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Scritto da Redazione
Cronaca
10 Aprile 2020

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Più volte il contenuto di queste righe è sfociato nel privato di chi scrive e non tanto perché l'autore fosse in vena di intimismo o crepuscolarismo, quanto perché, per chi non fa distinzione tra pubblico e privato, spesso quest'ultimo finisce, inevitabilmente, per fondersi nel primo. Non pochi messaggi ci sono giunti in questi ultimi tempi, tempi drammatici di Coronavirus, con cui ci si apprezzava per le posizioni di forte critica assunte nei confronti di misure draconiane che hanno devastato e stanno distruggendo il tessuto economico-sociale-affettivo di questo straordinario paese finito in mano a una classe politica e dirigente di traditori se non, addirittura, di criminali. Qualcuno, anche tra coloro a noi vicino, ci ha domandato se non fossimo troppo superficiali nel giudicare in maniera riduttiva una emergenza sanitaria che ha messo in ginocchio mezzo mondo e, forse, anche di più. Suicidi, depressioni, stress, panico, disperazione quotidiani stanno minando le scarse certezze di esseri umani già costretti, da anni, a convivere con la paura del domani e in preda costante di una precarietà che dagli aspetti economici si è trasferita all'intero universo emotivo. Il virus ha agito da detonatore e, ormai, proliferano persone che hanno perso di vista non tanto l'essenza e il giusto valore da dare alle cose, ma le cose stesse.

Nella nostra esistenza giunta alla soglia, o quasi, dei sessant'anni, non ci siamo fatti mancare nulla e non soltanto sotto il profilo della soddisfazione dei propri sogni o desideri. Abbiamo intrapreso innumerevoli avventure, scalato vette con coefficienti di difficoltà apparentemente insormontabili, siamo ripetutamente caduti e sistematicamente rialzati fino a quando, dieci anni fa, la morte di un figlio non ci ha scagliati nel vortice più turbolento che possa colpire un essere umano. Da esso ci siamo liberati, con fatica, sbattuti a destra e a sinistra da onde imprevedibili che hanno messo a dura prova le nostre capacità di resistenza. Non è stato tanto il dover sopravvivere ad un lutto devastante, quanto il riuscire a rimanere in prima linea con la stessa determinazione, la medesima rabbia, la consueta insofferenza verso ogni costrizione che non derivi da una sincera spallata di autorevolezza non certo di autorità.

Chi ha attraversato le porte dell'inferno e ha fatto ritorno, non può avere alcun irragionevole timore per un qualcosa, il Coronavirus, che non è la peste bubbonica né l'Ebola, che agisce part-time e diventa letale, soprattutto, per certe fasce di età e a determinate condizioni. Nessuna presunzione, quindi, ma la consapevolezza che la paura è positiva e in grado di aiutare solo se commisurata all'entità del pericolo. Altrimenti è patologica e provoca la perdita di lucidità e capacità di analisi.

Hanno deciso di procrastinare fino al 3 maggio le misure cautelari alle quali siamo sottoposti da un mese e lo hanno fatto, e lo stanno facendo, senza minimamente assumersi le responsabilità di ciò che stanno producendo alla popolazione. Si affidano alle certezze dei virologi, degli scienziati, di coloro che la vita la studiano attraverso le lenti di un microscopio, sigillati nelle loro tute, blindati tra quattro pareti dove la vita, quando scorre, è quella delle cavie alle quali vengono iniettati infezioni e potenziali vaccini.

Non vedono il sole, non respirano i profumi della natura, tra loro e l'essenza stessa della vita esiste una barriera fatta di terrore e di distruzione. Non sanno, forse, nemmeno cosa vuol dire stare dall'altra parte, vivere in mezzo alla strada, avvertire sulla propria pelle e nella propria testa il disagio di una esistenza piena di imprevisti, dove la sopravvivenza e i mezzi necessari a garantirla appaiono e scompaiono, sovente, all'improvviso.

Non contenti di averci tolto ogni libertà garantita da quella costituzione che, ormai e con tutte le violazioni subite, è divenuta soltanto carta da cesso, hanno rimosso anche quella più importante, che sindacati e partiti politici hanno più volte annunciato come la barriera del Piave, intoccabile e insuperabile: il lavoro. Invece, hanno vietato anche quello. Nemmeno la scelta tra il rischio di contrarre il virus o lavorare per vivere. Soltanto l'imposizione del Potere, l'obbligo, la costrizione.

La gente non ce la fa più. Non ha soldi sul conto corrente, vuole tornare a vivere e a lavorare, a essere padrona della propria vita e che cosa fanno coloro che, in giacca e cravatta e 12 mila euro al mese garantiti, dovrebbero proteggerci? Emettono un decreto dopo l'altro, merda allo stato puro, con miliardi di euro virtuali che solo a sentirli pronunciare sembrano già depositati nelle nostre tasche. 

