Ormai riesci a trovarle solo al termine di lunghi e defatiganti percorsi tra il cardo e il decumano: talvolta, la domenica, per incontrarne una ti devi spingere anche oltre la cerchia delle mura, onore e vanto della città. Stiamo parlando delle edicole, intese come rivendite dei giornali quotidiani di carta, l’unica modalità per me accessibile alla comprensione del mondo, delle sue storie e dei loro buoni o cattivi protagonisti: per intercettarne gli ultimi rari esemplari, già da qualche tempo, sono costretto a vere e proprie battute in lungo e in largo alla loro ricerca. E quando le trovo, se le trovo, m’imbatto in esercizi commerciali ridotti a rivenduglioli di paccottiglia turistica tutta eguale dove si smerciano soprattutto orribili adesivi calamitati, magliette e calzini, articoli sanitari e di parafarmacia, bottigliette di plastica d’acqua tiepida da mezzolitro a due euro e lattine dell’immarcescibile, e altrettanto tiepida, Coca-Cola. Insomma, se è vero che la lettura del giornale, come voleva un filosofo illustre, corrisponde alla preghiera mattutina dell’uomo moderno, allora la rarefazione dei chioschi giornalai mi sta facendo perdere anche gli ultimi residui di senso del sacro. E, alla fine della fiera, il mio quotidiano preferito, (di nicchia, per carità, molto di nicchia), neppure lo trovo e mi tocca ripiegare sull’acquisto di testate più popolari e diffuse ma dall’orientamento politico-culturale diverso e lontano dal mio. Gli è che i giornali, in forma cartacea almeno, non li compra e legge più nessuno se non una pattuglietta residuale di adulti del secolo scorso ormai assai e assai diversamente giovani…
È questa un’altra delle profonde e, a mio parere, deleterie trasformazioni introdotte nei costumi della contemporaneità dal “maledetto coso lì”, come si chiama? lo smartphone ipertecnologico così luminoso e colorato, rumoroso e pervasivo. Perverso. I miei coetanei colti e più di me disponibili ad addentrarsi nella jungla delle discutibili novità dei nostri giorni, mi accusano: dopo una giovinezza vissuta sotto le bandiere del radicalismo politico progressista “sei diventato un misoneista”. Ovvero una persona che odia le novità ed è decisamente contrario a ogni innovazione. Insomma, un conservatore con non poche sfumature che sanno di reazione. “Può darsi”, rispondo. “Ma” proseguo “non tutto quello che la contemporaneità propone e impone è sempre e comunque condivisibile”.
Così, dopo la scomparsa delle cabine telefoniche e delle librerie stanno per venirmi a mancare anche le edicole, qualcosa più di un dettaglio nella mia esistenza. Sarò in grado di adattarmi? Riuscirò a sostituire la sensazione tattile delle pagine di giornale sfogliato e quella olfattiva dell’odore di carta da poco e inchiostro che si mescola con l’aroma del caffè e la fragranza della brioche mentre mi accingo la mattina al bar a relazionarmi con la Storia e i suoi problemi? Penso di no e se avverrà, costerà qualche acuto sentimento di perdita. L’ennesimo di questi tempi opulenti e grami, doviziosi e tristi.