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Scritto da Redazione
Cronaca
12 Marzo 2020

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Lei si chiama Martina Benedetti e quest’anno compie ventotto anni. Martina si è laureata con 110 e lode in Scienze infermieristiche presso l’Università di Pisa, con tesi dal titolo “Assistenza infermieristica al paziente sottoposto a Ventilazione Meccanica non Invasiva”.

Martina per me non è uno dei tanti eroi che combattono nei nostri ospedali. Per questo ho deciso di chiederle di testimoniare quello che sta vivendo in queste giornate interminabili. Noi ci conosciamo da diversi anni e fin dal primo momento in cui ci siamo strette la mano ho trovato in lei una ragazza appassionata. Una di quelle persone che quando ti racconta, e si racconta, lascia trasparire l’amore e la dedizione per quello che ha scelto di fare nella vita. I suoi occhi da cerbiatta dicono tanto di Martina. Soprattutto raccontano la sua missione. Oggi è infatti un soldato al fronte, un fronte chiamato rianimazione. Un fronte chiamato emergenza Covid19.

La ringrazio, perché nonostante quello che sta passando in questi giorni e settimane, si è resa disponibile ad essere voce narrante di una tragedia senza precedenti.

 

  1. Martina, come si vive in regime di piena emergenza?

«Emergenza è una parola che da sola implica una condizione di pericolo e richiede un intervento immediato. Per me, che sono un operatore sanitario, non è sicuramente un’esperienza nuova ma, al contrario, è comune e conosciuta. Io sono un’infermiera di Area Critica e per definizione mi trovo costantemente a stretto contatto sia con simili situazioni. Mi preme infatti sottolineare come le due non rappresentino un medesimo quadro. La prima, infatti, differisce dalla seconda perché sebbene richieda anch’essa un intervento in tempi immediati, il paziente non versa in pericolo di vita. Io, come i miei colleghi, ho seguito corsi di perfezionamento e ho avuto la possibilità di addestrarmi sul campo fin dai tempi dell’Università. Credo, però, che neppure gli operatori che vantano più anni di servizio avrebbero mai immaginato una situazione come quella che stiamo vivendo con il Covid19. Lavoriamo seguendo direttive, protocolli e linee guida aziendali con la consapevolezza che lo scenario può cambiare da un momento all’altro. La situazione è drammaticamente nuova per tutti: dirigenza, personale sanitario fino ad arrivare alla ditta delle pulizie».

  1. Quanto è stata a tuo avviso sottovalutata l’incidenza del virus? Ricordo la preoccupazione già nel momento in cui in rete impazzava la notizia del contagio della coppia cinese…

«A questa domanda rispondo da cittadina perché maggiormente competenti in materia sono sicuramene gli infettivologhi, virologi e i medici di Igiene e Sanità Pubblica. Scoppiato il caso dei due cinesi ricoverati poi allo Spallanzani, ho fin da subito cercato, lo sai, di sensibilizzare attraverso i miei canali social tutti i miei contatti con la pubblicazione delle notizie provenienti dal sito dell’OMS, del Governo e CDS of Atlanta. Insomma, fonti attendibili per evitare che le persone credessero alla miriade di fake news che purtroppo circolano sul web e spesso sono davvero pericolose! A mio avviso la maggior parte della popolazione ha sottovalutato il dramma cinese, continuando a vivere non curandosi di quelle che avrebbero potuto essere le conseguenze!! E purtroppo c’è chi ancora sottovaluta il dramma che stiamo vivendo. Ne sono sconcertata, oltre che come professionista, anche come privata cittadina». 

  1. Martina il tuo lavoro oggi ti espone ad un carico elevato di responsabilità. Mettendo da parte per un attimo il lato professionale, quanto è dura psicologicamente reggere le pressione?

