Aveva un vezzo. Quello di non rivelare, nemmeno agli amici, quale fosse la sua età. Non ne comprendevamo la ragione, ma lo accettavamo perché in fondo, per noi, Mario Rocchi era l'eterno ragazzo, il collega e artista lui stesso amico degli artisti, quindi dotato di una visione dell'esistenza e delle cose che viaggiava anni luce più se non veloce, certamente originale e frutto di una straordinaria apertura mentale. Certo, era un uomo di sinistra, ma ancor più che rosso vermiglio era, sostanzialmente, un anarchico di sinistra, che non amava i fascisti e che ci accusava, sorridendo, ma nemmeno poi tanto, di esserlo. E a niente valevano i nostri tentativi di fargli comprendere che non era così.
Per 20 lunghi, a tratti lunghissimi anni, ci siamo frequentati quotidianamente, con lui che, immancabilmente, ogni mattina saliva le scale o prendeva l'ascensore per salire al secondo piano dell'edificio principe di piazza del Giglio dove si trovava la storica sede del suo e del nostro giornale, La Nazione. Appena apriva la porta, poi, sbatteva proprio contro la nostra scrivania e da lì iniziava una consuetudine che, dopo i vari convenevoli con il caposervizio di turno, ci conduceva entrambi a fare una passeggiata per le vie del centro di Lucca, noi, insofferenti e desiderosi di umanità e di luce, lui che non aspettava altro per raccontare e raccontarsi, a cominciare dai suoi viaggi giovanili in Scandinavia in autostop.
Curava la rubrica di arte sulle pagine lucchesi del quotidiano fiorentino, oltre, spesso, a quelle di cinema visto che era stato tra i fondatori del Circolo del cinema alla cui conoscenza aveva educato decine di studenti che, come lui, erano veri e propri divoratori di pellicole. Tra questi, Stefano Giuntini, anche lui assetato di sapere e che, successivamente, ha ereditato in pieno e legittimamente la sua conoscenza e la passione per tutto ciò che riguarda la macchina da presa.
Noi no. Noi questa passione così forte non ce l'avevamo, per i film si intende o, almeno, non al suo stesso livello anche se doveva essere una questione generazionale di quei tempi innamorarsi di tutto ciò che era storia e cultura. E Mario Rocchi amava scrivere, amava la storia, la cultura, l'arte, la bella vita non tanto o non solo perché fosse un gaudente, quanto per la vita intesa come massima espressione delle potenzialità umane e avventura fin troppo breve su questo pianeta per conoscere ed apprezzare tutti suoi aspetti. Era amico degli artisti, dei pittori in primis, a cominciare da Antonio Possenti che frequentava regolarmente e con cui aveva uno straordinario rapporto di conoscenza e amicizia.
Il grande pittore lucchese non gli rifiutava mai una copertina e, in tempi lontani, nemmeno qualche quadro che Mario Rocchi portava sottobraccio con grande felicità.
Era, Rocchi, un pratico, non certamente un sognatore anche se dei sognatori possedeva la non comune curiosità verso tutto ciò che li circonda. Aveva una vera e propria venerazione per l'essere femminile in tutte le sue forme, fisiche e non, era stato, in gioventù, sicuramente un play-boy apprezzato e corteggiato anche per via di quella sua altra grande passione per la cura del fisico. Non a caso era ed è stato, per tutta la vita, professore di educazione fisica nelle scuole superiori e non era raro imbattersi, durante le nostre camminate, in qualche ex studente ormai uomo che si fermava a salutare e a ricordare simpaticamente il suo insegnante.
La sua passione per il proprio fisico era proverbiale anche se non manifesta. Le sue proverbiali pedalate sulla cyclette, le sue flessioni, in numero sorprendente per la sue età, il suo amore per la boxe, ne facevano un uomo dotato di un fisico tosto e possente. Lo aveva minato, però, un terribile incidente nel quale era rimasto coinvolto e che vide andare distrutta la sua auto, una Honda di cui andava particolarmente fiero. I postumi dell'incidente ci misero un bel po' a scomparire e, probabilmente, lasciarono strascichi che gli impedirono di continuare ad allenarsi come era sua abitudine. Lui si allena e scriveva, si allenava e guardava la Tv, si allena e vedeva i suoi film. Era, inoltre, un uomo che sapeva stare da solo, dote non comune e invidiabile.
Aveva due figli, un maschio e una femmina e di quest'ultima, così come per la nipotina, stravedeva.
Al di là del suo essere apparentemente burbero e casinista, in realtà era una persona comprensiva che sapeva ascoltare e spiegare, che amava il prossimo e l'uomo nella sua totalità, con pregi e difetti, sapeva stare al mondo, amava il mondo e da questo era sicuramente amato. Amava così tanto la vita che avrebbe, probabilmente, fatto anche un patto col diavolo, se esistesse, per vivere in eterno tanto era il suo desiderio di assaporare l'aria fresca ogni mattina. Non amava la chiesa e dio per lui si scriveva in minuscolo. Pubblicava libri che regolarmente presentava alla sua città e raccontava di personaggi che frequentava, noi compresi e non sempre dipingendoci come avremmo desiderato.
Con Mario se ne va un altro pezzo di Lucca, sta a chi resta ereditarne le passioni e trasmetterle perché Lucca non è di nessuno, ma, solamente, di se stessa. Gli altri sono solo comparse.