Qualche giorno fa, quattordici scienziati hanno firmato un documento in cui si ribadisce l’importanza del Servizio Sanitario Nazionale e la necessità di garantirne la continuità e lo sviluppo. Si tratta dell’ennesimo allarme lanciato a causa di una condizione di crisi in cui sono evidenti l’arretramento di alcuni parametri di salute, le difficoltà crescenti nell’accesso ai percorsi di diagnosi e cura, l’aumento delle diseguaglianze regionali e sociali, come si rimarca autorevolmente nel documento stesso. Ma per verificare le molteplici falle del sistema, basta peraltro trovarsi nella condizione di aver necessità di cure e di assistenza. Il settore pubblico garantisce ancora gli interventi nelle fasi acute della malattia, ma per le altre attività mediche ognuno può verificare di persona che si è costretti a rinviare gli interventi oppure ci si deve rivolgere al privato. Si sta delineando per la Sanità un modello sempre più privatistico, adottato largamente in paesi quali gli Stati Uniti. Sta di fatto che nonostante i continui appelli, sollecitati dalle evidenze che sono sotto gli occhi di tutti, una revisione complessiva del sistema alla base del servizio Sanitario Nazionale non è all’ordine del giorno del Governo attuale. Eppure dopo la Le legge n. 883 del 1978, istitutiva del SSN e le altre leggi di riforma, rispettivamente del 1992 e del 1999, forse converrebbe metterci mano, visto che in una trentina d’anni qualcosa è cambiato, come ha insegnato anche l’epidemia Covid – 19. Siamo ai livelli più bassi in Europa di investimenti in Sanità rispetto al Prodotto Interno Lordo (dedichiamo attualmente al diritto alla salute il 6,2 % del PIL, quando gli altri paesi - Francia e Germania, ad esempio - impiegano mediamente l’8%). E da una prima analisi del Documento di Economia e Finanza, presentato di recente in Parlamento, sembra che manchino sul bilancio dello Stato 10 miliardi di euro, che non sappiamo se dovranno essere recuperati con tagli di spesa, a quali settori non è dato al momento sapere, oppure se saranno reintegrati con nuove entrate. Visto che dal 2008 in poi i tagli alla Sanità sono stati continui per la necessità di garantire la sostenibilità dei nostri bilanci pubblici in linea con le regole europee - le quali sono state temporaneamente sospese nel 2020 in coincidenza con la pandemia, ma che dovrebbero tornare attive fin da quest’anno - c’è da capire come si intende realmente andare avanti e se nei programmi elettorali per le prossime elezioni europee si è capaci, tanto per fare un esempio, di inserire l’esclusione della spesa Sanitaria dai Patti di Stabilità, vista la valenza che il nostro Servizio Sanitario Nazionale ha per la stessa coesione sociale. Per il reperimento eventuale di risorse aggiuntive, non mi pare che i recenti provvedimenti di natura fiscale assunti dal Governo possano dare garanzie per il futuro. I dati sull’economia sommersa e quindi sul livello ancora presente di evasione fiscale (sono stati pubblicati di recente anche quelli relativi alla Toscana) restano assai preoccupanti. E la riforma del fisco, al di là di provvedimenti alla giornata che lasciano il tempo che trovano, resta ancora fondata sui discorsi.
Le questioni relative al trattamento del personale impiegato in sanità, il quale costituisce il vero patrimonio di cui disponiamo in termini di capacità e conoscenza; la sanità territoriale, che abbiamo avvertito così carente durante l’epidemia appena passata; la medicina di base; il rapporto tra ospedali e territorio secondo criteri di continuità assistenziale - preospedaliera, come filtro prima delle cure specialistiche in ospedale (non è più possibile, ad esempio, che ogni emergenza anche minima, arrivi ai pronto soccorso), o riabilitativa postospedaliera, per garantire il ritorno alla vita ordinaria; lo sviluppo delle attività di ricerca medica; la prevenzione, anche attraverso l’educazione a corretti stili di vita; l’efficacia e l’appropriatezza nell’impiego delle risorse; la riorganizzazione del patrimonio edilizio ospedaliero secondo criteri di sicurezza ed efficienza; l’interazione e la continuità tra assistenza sanitaria e assistenza sociale: saranno questi i fattori su cui poggeranno le aspettative di salute del futuro, anche in ragione di una società che si avvia verso un’età media sempre più elevata. Già ora nel nostro paese le persone impiegano oltre 45 miliardi di euro dei loro redditi per curarsi: quelli che possono farlo. Ma, in termini statistici, si calcola che almeno 6 milioni di persone abbiano oggi difficoltà di accesso alle cure a causa delle difficoltà economiche in cui versano. Se prende corpo ancor di più il processo di privatizzazione in atto, il futuro sarà peggiore per chi si trova in difficoltà. Ma che volete che sia: se un quinto della popolazione non ce la fa a tirare avanti e a curarsi, che si arrangi: si tratta pur sempre una minoranza!