«È difficile. Difficile perché sembra di vivere sulle montagne russe, con la costante sensazione di avere il respiro corto, di sentirsi sciogliere il viso sotto le famose mascherine FP3, gli occhiali di plastica e la visiera. Sotto strati di camice che non sono della tua taglia per carenza di materiale, devi essere pronto a qualsiasi manovra con la consapevolezza di curare tutti per lo stesso problema: insufficienze respiratorie gravi. Devi lottare costantemente per mantenere stabile chi stabile non è. E allora cerchi di sdrammatizzare con i colleghi per scacciare via la paura, anche se non è facile. A ciò si aggiunga il timore della contaminazione e le difficoltà riscontrate nel vestirsi e nello svestirsi. È dura. Insomma, questo è anche quanto ho denunciato sui miei canali social. Ho cercato di far capire alle persone l’importanza di tenere atteggiamenti responsabili perché, a mio avviso, tabelle e statistiche non rendono evidente la situazione emergenziale che tutti noi stiamo vivendo. In questi giorni la differenza la stanno facendo i colleghi e l’equipe con i quali lavoro ora dopo ora. Siamo un gruppo molto attivo, ci sosteniamo reciprocamente dando ognuno il proprio contributo: chi mette al servizio competenze più avanzate e chi paventa soluzioni di riorganizzazione del reparto. Siamo molto fortunati perché la nostra coordinatrice infermieristica è ben predisposta all’ascolto!».

  1. Martina che cosa puoi dirci in ordine al setting assistenziale dell’ospedale NOA di Massa-Carrara? Pensi che la situazione possa peggiorare ulteriormente?

«Per rispetto della privacy, imposta anche dal mio codice deontologico, non posso parlare del setting assistenziale dove lavoro. Se temo che possa peggiorare? Sì, purtroppo sì, se le persone continueranno ad agire egoisticamente e non rispettando le direttive governative. Assimiliamo il comportamento dei singoli a goccioline d’acqua. Quelle goccioline messe insieme formerebbero un oceano!! Se ciascuno avesse agito secondo coscienza le cose oggi sarebbero diverse. Comunque bisogna guardare avanti. Il nuovo decreto del premier credo che migliorerà la situazione. Ora è giunto davvero il momento di restare tutti a casa!».

  1. Ad oggi, che cosa ti senti di dire ai giovani che fino a ieri si sono riversati in massa in pub e locali, come se rinunciare all’aperitivo fosse un sacrificio troppo grande da sopportare?

«Credo che queste persone, peraltro mie coetanee, dovrebbero fermarsi un attimo a pensare. La nostra società ci impone spesso ritmi frenetici e la maggior parte delle nuove leve non ha capito che la chiusura delle scuole non è stata una gentil concessione governativa. Solo che gli adolescenti, e purtroppo non solo, in certe fasi della vita sentono di essere indistruttibili e di avere il mondo a loro piedi! Così i locali sono stati presi d’assalto come le piste da sci e la versione serale del carnevale di Viareggio che è proseguito fino a martedì grasso!!! Comunque, ribadisco, tutto questo fino all’ultimo intervento del governo che mira proprio a prevenire la catena di contagio! È quello che tutti noi auspichiamo.

Il mio lavoro, già da tempo, mi ha portata ad interrompere i contatti con parenti e amici. È difficilissimo, credetemi. C’è chi, poi, mi ha definita paranoica quando ho iniziato a muovermi con la mascherina, non comprendendo che io non volevo tutelare me stessa ma chiunque potesse entrare in contatto con me che convivo ogni giorno con il virus! Dovremmo imparare tutti a seguire il modello orientale. Lo scorso giugno sono stata in Giappone ove è buona regola indossare una mascherina quando si è raffreddati proprio per tutelare gli altri. Insomma, tutto un altro senso civico. L’Italia è un Paese bellissimo e gli italiani sono un popolo culturalmente ricco ma ora deve sforzarsi e allinearsi a quanto richiesto a gran voce anche dall’OMS! Occorre uno sforzo maggiore per ottenere grandi risultati in un tempo minore».

  1. Martina, un’ultima domanda prima di lasciarti riposare. Hai paura?

«Onestamente, tanta. La situazione è drammatica e vivo nel terrore che manchi la possibilità di aiutare tutti i pazienti. Aggiungi che iniziano già scarseggiare le mascherine FP3……».

 

Martina Bendetti è una delle tantissime persone che combattono ogni giorno. Io la ringrazio, a nome anche della redazione delle Gazzette, per aver tolto tempo al suo riposo per rispondere alle mie domande. Grazie Martina, grazie davvero.

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