In un mondo di maschere, c'è chi sceglie, coscientemente, di indossare quella del pazzo.
Un giorno, un anonimo marchese del '900, vestito da Enrico IV di Franconia durante una festa in costume, cade da cavallo e batte la testa; da allora, per ben 12 anni, perde il senno della ragione e, in preda al delirio, pensa di essere veramente lui l'imperatore romano-germanico.
Passano 20 anni da quel giorno. Matilde, la sua amata compagna, si risposa con Belcredi, amico del nostro; la piccola Frida, figlia di Matilde, cresce e, accompagnata da un giovane di belle speranze, il nipote Di Nolli, rivive la favola dei genitori, tanto da assomigliare, in tutto e per tutto, a loro. Accompagnati da uno psichiatra (sono gli anni di Freud), decidono di far visita al marchese per aiutarlo ad uscire dalla sua follia con uno stratagemma teatrale: assoldano quattro commedianti - e si travestono loro stessi - per assecondare nella recita il pazzoide. Obbiettivo: far capire, tramite l'artificio delle maschere, la differenza che c'è tra realtà e finzione.
Un artificio destinato a fallire però. Eh sì, perché - sorpresa sorpresa - si scopre che il nostro folle marchese, in realtà, è tutt'altro che folle. E' lucido come non mai. Anzi, potremmo dire, addirittura... illuminato! Cioè, sì, per 12 anni, in effetti, ha perso il lume della ragione; ma gli è bastato un attimo per recuperarlo e vedere chiara la realtà di fronte a sé. E' stato un lampo: Matilde, la sua adorata, non lo ama più (e forse non lo ha mai amato veramente); Belcredi, il suo caro amico, è in realtà una serpe (è stato lui, con ogni probabilità, a farlo cadere da cavallo per mettersi con la sua amata). E lo psichiatra? Vil razza, altro che medico, un impostore.
Dopo 12 anni di follia, il mondo gli è crollato addosso. E, allora, che fare? Deprimersi, spararsi un colpo in testa, diventare un pazzo omicidia? No, meglio continuare a fingersi folle, per altri otto anni, così da smascherare (lui sì con l'artificio del teatro) tutte le persone intorno a sé e vendicarsi dei torti subiti.
Indossando le maschere, paradossalmente, cadono tutte le bugie; recitando una parte, altro paradosso, si rivelano i veri sentimenti; assecondando la pazzia, ultima eresia, si ristabilisce la normalità.
Con Pirandello è così: tutto non è mai come appare. Anche il teatro. Una sera vai al Giglio, in programmazione c'è l'"Enrico IV", e tu ti siedi comodo in poltrona, passivo, osservando sul palco gli attori, in costume, recitare la parte loro assegnata. Alla fine, esci dalla sala e non hai più certezze: erano loro che recitavano, o ero io? Chi ha messo in scena chi?
La quarta parete è sfondata: il mondo è tutto un grande teatro, popolato di innumerevoli maschere, e noi siamo gli attori che, ignari di esserlo, si lasciano dirigere come burattini da Mangiafuoco.
Guai ad uscire dalla parte, si correrebbe il rischio di diventare... pazzi.