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La cultura dell’informazione rapida e i suoi effetti sulle decisioni quotidiane
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Ne uccide più la lingua che la spada
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Obiettivo scuola vuole essere una rubrica che focalizza in modo particolare i vari problemi che coinvolgono il pianeta scuola. La scuola negli ultimi trent’anni ha subito tagli e mancanze di risorse portando ad una inefficiente formazione per le nuove generazioni.
L’istruzione come la sanità sono due principali cardini del nostro paese che coinvolgono in maniera diretta e indiretta anche il settore lavorativo ed economico. In tempo di covid i nodi sono venuti fuori e le criticità ulteriormente aumentate; un paese e un governo che non investono in maniera prioritaria su questi settori non hanno futuro. Riteniamo con questa rubrica mettere in evidenza ciò che accade, cercheremo di ascoltare tutte le figure professionali che ruotano attorno al “pianeta scuola” e che coinvolgono settori produttivi della società quali cooperative, servizi mensa, oltre ai principali attori: insegnanti, dirigenti, sindacati, Ata e molti altri.
Questa settimana partiamo da una voce autorevole: Donatella Buonriposi provveditore agli studi di Lucca e Massa Carrara.
Donatella Buonriposi provveditore di Lucca, Massa e Carrara le chiediamo: quanto è ancor più oneroso il suo ruolo in tempo di covid?
Come per tutti, i problemi sono aumentati e avendo più province non è semplice stare dietro ai cambiamenti in atto e rapportarsi con docenti, dirigenti scolastici, sindaci, presidenti di provincia e prefetti. Ma a volte lavorare su più binari ha anche i suoi vantaggi come quello di poter fare più confronti, trasferire le buone pratiche e confrontare diversi risultati.
Cosa è cambiato e cosa si deve ancora fare per una scuola già in affanno, ancor più in questi tempi?
La pandemia ha messo in evidenza quanto la scuola sia davvero importante nel contesto sociale tanto quanto la sanità. Sono emerse le criticità che sono tante, ma anche i suoi punti di forza. Gli operatori scolastici hanno messo in campo tutte le migliori energie dimostrando senso di responsabilità e attenzione per gli studenti, non parlerei tanto di cose da cambiare quanto di cose da fare: mettere in sicurezza gli edifici scolastici, stabilizzare il personale, attivare un robusto piano di formazione per tutto il personale, unico su tutto il territorio nazionale al fine di ridurre il più possibile le diversità tra territorio e territorio, tra regione e regione, maggiore autonomia ai dirigenti scolastici nel reclutamento del personale. Contestualmente avere un progetto chiaro di scuola del futuro, nuovi modelli e nuovi ambienti di apprendimento e soprattutto quale cittadino di domani vogliamo.
Secondo lei dovrebbero essere obbligatori i vaccini a tutto il personale docente e non? E se si perché?
La obbligatorietà per tutti è sempre una decisione pesante. Riterrei necessario, però, individuare alcune condizioni per il cui svolgimento è necessario essere vaccinati. Esempio la professione di infermiere o di medico o di insegnamento non può essere svolta se non si è vaccinati. In parallelo ci vuole una attenta e capillare campagna informativa perché i cittadini si vaccinino spontaneamente.
Sempre più i docenti sono sotto i riflettori non per la loro fatica e professionalità, ma per atteggiamenti ritenuti negativi dall’opinione pubblica. Secondo lei tutto questo è logico o si può rimediare?
I docenti svolgono un lavoro molto delicato e come i medici sono sottoposti a critiche, denunce e accuse di vario tipo. La pandemia ha messo in evidenza che abbiamo invece delle ottime professionalità spesso poco valorizzate dallo Stato stesso che sembra insensibile, indifferente a riconoscere e difendere il proprio capitale umano, anzi spesso ostenta atteggiamenti ostili e punitivi nei confronti di questo personale disconoscendone il merito. E questo è un aspetto sul quale ci sarebbe molto da fare. Certo educare è sempre più difficile e se da una parte la famiglia delega questo compito alla scuola dall’altra non accetta che la scuola cerchi di correggere atteggiamenti e comportamenti sbagliati. Ultimi fatti dimostrano che spesso i genitori non sono preparati a svolgere questo ruolo e si affidano addirittura ai social che fanno gravi danni.
La formazione didattica, l’insegnamento delle regole e in questo anno l’introduzione dell’educazione civica saranno prioritarie, oppure nessun allievo deve avere un brutto voto, non può essere richiamato o punito… ma sempre giustificato? Faccio appunto riferimento a molti casi avvenuti nel mese precedente che hanno indignato l’opinione pubblica.
Le regole ci vogliono e l’educazione civica è uno strumento per insegnare la civile convivenza, ma non basta, conta molto di più l’esempio che i docenti sapranno dare usando amorevolezza, convinzione dei valori che intendono trasmettere. Loro come i genitori sono dei modelli che lasceranno segni indelebili.
Lei ritiene che non sia il caso di mettere telecamere in ogni presidio scolastico?
Sulla questione telecamere ci vuole grano salis, da preside le misi subito non nelle classi, ma nei corridoi e all’ingresso della scuola. Sono decisioni che dobbiamo assumere anche in sintonia con la questura.
Tornando al tempo del covid, come prevede il ritorno a scuola di tutti gli studenti? Sul se si ritorna e come si torna c’è ancora abbastanza confusione tra regione e regione. Si possono prevedere in questa seconda fase investimenti maggiori come termoscanner e una migliore rete informatica?
