Non è la stessa giornata di sole che ci ha accolto a Pisa, Lucca, Montecarlo, Viareggio e la Versilia. Il giorno di pasquetta il cielo è in parte plumbeo, minaccia pioggia, c'è vento. Arriviamo a Livorno a metà pomeriggio, piazza della Repubblica ci accoglie con un deserto tutt'altro che tale. C'è qualcuno in giro ed è meglio così, lecito o non lecito che sia, fa bene al cuore intravedere qualche essere umano che respira sia pure attraverso le mascherine.
Per chi a Livorno è nato, come noi, o anche per chi conosce e ama questa città nonostante tutti i suoi difetti e i suoi limiti, il Coronavirus è un'altra mazzata che va ad aggiungersi ad una situazione economica già deficitaria da tempo. La città vive, essenzialmente, di servizi e, perché no?, di una ristorazione e non solo nei quali il popolo livornese, da sempre, trova alimento e fiducia nel futuro. I livornesi amano la vita, il sole, il mare, i colori forti dell'esistenza. E' gente semplice, scarsamente acculturata, tutt'altro che complessa o complicata, gente che ama la concretezza dell'esistenza, che ha, forse, scarsa voglia di impegnarsi nello scalare i gradini dell'efficacia e dell'efficienza, del potere e del successo ad ogni costo, ma ha ben chiaro quale è il vero senso della vita e il buonsenso che, sovente, ad esso si accompagna.
Abbiamo trascorso decine di estati in questa città che ha un lungomare diverso da tutti gli altri che abbiamo incontrato negli anni successivi a quelli della nostra beata incoscienza. Non c'è sabbia o ce n'è molto poca, il resto sono piattaforme in cemento e scogli e non è un caso che, parlando di mare, si sia soliti differenziare chi è abituato al mare di sabbia e a quello di scoglio, quest'ultimo più adatto, sicuramente, a chi del mare sa apprezzare anche gli aspetti più estremi e impegnativi, ma anche più appassionanti e unici.
Che cosa accadrà, la prossima e imminente stagione estiva, ai balneari labronici, abituati a calcolare le distanze non in termini di metri, ma di centimetri? Cosa succederà a tutti quei livornesi che, ogni mattina, arrivano ai bagni con le loro ghiacciaine ricche di alimenti da leccarsi baffi e pronti per essere depositati sui tavoli di fronte alle cabine a qualche braccio di distanza di quelli dei loro dirimpettai? E sdraio e lettini, che sono, spesso appiccicati come ostriche allo scoglio, che fine faranno e come dovranno essere sistemati? Parlano di plexiglass... ma sapete dove ve li dovete andare a mettere i plexiglass?
E le piscine, come si fa a misurare le distanze? E i tuffi dai trampolini? E le gabbionate, cavolo, sudati come non mai, calzettoni e scarpe in mano dopo 30 minuti di massacro sotto il sole? Già, ma c'è il Covid-19...
Livorno, prima della disgraziata guerra fascista, era una città splendida, con la sinagoga seconda per bellezza in tutta Europa. Una città cui gli ebrei avevano dato, grazie ai Medici, uno sviluppo incessante e incredibile. I bombardamenti alleati l'hanno devastata, distrutta, cancellata nelle sue parti più antiche e più belle. Quando le bombe scendevano giù a grappoli, i livornesi fuggivano di qui e di là, nei rifugi o chissà dove per cercare di trovare scampo alla morte. Così, purtroppo, non è stato. Ne sono morti a migliaia, come mosche e questa città uscita martoriata dalla guerra ha saputo, sia pure con fatica e non sempre con successo, a riprendere la propria vita.
Sarà forse un qualunque coronavirus a causarne la rovina?
Sulla terrazza Ciano Cip(rian) ha immortalato un gabbiano che stava per prendere il volo. Livorno è così, sempre in procinto di staccarsi da terra e, a dirla tutta, raramente in grado di riuscire a volare. Ma tant'è. I livornesi amano la vita semplice che conoscono da secoli, sono sperperoni e amano esibire quello che comprano, dalle auto ai gioielli. Amano l'oro, forse perché luccica oltreché perché vale, e non riescono a rinunciare ai loro convivi e alle loro abitudini.
Ieri, Livorno era vuota, spenta, triste e malinconica, ma una volta scomparse le nuvole, ecco nuovamente il sole a restituire smalto e luce a una città dove a marzo si comincia a prendere il sole e a fare il bagno e si smette a ottobre. Livorno è un quadro che non si stinge mai.
Fotoservizio di Ciprian Gheorghita