta di luce, di pieni e di vuoti che sapientemente lo sviluppo urbano ha saputo preservare quasi a contrasto con l’intrico compatto del nucleo antico della città. Le prospettive urbane di quest’area vivono di un’atmosfera rarefatta, determinata dalle riqualificazioni successive dei quartieri che piano piano hanno occupato lo spazio incolto. Sarà il Settecento a sigillare questa contrada con una sobria e asciutta geometria di edifici di media altezza che aprono ampi ritagli di cielo su prospettive ariose, costruite su precisi punti di riferimento: valga come esempio l’asse di Via delle Sette Arti che confluisce verso la facciata di San Ponziano, visto dall’innesto di Via Santa Chiara. Anche la stessa Via Elisa, in direzione dell’omonima porta, in epoca Neoclassica viene armonizzata con tale visione in una soluzione di austera semplicità. In questo quadro alleggerito, gli alberi, i più antichi come quelli di più recente istallazione, vanno a costituire una sapiente partitura contrappuntistica che segna, con ritmo variabile ma puntuale, tutto lo snodarsi viario dell’area: si pensi alle conifere sull’ingresso ellittico subito dentro Porta Elisa innanzi a Palazzo Froussard o ai gingki e alle altre piante che ornano il salotto erboso sul fianco di San Micheletto. I cinque lecci di Villa Bottini fanno parte di questa musica architettonica che è viva. Pertanto chiunque volesse ragionare di mantenimento e rispetto del tessuto storico e culturale della città, dovrà includerli nel patrimonio peculiare di questo quartiere così singolare ed escogitare una soluzione che contempli la loro salvaguardia. Esempi illustri di un nuovo e coraggioso modo d’intendere la convivenza di contesti abitativi o storici ed elementi arborei sono il grande cipresso del convento di Santa Croce a Villa Verucchio, il pino secolare di via Burchetti a Scandicci, l’esoscheletro in acciaio progettato per la grande quercia di piazza XXIV maggio a Milano, vero e proprio caso di avanguardia in Europa.
Veniamo ora, per chiudere, alla questione del presunto decoro. Sembra di comprendere dalla letteratura giornalistica sull’argomento, che i tiranti e rinforzi murari adottati per mettere in sicurezza il muro, reso pericolante dai lecci in questione, siano antiestetici. Si è parlato di decoro, parola ambigua su cui riflettere ma non qui, per motivi di sintesi. Le strutture di mantenimento esterne non sono affatto antiestetiche ed anzi, ad un’attenta analisi, esse non sono altro che il segno di una stratificazione che indica l’attuale manovra di attenzione per la messa in sicurezza del muro. L’immaginario urbano europeo è maturo e il patrimonio visivo a esso relativo, quanto meno per gli addetti ai lavori, deve essere tale da farci ben comprendere come le suddette strutture non intacchino l’integrità stratificata della strada storica. Val la pena ribadire come soluzioni analoghe siano visibili da più di un decennio in altre sezioni della città altrettanto storiche, ad esempio sullo sbocco di Via San Paolino su Piazzale Verdi all’altezza dell’ex Ospedale di San Luca. Forse è bene ricordare come Lucca sia tempestata di tiranti storici che compaiono a bella vista su facciate e murature antiche. Ogni epoca è dovuta ricorrere a interventi di ricovero e messa in sicurezza e col tempo questi elementi sono divenuti parte del così detto arredo urbano: sono testimonianze della cura continua che la civiltà dedica ai propri spazi vitali intervenendo anche sul patrimonio dei secoli precedenti. A dirla tutta, il vero problema, non solo visivo, di Via Santa Chiara è quello delle macchine parcheggiate in modo più o meno selvaggio, non certo la presenza di decorose anime in metallo che sorreggono la parete. Il vero disturbo in termini di alterazione della leggibilità sono i mezzi parcheggiati ma una città deve anche vivere e questo è un compromesso che conosciamo bene. Se per necessità non possiamo rinunciare ai parcheggi in strade storiche del centro, perché mai non dovremmo essere capaci di tollerare quattro strutture reggenti in metallo aderenti al muro?
All’interno del parco della Villa, i tiranti ancorati a strutture di cemento non intaccano in alcun modo la visione globale dell’edificio e del suo bellissimo parco. Siamo abituati a vedere quel giardino e tutta la sua villa impiegati per molteplici usi: mostre, fiere, cinema estivi. Villa Bottini non è certo un monumento ingessato, anzi, si presta, nel pieno rispetto della sua conservazione, a essere contenitore vivo e partecipe della storia presente. Se qualcuno volesse criticare i cinque tiranti, ubicati lateralmente rispetto agli spazi utilizzati di prassi per le varie manifestazioni, dimostrerebbe o mancanza di cultura aggiornata o voglia di strumentalizzare la questione per procedere ciecamente su una via il cui scopo mi sfugge. Se il fine per cui s’intende tagliare le cinque grandi piante è la sicurezza, al momento con tiranti e strutture siamo a posto. Infatti non vi sono transenne protettive nei paraggi, segno che quella soluzione al momento rende sicura l’area. Se, viceversa, la questione fosse di tipo estetico, allora saremmo di fronte ad un brutale e grave episodio d’ignoranza culturale. Tuttavia, la fiducia che voglio riporre nelle istituzioni che si occupano della mia città mi impedisce di prendere in considerazione questa seconda ipotesi.
Il taglio degli alberi a Lucca ha una sua, ahimè, suggestiva tradizione che affonda le radici nelle origini stesse della città. Come è noto l’etimologia tuttora non risolta della città sembra alludere al lucus, probabile bosco sacro che si trovava ubicato sull’ansa interna dei rami dell’Auser su cui sorse l’insediamento romano. Per l’edificazione della cittadella fortificata, quel bosco forse fu raso al suolo. Sembra pertanto scritta nel destino la difficile relazione fra questa città e gli alberi. Del resto, nella toponomastica, è noto a tutti come le ‘tagliate’ fossero gli spazi che qui, come in moltissime altre città europee, erano volutamente mantenuti senza alberi per facilitare l’avvistamento del nemico. Eppure Lucca ha risarcito nel tempo questo rapporto conflittuale cingendosi di alberi e innestandoli nel proprio apparato monumentale. Pertanto mi sento di chiedere con intensità all’attuale giunta comunale così come alla Soprintendenza locale di fermarsi un attimo a riflettere e a concertare qualcosa di nuovo, una soluzione che possa rispettare non solo cinque cittadini illustri ma anche l’intero sistema urbano di cui fanno parte e che senza di essi verrebbe fortemente depauperato. Basta volerlo. Sarebbe scrivere una bella pagina di storia e di cultura, oltre che di buon governo. Sono sicuro che se ci ascoltiamo, possiamo farcela.