Da quando si è insediato l’attuale governo italiano, Macron sembra non perda occasione per attaccarlo, e del resto al tempo dei gilet gialli mi par di rammentare che anche il pentastellato Di Maio si sia schierato contro di lui. Qualcuno se ne stupisce ancora, in nome di una cuginanza latina che, a mio parere, è tutta da dimostrare e alberga solo nel mito di chi magari va a raccogliere allori e incarichi oltralpe, in quanto preso a ceffoni – non solo dai nemici, ma anche da rasserenatori amici – in Italia, come Enrico Letta, brevettato perdente ma comunque sempre in corsa per qualcosa.
Dopo la conquista di Cesare, ben descritta nel De Bello Gallico, i nostri rapporti non son stati granché amichevoli. A cominciare da quando Carlo Magno, chiamato dal papa Adriano I, scese in Italia, sconfisse il regno longobardo di Desiderio, che faceva ombra al potere temporale dei papi essendosi esteso fino a sud di Roma. Di quel passo i longobardi rischiavano d’unire l’Italia. Forse non avremmo oggi le divisioni nazionali, se intorno all’800 d.C. fosse stato realizzato quel progetto. Che la scuola, gestita fino al XIX secolo dalla Chiesa, ci abbia convinto che i Franchi fossero bravi ragazzi – Orlando a Roncisvalle incluso – e i Longobardi delle bestie, sta nella logica delle cose magistralmente descritta da Orson Welles in 1984.
La storia ebbe a ripetersi fra 1250 e 1266 d. C., con gli Angiò chiamati sempre da un papa – il francese Urbano IV – per eliminare gli Svevi che stavano riprendendo il vecchio progetto unificatore dei longobardi. Insomma, quella che sarà la laica Francia, ebbe sempre una sponda sulla riva destra del Tevere. E quella fu la seconda opportunità che l’Italia ebbe di tornare unita.
In effetti la Francia una mezza fesseria la commise, accettando che papa Clemente V, francese, trasferisse la sede del soglio di Pietro ad Avignone nel 1309, ma nel 1377 le cose tornarono al loro posto, credo soprattutto per Parigi.
Proseguendo in rapida carrellata, la Francia ebbe sempre a operare per tener divisa l’Italia: le serviva come campo di battaglia contro gli Spagnoli prima e l’Impero dopo, per tagliare la “strada di Fiandra” che da Genova ai Paesi Bassi consentiva al secolare nemico di spostare merci e truppe. Scontri continui culminati nell’invasione del Ducato di Savoia nel 1515 e nel 1536, nelle guerre della Lega di Augusta e di Successione, e nella nuova invasione del Regno Sardo dopo la Rivoluzione Francese, fra XVII e XVIII secolo. Napoleone, infine, relegò l’Italia a Regno fantoccio, inglobandone una parte e arruolando truppe per le sue guerre contro l’altra metà dell’Europa.
L’aiutino, nella 2^ Guerra d’Indipendenza, Napoleone III ce lo dette, ma il sangue che versò soprattutto a Solferino non fu infruttuoso, avendogli consentito di portarsi a casa Nizzardo e Savoia, per le quali la Francia combatteva inutilmente da secoli. Subito dopo anche lui prese a difendere il papa, stavolta Pio IX, e non già per improvviso attaccamento al cattolicesimo, ma per tenere divisa quella penisola che poteva dargli fastidio, ed essere utile alla Gran Bretagna, che in quanto a scelte di politica estera raramente commette fesserie. Del resto occupazione della Corsica e espansione in Nordafrica della Francia furono il frutto dell’assenza di un valido antagonista mediterraneo. Bene fece il nostro re a lasciarlo battere dai Prussiani nel 1870, e fregarsi Roma, e Garibaldi ad aiutarlo simbolicamente.
Alleati obbligati nella Grande Guerra, subito dopo abbiam ripreso a tirarci calci sotto il tavolo: da Fiume, con la Francia che intendeva creare un nemico all’Italia promuovendo la nascita della Jugoslavia, alla nostra pugnalata alle spalle del 1940. Punita con un trattamento non proprio civile dei nostri prigionieri in mano francese soprattutto dopo la campagna di Tunisia, l’impiego di truppe nordafricane in Sicilia e centro-Italia fra 1944 e 1945, la corretta pretesa di essere risarcita dei danni di guerra, a fronte della sostanziale liberalità di Stati Uniti e Gran Bretagna che investirono così per ottenere la nostra obbligata sudditanza.
Se poi vogliano continuare la carrellata fino ai giorni nostri, basta ricordare la dottrina Mitterand, che consentì ad un buon numero di terroristi, condannati per omicidi, di rifarsi una vita sotto i lampioni della Ville Lumière.
Lungi da me, sia chiaro, promuovere l’odio per Macron, antipatico ma funzionale agli interessi francesi. Intendo solo dire che, chiunque comanderà da quella parte, avrà da proteggere interessi sovente contrapposti ai nostri.