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Scritto da Redazione
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14 Marzo 2021

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Nell’incontro on line sul programma PinQua che l'amministrazione comunale ha tenuto il 10 marzo, a cui ho partecipato come residente a S.Concordio, mi è stato dato della “negazionista” perché ho detto che non c’è bisogno di costruire case popolari a Lucca.

Come molti altri residenti di questo quartiere ho fatto presente la inopportunità di costruire una trentina di alloggi popolari all’ex Oleificio Borella in Pulia e una decina di alloggi popolari vicino al Chiesone nell’area Gesam, perché secondo noi la migliore e unica destinazione possibile, per queste due aree, è farne del verde pubblico, la sola cosa che manca.

Crediamo che sia invece la amministrazione comunale, se continua a proporre questi progetti, a negare l’evidenza: sono infatti i dati statistici sull’andamento demografico della popolazione, sul numero delle abitazioni esistenti, sul numero delle abitazioni vuote e sui costi di gestione e amministrazione degli alloggi pubblici, a dire chiaramente che non ha più senso, oggi, continuare ad incrementare il patrimonio edilizio pubblico, e che farlo viola i principi di imparzialità, economicità, efficienza, efficacia, sostenibilità ambientale, cui dovrebbe essere improntata la azione amministrativa.

Mentre in origine, dal dopoguerra fino agli inizi degli anni ’80 , la costruzione delle case popolari effettivamente sopperiva alla insufficiente offerta di abitazioni, ed incontrava la domanda dei livelli bassi del nuovo ceto impiegatizio pubblico (case Gescal, Ina casa, ecc.) e della massa di operai che si spostava nei centri urbani ove c’erano le fabbriche, oggi questo non è più vero. Infatti, dopo un quarantennio ininterrotto di boom edilizio e di decrescita demografica, non sono certo le case che mancano a Lucca, tanto che secondo una stima basata sui dati Istat e sui dati della agenzie immobiliari, le case vuote ammonterebbero a quasi 9.000 solo nel Comune, ed a 8 volte tanto nella Provincia.

Basti considerare che la popolazione fino a 5 anni di età ammontava a 31.179 unità nel 1971 e a 18.000 nel 2011; quella oltre 65 anni era 57.302 nel 1971 e 92.729 nel 2011; quella oltre 75 anni era 20.841 nel 1971 e 46.537 nel 2011!!!. Nel frattempo si è costruito fino a “sforare” le quantità ammissibili, chi scrive lo aveva denunciato fin dal 2004 (la variante di salvaguardia è stata fatta 8 anni dopo!), e ci sono oggi in periferia anche interi grandi condomini, nuovi di pacca, mai stati abitati e che presumibilmente mai lo saranno, a imperitura testimonianza dei gravissimi errori che l’urbanistica lucchese ha fatto, a permetterne la costruzione!

Crediamo che oggi per affrontare la emergenza abitativa si debbano seguire strategie completamente diverse dalla nuova costruzione e che l’Erp vada completamente riformato nelle sue funzioni . Il Comune dovrebbe puntare non sull’incremento del numero degli alloggi popolari, ma sulla integrazione del canone dei meno abbienti, in modo da rimettere in circolo l’enorme patrimonio abitativo privato che è vuoto, con particolare riferimento a quello di interesse storico che sta andando in malora ( escluse le nuove costruzioni nei confronti delle quali non deve più essere fatto alcun favore).

In particolare, continuare a costruire case popolari in presenza di un eccesso di patrimonio abitativo privato vuoto, assieme a normative di settore e fiscali che hanno pesantemente punito il mercato dell’affitto privato, azzerandolo di fatto, ha creato e continua a creare gravi diseconomie esterne, quali l’abbandono e il progressivo ed irreversibile ammaloramento di grande parte del patrimonio edilizio storico della città e dei borghi.

Si crede che una politica di supporto del reddito e di integrazione del canone sia molto più efficace e molto meno dispendiosa per le casse pubbliche: basti considerare che costruire le 40 case popolari del progetto Pinqua costa circa dieci milioni di Euro, cui vanno aggiunti i futuri costi di gestione amministrazione e manutenzione, mentre garantire a 40 inquilini meno abbienti il pagamento di un canone medio di locazione di 4.500 Euro l’anno, per un periodo di dieci anni, verrebbe a costare circa un milione e ottocentomila, senza altri costi aggiuntivi, cioè almeno cinque volte di meno! Invece di aprire altri due grandi cantieri di nuova costruzione a S.Concordio, a detrimento del verde e dell’ambiente, si farebbero invece 40 piccoli interventi di manutenzione, uno per ciascuno alloggio rientrato nel circolo della locazione, e il denaro verrebbe ridistribuito capillarmente sul territorio, ai lucchesi, in manutenzione e cura.

La rigenerazione urbana oggi non passa attraverso la costruzione di altre case, ma con la messa in circolo dell’esistente, e i bandi dovrebbero servire ad individuare quei proprietari di case vuote allettati da un affitto non alto, ma sicuro perché garantito dal Comune, che si farebbe carico anche delle conflittualità e sostituzioni, come avviene da sempre in altri paesi europei.

Inoltre la locazione privata sarebbe molto più efficiente e flessibile, se si considera che esiste una gran parte di inquilini meno abbienti, ad es. i lavoratori precari e soggetti a frequenti trasferimenti o gli immigrati con abitazione di proprietà nel Paese di provenienza, ecc., che non viene assolutamente intercettata dalla attuale politica delle case popolari, per non dire della lungaggine e l’eccesso di burocratizzazione dei procedimenti .

Sarei “negazionista” perché, come ha detto l’assessore Giglioli, non considero che Lucca rientra nell’elenco dei Comuni “ad alta tensione abitativa”. Ma l’ultima volta che questo elenco è stato aggiornato dal Cipe è avvenuto nel 2003, immagino perché anche questo istituto governativo preposto alla programmazione si sia reso conto, statistiche alla mano, che ormai quasi nessun Comune, in Italia, rientra nella concetto di “Comune ad alta tensione abitativa” secondo la definizione che ne ha dato la legge nel lontano 1982.

Per concludere, torniamo a battere la lingua dove il dente duole: se il Comune volesse fare veramente qualcosa di buono per la “qualità dell’abitare” a S.Concordio, cominci col rinunciare a costruire la “Piazza Coperta” e la “Galleria Coperta”, ed eviti di vincolare dei finanziamenti alla costruzione di case popolari in operazioni invise ai residenti, a detrimento dell’ambiente e in due luoghi che la cultura urbanistica non potrebbe destinare altro che a parco, come l’ex Borella e l’area Gesam.

 

 

 

 

 

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