Quello che sto per raccontare, a molti sembrerà leggenda e, invece, si tratta di modi di vivere risalenti a non più di 50 anni fa.
Oggi, abituati come sono ad andar a letto dopo il primo “ciao”, e a convivere per anni, con la garanzia che se non va, amici come prima, resta difficile pensare alle tante cerimonie a cui i giovani dovevano sottostare, in attesa di un bacio.
Prima si doveva affrontare il genitore ed ottenere il permesso di frequentare la casa per intrattenersi con la figlia.
Farlo tutte le sere, sarebbe apparso disdicevole e quindi si ponevano delle regole. Generalmente si poteva “andare a dama” nelle sere di martedì, giovedì, sabato e domenica. Questa, però, non era una regola scritta, per cui in alcuni paesi della Lucchesia, si sconsigliava di “andare a dama” nei giorni che contenevano la “erre”: martedì, mercoledì, venerdì; in altri, della Val di Serchio, si diceva che la serata ideale era il sabato, perché di
“Lunedì vanno i furiosi
Martedì i morosi
Mercole i questuanti
Giovedì gli amanti
Venerdì gli stregoni
e soltanto il Sabato, i dami buoni”.
Nelle sere prescritte, il damo dunque si presentava in casa e poteva accomodarsi su una sedia accanto alla sua ragazza che, in ogni caso, continuava a lavorare: faceva la maglia, o ricamava il corredo iniziato da anni, o scuoteva una bottiglia per fare il burro (nelle case di contadini che possedevano la mucca), o sgranava i fagioli, o era intenta ad altre piccole faccende che poteva sbrigare da seduta per non staccarsi troppo dall’uomo con il quale avrebbe dovuto spartire la vita.
I baci erano severamente vietati, ma veniva consentito ai dami di parlare fra loro a voce bassa: conversazione non censurabile dalla madre che, a pochi passi, non poteva staccare gli occhi da quei due. Rientrava fra i suoi compiti, quello di “far lume” e cioè vigilare affinché non succedesse il peggio, perché
“…du' ragassacci riscaldati
è sempre ben tienilli sorvegliati
dalla punta der piédi alla manina…”
come consigliava Custer De Nobili, il nostro massimo poeta dialettale.
Nelle “sortite”, la vigilanza dei dami era affidata solitamente al ragazzino di casa o ad una parente prossima.
I “lumi” si tenevano ad una distanza “di rispetto” dai fidanzati, con la precisa consegna di non perderli mai di vista. Eludere la sorveglianza, era certo più difficile quando di guardia montava la mamma, mentre con il ragazzino, le cose erano facilitate, essendo un soggetto corruttibile.
Questo, con un soldo, come riferisce Tullio Bianchini, “… andava a piglia' un fiasco d'acqua in Campitelli per beve la magnesia e tornava dopo mezz'ora”.
In ogni caso il compito di “far lume” era delicato e difficile per tutti. Ecco come Gianbattista Santini, testimonia le lamentazioni di una madre garfagnina che racconta quando e perché sua figlia rimase incinta:
Fu di certo una sera che gnevava...
E io, che stevo sempre a orecchi dritti,
quaa sera evo sonno, e m'addormitti...
Succedevano anche di queste cose ed era un disonore per la famiglia della ragazza, costretta, quando andava bene a distribuire confetti “bucati”.