Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione inviataci da Bruno Pollacci direttore dell'Accademia d'Arte di Pisa al quale consigliamo, tuttavia, di rileggersi un buon testo di grammatica per le scuole medie o, nel caso, il nostro aneddoto:
Non solo negli Stati Uniti ci sono stati e continuano ad esserci molti casi di soprusi a sfondo razziale verso le persone di colore, ma anche qui in Italia proprio in questi giorni abbiamo registrato atti di pura e spietata violenza verso immigrati di colore, giustificati dal solo colore della loro pelle. Per alcune persone è veramente difficile vedere "il fratello" nel prossimo e pensare che la persona cosiddetta "diversa" potrebbe essere un proprio fratello, il proprio padre o il proprio figlio e comprenderne le difficili situazioni esistenziali ed i loro diritti fondamentali. Il terzo millennio è iniziato da ben vent'anni ed il progresso della Scienza ci stà aiutando ad un'evoluzione positiva in ogni settore, da quello sanitario a quello industriale e sociale, con nuove soluzioni capaci di permettere una vita migliore, più funzionale e sicura, ma questa evoluzione non è ancora paritaria a quella interiore dell'Uomo, che deve ancora conquistare totalmente il concetto primario e fondamentale del rispetto umano verso il prossimo, "indipendentemente da". Questa mia opera a sanguigna, realizzata forzatamente con la sinistra durante un periodo in cui avevo una frattura multipla e scomposta al polso destro, è dedicata a tutte le persone che in ogni parte del mondo hanno pagato e pagano solo per il colore della propria pelle, con grande rispetto e solidarietà fraterna.
Commento di Aldo Grandi: correva l'anno 1973 o 1974, non ricordiamo con precisione. Noi, all'epoca, vivevamo a Roma e frequentavamo la scuola media Antonio Pacinotti di viale Angelico quartiere Prati. La nostra insegnante di italiano si chiamava Annamaria Gatto ed era moglie di Ludovico Gatto, storico e accademico italiano.
Un giorno, corretto un compito in classe che avevamo svolto, ci chiamò alla cattedra e, davanti a tutti, ci disse che avevamo scritto stà con l'accento sulla a. Un errore che non avremmo dovuto commettere e per il quale ci ordinò di fare, a casa, tre pagine di sta senza accento. Una volta a casa, facemmo, esattamente, quello che ci disse e, da allora, non solo non sbagliammo più, ma non finimmo mai di ringraziarla per quel suo modo di farci apprendere le cose. Ce ne vorrebbero a migliaia di docenti come la professoressa Gatto in questa epoca e in questa scuola ormai allo sfascio. Servirebbero professoresse così, orgogliose, preparate, sicure, determinate e non, invece, come sono, spesso, simili a barche nella bufera. Una volta la scuola era il regno di professori e professoresse che avevano un'autorevolezza e una gratificazione professionale di cui andavano fieri. Ora, perdonateci, ma non sono nemmeno in grado di decidere in casa propria.
Caro Pollacci ci scuserà, ma uno stà con l'accento, al sottoscritto, fa molto, ma molto più effetto di tante polemiche gratuite. Per chi scrive la lingua di un Paese è come la sua moneta. Costituisce uno dei fondamenti e visto che abbiamo già svenduto la seconda, non vorremmo ci toccasse mandare a quel paese anche la prima.