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Scritto da Michele Belfiore
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12 Aprile 2023

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Piercamillo Davigo è nato il 20 ottobre 1950, ex magistrato e saggista italiano, ex presidente della II^ sezione penale presso la Corte suprema di cassazione ed ex membro togato del consiglio superiore della magistratura. Dal 1992 ha fatto parte del pool di magistrati di Mani Pulite. 

Davigo sia sincero, la legge è, davvero, uguale per tutti?

Fortunatamente no. Nelle aule di giustizia compare la scritta "la legge è uguale per tutti", retaggio delle rivoluzioni liberali: prima ogni ordine aveva le sue leggi. Esemplare era la situazione del Regno di Francia: i tre stati nobiltà, clero e borghesia avevano leggi proprie. Fu rivoluzionaria la scelta di una legge uguale per tutti. Peraltro, tale scelta, non teneva in alcun conto le differenze sociali. Anatole France con un fulminante aforisma scrisse: "La legge nella sua maestosa equità, proibisce così a ricchi come ai poveri di dormire sotto i ponti, mendicare per le strade e rubare il pane". Ovviamente i ricchi non fanno nessuna di queste cose.

La Costituzione della Repubblica Italiana dice una cosa diversa nell'articolo 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Nel secondo comma lo stesso articolo afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Se la legge fosse uguale per tutti non sarebbe possibile, per esempio, erogare la pensione sociale ai poveri. Tuttavia, è ancora lunga la strada per la eliminazione degli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, anzi negli ultimi decenni alcune disuguaglianze economiche sembrano aumentate. Quindi se si interpreta la domanda nel senso che tutti sono uguali davanti alla legge la risposta è purtroppo no. Chi è ricco dispone di avvocati più bravi (quindi più costosi) e comunque può resistere più a lungo in giudizio.  

Altra domanda che richiede, se possibile, una risposta fortemente sincera: secondo lei esiste una magistratura "politicizzata"?

Un magistrato deve decidere applicando la legge e sulla base delle prove, altrimenti commette un illecito. Ovviamente ci sono, anche tra i magistrati, mascalzoni, ma, a mio parere, meno che in altre istituzioni. Le decisioni vanno criticate se non rispettano la legge o travisano le prove; discutere delle opinioni politiche, ma non solo (ve ne sono di altrettanto e forse più importanti come quelle religiose o culturali) del magistrato è sbagliato. Quando andavo a catechismo mi hanno insegnato che la indegnità del ministro non incide sulla validità del sacramento. Se il sacerdote ha celebrato la messa secondo la liturgia prevista, la comunione vale anche se il prete ha la fidanzata.

Discutere delle opinioni o delle caratteristiche del magistrato apre una deriva pericolosa: se si ammette la ricusazione o l'astensione del magistrato per le sue opinioni (ultimamente anche di tifoseria calcistica) non si sa dove si può arrivare. Quando un imputato di fede islamica dirà non voglio essere giudicato da un cristiano cosa gli risponderemo?  E quando un imputato di colore dirà non voglio essere giudicato da un bianco? 

Lei è uno dei protagonisti del pool sull'inchiesta di Mani Pulite: un suo bilancio a distanza di 30 anni?

Ho scritto un libro il cui titolo risponde alla domanda: "L'occasione mancata". Fu l'occasione per l'Italia di diventare un po' più simile agli altri paesi occidentali, dove i bilanci delle imprese non sono frequentemente falsi e la corruzione non è così diffusa. 

Il caso Tortora, storia di un'ingiustizia italiana?

Certamente sì. Con attenuanti per gli inquirenti, come l'enorme numero di imputati (oltre 800) e le difficoltà oggettive. Per esempio, fu detto che non avevano controllato un'utenza telefonica, ma normalmente gli appartenenti alla criminalità organizzata non scrivono i numeri di telefono in chiaro, ma li cifrano. 

Il lungo processo a Giulio Andreotti, una sua riflessione?

La sentenza di appello ha riformato l'assoluzione in prescrizione per uno dei periodi oggetto di imputazione. Solo in Italia si gabella la prescrizione per assoluzione. C'è da riflettere se una persona che ha ricoperto per decenni altissimi incarichi ebbe contatti con Cosa Nostra.

Il caso Cospito?

Cospito protesta contro il regime di cui all'art. 41 bis ordinamento penitenziario, non per sé, ma in generale. Questa norma serve a limitare i collegamenti fra detenuti per fatti di terrorismo e criminalità organizzata con l'esterno. Nel 1992 e negli anni immediatamente precedenti e successivi la media degli omicidi era di circa 1.700 l'anno. Nel 2022 sono stati 310. Evidentemente limitare i collegamenti è servito.

Nei Paesi seri uno Stato non tratta davanti a ricatti. Peraltro, nei Paesi seri, anche lo sciopero della fame si fa seriamente. Se Cospito avesse fatto seriamente lo sciopero della fame, dato il tempo trascorso, sarebbe già morto.

Il momento più negativo della sua carriera nella magistratura? 

Il biennio trascorso al Consiglio Superiore della Magistratura. Un magistrato ragiona in termini di lecito - illecito, torto - ragione, colpevole innocente. Un politico ragiona in termini di avversario - alleato, utile - dannoso, accordo - conflitto. Al C.S.M. si prendono anche decisioni politiche e si è costretti a mediare e tali attività sono innaturali per un magistrato. 

Lei ha fatto un'affermazione molto forte contro alcuni politici: "Vi piace stare con i ladri", perché?"

Un mio imputato (di cui è superfluo fare il nome perché è il fatto che conta) fu condannato in primo grado e in appello per finanziamento illecito dei partiti politici, turbativa d'asta, ricettazione ed altro. Ciò nonostante, nel 1996 fu candidato alle elezioni politiche ed eletto deputato. Per sua sfortuna le sentenze divennero definitive in concomitanza con l'apertura del nuovo Parlamento e fu arrestato. Per arrestare un parlamentare ci vuole l'autorizzazione della Camera di cui fa parte, ma l'autorizzazione non serve per eseguire la pena. Poco dopo chiese ed ottenne  l'affidamento al servizio sociale: il magistrato di sorveglianza lo convocò per chiedere che attività lavorativa volesse volgere durante l'affidamento e lui rispose: "il deputato"

Non poteva fare il deputato perché era stato condannato anche all'interdizione dai pubblici uffici. Questa pena accessoria nei confronti di un parlamentare si esegue comunicando alla Camera di appartenenza l'avvenuta interdizione e quella Camera deve dichiararlo decaduto. Per quattro anni la Camera dei deputati non trovò un giorno per dichiararlo decaduto. Finito l'affidamento al servizio sociale, che estingue le pene, finalmente trattarono il caso e poiché anche la pena accessoria era estinta decisero di tenerselo anche per il quinto anno della legislatura. Per i quattro anni precedenti costui non poteva votare alle elezioni (perché interdetto dai pubblici uffici), ma alla Camera votava le leggi che obbligano tutti noi. Io ho trovato tutto questo indecente. Per inciso il soggetto in questione, anni dopo. fu arrestato nuovamente per tangenti per l'Expo. 

È soddisfatto del suo lavoro da magistrato? 

Armando Spataro, anche lui magistrato a riposo, ha scritto un libro sulla sua attività giudiziaria dal titolo: "Ne valeva pena". Anch'io penso che ne sia valsa pena.

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