Abbiamo volutamente atteso nel dare la notizia della scomparsa di Maria Pacina Fazzi, all'età di 94 anni, signora dell'editoria lucchese come è stata più volte appellata e madre dell'ex sindaco Pietro Fazzi e dell'attuale direttrice e proprietaria della casa editrice Francesca Fazzi oltre che di altri tre figli, in tutto quattro femmine e un maschio e moglie di Arnaldo Fazzi altra figura di importante intellettuale che ha lasciato un segno nella storia culturale cittadina.
Volevamo riflettere un attimo di più, prima di buttare giù queste poche righe che non possono essere più di quello che sono e cioè un modesto tributo ad una persona che, indubbiamente, molto ha rappresentato e rappresenterà sotto il profilo storico di Lucca. Incredibile, ma vero, non l'abbiamo mai incontrata né avvicinata in tutti questi anni di nostra permanenza lucchese, ormai ben 35, e nonostante la nostra familiarità con l'editoria ci abbia portato su e giù per la penisola sin dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Dobbiamo essere onesti anche e soprattutto verso noi stessi oltreché verso gli altri e ammettere che, fatichiamo un po' a scriverlo proprio in questa triste circostanza, non avevamo una grande curiosità nell'incontrare la fondatrice della più famosa casa editrice lucchese appunto la Maria Pacini Fazzi editore. Pensavamo, a torto, che la sua fosse una opera di carattere più che letterario e culturale, paesaggistico-artistico-fotografico-descrittivo, certamente meritevole e lodevole, ma tutt'altro rispetto al concetto che avevamo di casa editrice tesa a diffondere libri destinati in qualche modo ad avere un pubblico più vasto e anche più disposto all'acquisto. Non a caso, nella nostra, ammettiamolo ancora una volta, ignoranza, credevamo che venissero stampati, soprattutto se non soltanto, libri destinati ad arricchire qualche biblioteca geografico-naturalistica con le meravigliose immagini della campagna lucchese o della città, ancora più belle, ma che sul profilo del mercato avessero ben poche chance di decollare.
E' stato solo in un secondo o anche terzo momento, a mano a mano che Lucca stava diventando la nostra città di residenza e di vita quotidiana, che abbiamo compreso e in questo meritoria è stata anche l'opera di Francesca Fazzi che ha allargato e aumentato lo spessore culturale e letterario della casa editrice, quanto la Maria Pacini Fazzi editore fosse, per Lucca, quasi una seconda pelle in grado di trasmettere non soltanto immagini e testi su commissione, ma anche la sostanza e la conoscenza di una storia che ha un... grande avvenire dietro le spalle. Abbiamo, così, scoperto che tra i primi libri editi da Maria Pacini Fazzi, ce n'è stato uno scritto da Marcello Venturoli, nostra vecchia conoscenza di gioventù, quando ci occupavamo della biografia di Ruggero Zangrandi e ci imbattemmo nel Dizionario della paura, libro di saggistica che vinse il premio Viareggio nel 1951 i cui autori, in coppia, per l'editore Nistri-lischi di Pisa, furono proprio Marcello Venturoli e Ruggero Zangrandi, nelle vesti, rispettivamente, di un intellettuale appassionato di arte e politicamente disincantato a confonto diretto con un amico giornalista-scrittore impegnato a sinistra. Entrambi, del resto, scrivevano su Paese Sera, il giornale fiancheggiatore del Pci diretto all'epoca da Fausto Coen.
Fu una sorpresa che ci spinse ad approfondire la conoscenza di questa piccola casa editrice lucchese con a capo una donna che doveva essere, a onor del vero, una grande donna se riusciva a coniugare lavoro, passione letteraria, famiglia, relazioni professionali e umane in una città tutt'altro che facile come quella in cui eravamo sbarcati nel lontanissimo 1989. E sua figlia Francesca ne è la degna erede.
Dispiace, sinceramente, non aver mai fatto il primo passo per conoscere una donna di tale spessore. Colpa nostra senza dubbio e ne facciamo pubblica ammenda. Pur vivendo ormai ed essendo stati adottati, magari anche controvoglia, da questa città, abbiamo conservato, nel tempo e purtroppo, una certa diffidenza derivante dall'aver trascorso la prima parte della nostra travagliata esistenza in una metropoli, si fa per dire, come Roma dove il provincialismo e non in un'accezione solamente negativa, con tutte le sue dinamiche, era, assolutamente, sconosciuto.
Novantaquattro anni sono un traguardo difficile da raggiungere per la stragrande maggioranza degli esseri umani viventi. Ancora poco e avrebbe toccato il secolo di vita. Che dire? Un saluto, l'augurio di andare in un mondo migliore di quello che ha lasciato e, in particolare, la nostra consapevolezza di quanto abbia, effettivamente, lasciato in eredità alla sua città. Ai suoi figli, Francesca e Pietro in primis che conosciamo, le nostre condoglianze e la nostra vicinanza così come di tutta la redazione delle Gazzette.