Le scuole sono pronte a rientrare e durante le vacanze è stato fatto un grosso lavoro, ben coordinato dai prefetti, sulla questione trasporti. Non si è perso tempo perché comunque ce lo ritroveremo al rientro definitivo. Certo questi tentennamenti e cambiamenti all’ultimo minuto mandano in crisi la scuola e le famiglie creandoci non pochi problemi. Per questo dico che forse “affrontare il toro per le corna” sarebbe la cosa migliore posticipando fino al 31 gennaio la riapertura e nel frattempo riprendere la questione dei test rapidi da fare a scuola. Il piano vaccinale richiede tempi lunghi e gli insegnanti si prevede di vaccinarli a settembre! I Termoscanner non li vedrei necessari, piuttosto dobbiamo potenziare le infrastrutture informatiche e potenziare la connettività che è molto deficitaria nel nostro paese e nelle nostre scuole. Io mi sono attivata in tal senso chiedendo un intervento alla Fondazione Cassa di Risparmio che ha già dato la sua massima disponibilità. Stanno infatti facendo una capillare ricognizione sulle singole scuole per intervenire sulle maggiori esigenze e sulle criticità da loro evidenziate.
Per quanto riguarda l’assunzione dei docenti (personale che manca attualmente) ritiene opportuno fare i concorsi in questo periodo o suggerirebbe una soluzione diversa?
La grande piaga della nostra scuola è il precariato, lo vado ripetendo da anni. Dobbiamo dare stabilità e continuità alla scuola. In questa fase francamente avrei evitato i concorsi, ma avrei valutato e valorizzato i tanti anni di servizio già svolto da la gran parte dei docenti. Poi sarei passata alla fase concorsi per reperire forze nuove e fresche, con concorsi pensati in modo molto diverso che possano realmente far emergere il merito è le capacità dei singoli.
Qual è la sua idea di scuola e se fosse ministro quali sarebbero le sue priorità per far funzionare meglio questo immenso meccanismo?
Vita dura in questa epoca per i ministri! Come le ho già detto dobbiamo intervenire su reclutamento del personale, valutazioni attitudinali, formazione seria su tutto il territorio e, infine, fondamentale rivedrei tutti i parametri per la formazione delle classi.
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Con questa lettera numero 7, che pubblichiamo oggi domenica 10 gennaio, battesimo del Signore e conclusione del tempo di avvento e Natale, i preti e diaconi di Lucca sospendono la "comunicazione settimanale" alla città e, soprattutto, alla gente che abita la città:
Il nostro percorso attraverso questo tempo di Avvento e Natale si è lasciato illuminare dall’invito del nostro vescovo ad “allenare la speranza”. Fragile e preziosa la speranza, non possiamo generarla da noi stessi. E’ piuttosto un dono, una dote che si accompagna alla vita stessa in modo inseparabile. L’uomo comune, anche la persona più semplice o sprovveduta, sperimenta infatti che vivere è sperare. Così la speranza che non possiamo generare né costruire o fabbricare, ci chiede il compito più povero e più vero di un paziente esercizio o, ancor meglio, di un’umile coltivazione. Il messaggio del Papa per la giornata della pace si è incentrato quest’anno sul “prendersi cura”. Ecco un’ulteriore luce a rischiarare il nostro percorso sul “training” della speranza: fragile e preziosa essa ci chiede una costante cura.
Se “vivere è sperare”, la speranza risponde alle leggi della vita. Nasce da un seme piantato dall’amore che non cede immediatamente il suo frutto maturo, ma lo consegna all’attesa del prendersi cura. Niente che sia realmente legato alle dinamiche della vita e dell’amore si dà già nel suo stadio finale e compiuto, come realizzato all’istante e consegnato in modo immediato al nostro pronto godimento. Tutto ciò che è vita chiede il prendersi cura, impone l’opera paziente della coltivazione.
Coltivando ciò che è buono e amabile, ciò che vale e merita, noi coltiviamo anche la stessa speranza, che trova alimento proprio dal prendersi cura.
Dio ha segnato la vita con la legge del seme, con il ritmo paziente della crescita che richiede la condizione della cura. Il contadino conosce questa legge; ancor più la conosce una madre nella sua dedizione quotidiana al proprio piccolo. Conosce questa legge chi ha a che fare con le sofferenze altrui, con il male fisico e mentale, cercando di fasciarlo col balsamo amorevole della cura. La conosce chi lavora per educare i piccoli, per consegnare un testimone autentico alla generazione che viene. Applica questa legge di custodia e promozione della vita chi cerca di preservare questo mondo da ogni forma di corruzione, nei suoi aspetti ambientali, etici e sociali, lavorando umilmente per la crescita lenta e silenziosa del bene. La vita, come la speranza è seme. Tutto ciò che è buono è seme, generato dall’amore, il cui frutto è affidato alla cura della mano operosa e rispettosa del’uomo.
Anche la parola è seme, quando la comunicazione si dà come atto di amore. Gesù ricorda che anche la parola di Dio si rivolge al cuore dell’uomo come il seme al terreno, portando frutto solo nella pazienza accogliente e perseverante. La parola della comunicazione vera, come la Parola di Dio, non si dà allora come ordine perentorio che ottiene per effetto l’obbedienza immediata, che fa appello alla pura efficienza, ma solo come energia nascosta che attende di sbocciare, attraverso la fiducia nel terreno riscaldato dell’amore. Quante parole antiche, della sapienza passata, frutto dell’amore di chi ci ha voluto bene, hanno attecchito in noi soltanto dopo lungo tempo, portando con sorpresa frutti tardivi in stagioni che ormai non attendevamo più!
Continuiamo dunque a custodire la memoria del bene, le parole che ci hanno fatto bene e prendiamoci cura di tutto ciò che è piccolo: così crescerà la speranza che anima il vivere, sul terreno fecondo dell’amore.