Fin da tempi remoti regalo insperato delle severe terre montuose all’uomo europeo, la castagna è comunque anche il risultato di un instancabile lavoro che precede e prepara l’usufrutto di questa ricchezza naturale: dalle pulizie del sottobosco alla raccolta delle foglie, al ripristino dei ripari di frasche e terra contro l’erosione dei fiumi (roste), alla manutenzione dei muretti di sassi non legati dalla calcina, muretti a secco (muricce). Tutti lavori che precedono, accompagnano, seguono la raccolta delle castagne, condotta, in genere, per gruppi familiari organizzati. Segue, poi, il dopo raccolta: portate al metato, le castagne, sono sistemate sopra i cannicci e sottoposte a essiccazione. Sbucciate e pulite sono pronte per la molatura e per essere trasformate in quella farina che, rielaborata in una straordinaria varietà di cibi dolci o salati, ha nutrito generazioni e generazioni di donne e uomini della montagna, liberando famiglie e comunità dall’assillo della fame. Quando, per un motivo o per l’altro, tale risorsa veniva a mancare allora la sofferenza diffusa si faceva pena: si mangiava al di sotto del necessario con tutte le conseguenze che ne potevano derivare. E si emigrava: le famiglie si dividevano e nella vita, già dura, entravano ulteriori motivi di afflizione. Una sobria epica montanara, quella della castagna, durata almeno sino alla metà del secolo scorso, sino alla cesura – culturale, valoriale, antropologica – intervenuta più o meno sessant’anni fa con l’avvento della società dei consumi e tutte le sue successive, migliori e peggiori, declinazioni. Simbolo della previdenza, perché per generazioni il frutto del castagno è servito da nutrimento durante tutto l’inverno, la millenaria consuetudine dell’uomo con questa pianta riservata e generosa è ben espressa da non pochi proverbi che, sopravvissuti alla stagione del consumismo, l’hanno attraversata e sono giunti fino a noi. Ne abbiamo scelto una mezza dozzina di quelli d’uso più frequente. Un paio che potremmo definire di “calendario augurale”: Per San Michele (29 settembre), la succiola (il marrone bollito) è nel paniere; Per San Martino (11 novembre), castagne e buon vino. Invece, La donna è come la castagna; bella di fuori, e dentro è magagna rimanda all’eterna polemica tra i sessi e al pregiudizio maschile, figlio del patriarcato. Interessante, dal punto di vista della storia sociale, Dove son passati i ruspaioli, non si sfamano più neanche i maiali, dove ruspaioli sta per i poveri tra i poveri, ovvero quanti battevano il castagneto alla ricerca di quanto avanzato da un primo raccolto. Ha cavato la castagna dal fuoco con la zampa del gatto è riservato a colui che, con abilità, ha saputo affidare a qualcun altro un compito delicato, magari anche pericoloso senza che questo possa godere dei benefici ottenuti. In inglese, To take the nuts from the fire with the dog’s foot. Più complessa la spiegazione della locuzione, usata ancora oggi, Cogliere in castagna, intesa nel senso di sorprendere in errore, ovvero l’antico e ormai desueto smarronare usato nel senso di sbagliare, errare… C’entra poi anche, probabilmente, la somiglianza del marrone, la castagna belle grossa e lucida, col testicolo maschile spesso praticato nell’uso popolare per evidenziare grossolanità e stupidità. Al gergo sportivo rimanda poi l’espressione Che castagna! Indicativa della straordinaria potenza di un tiro in porta nel calcio o un formidabile pugno da knock-out nella boxe.