Purtroppo non è così. Di soldi, fino ad oggi ed è passato oltre un mese di lock-down, non se ne sono visti. Le banche agiscono e agiranno da filtro e la burocrazia farà il resto. Soldi non ce ne sono. Per decenni abbiamo mangiato l'uovo in culo alla gallina e vissuto al di sopra delle nostre possibilità anche se, è bene dirlo, c'è sempre stato qualcuno che ha vissuto anche al di sopra delle possibilità di tutti: politici, amministratori pubblici, funzionari statali, parassiti, grandi evasori e amministratori di banche. Nessuno, tra i vermi dell'informazione addomesticata, che abbia avuto il libero arbitrio di dire che l'unica soluzione possibile era immettere sui conti correnti degli italiani della liquidità immediata. 

Invece no, li si prendono per il culo. Questo Governo di fantocci, con in cima un incapace addestrato e un ex partecipante alla manifestazione di elevato spessore culturale, il Grande Fratello, hanno osato, addirittura, sfidare l'Europa. Lo ha detto, appena ieri, Conte, il quale, come Garibaldi a Teano, prima aveva minacciato l'Europa - O l'Europa ci aiuta o faremo da soli - poi si è messo a pi greco mezzi e ha sottoscritto l'accordo che mette definitivamente il cappio al collo di questo povero sfasciato stivale minando il futuro dei vostri figli.

Come accade ogni volta in cui il popolo è ad un passo dall'insorgere per rivendicare i propri diritti e soddisfare i propri bisogni, il Potere, qualunque esso sia, manda a fare il gioco sporco i suoi fedeli servitori, polizia e carabinieri in primis, i quali, pur stando, per certi versi, in mezzo e dalla parte della gente comune, si vedono costretti a reprimere, arginare, smantellare ogni aspirazione legittima. Del resto, a Roma, comandanti generali e dirigenti ministeriali sono abituati a pensare all'unisono con coloro che li promuovono e li foraggiano.

Perché sciacquarsi la bocca come fa il nostro primo - e ultimo - ministro promettendo pani e pesci quando è evidente che imprese e famiglie, per sopravvivere, dovranno indebitarsi ulteriormente e restituire i soldi che non avrebbero mai chiesto se questa classe dirigente di bastardi non avesse imposto un coprifuoco sproporzionato e senza senso nella sua uniformità geografica?

Nessuno che cerchi di far funzionare la massa cerebrale oltre un centimetro dalla sua corteccia. 

A milioni di italiani, quelli più deboli, quelli più operosi, quelli che costituiscono, da sempre, la parte più produttiva ed eroica di questo stivale, i traditori autostipendiatisi profumatamente impediscono di lavorare, la più vergognosa delle violenze, il più disgustoso e vomitevole dei divieti perché si decide arbitrariamente  di impedire alle persone di fare quello che da milioni di anni l'uomo ha sempre fatto: procacciarsi da vivere. E lo si fa senza aver pensato, prima, a come garantirgli il diritto alla vita.

Poche ore fa il Governo 5Palle-Pd ha aderito al Mes, di fatto mettendosi una corda al collo e rinunciando a ritrovare quella sovranità politica, monetaria e identitaria che non esiste più da anni. Pioggia di miliardi anche in questo caso, ma se leggete attentamente, vi accorgerete che si tratta di soldi concessi soltanto a determinate condizioni e solo se legati alle spese sanitarie relative al Covid-19. Per le misure economiche, niente sconti, anzi, nessuna concessione o versione light. Cosa significa lo potete facilmente immaginare.

Adesso questi infami approfittano dello stato di anestesia da Coronavirus e dall'immobilismo dettato dalla paura in cui si trovano sessanta milioni di italiani. Ma finirà. E quando l'emergenza sarà terminata non perché lo sarà effettivamente - quale sarà il numero di contagi al di sotto del quale l'emergenza sarà cessata? - ma perché lo decideranno, ancora, gli esperti e gli scienziati ai quali abbiamo delegato le nostre vite, allora, soltanto allora, ci accorgeremo in che razza di tragedia siamo piombati. Tragedia concreta, sociale, economica, affettiva con milioni di disoccupati che non crederanno più ai miracoli invocati dall'omino bianco d'Oltretevere, ma chiederanno risposte concrete.

Lo Stato, ancora una volta, ci ha traditi, ma non abbiamo mai avuto dubbi così come sappiamo bene che continuerà a tartassarci e a chiederci quello che non possiamo più dargli. Eppure basterebbe poco per ribellarsi. Sarebbe sufficiente decidere di fermarsi - più fermi di così si muore - e non pagare più. Ma non uno solo o cinque, o dieci: no, tutti. Se non paga nessuno, è come se pagassero tutti. 

 

 

 

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