Caro direttore,
lasciami dire tutto il mio dolore per quanto succede in Emilia Romagna.
Il mio dolore va oltre il comune senso di appartenenza, quello che fece scrivere a John Donne che “nessuno di noi è un’isola …. la morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”.
Va oltre perché nella mia lunga vita sperimentai il terrore dell’acqua e la perdita di tutto quello che avevo, portato via dal torrente Stura in quel di Masone (Genova) dove avevo appena costruito uno stabilimento nuovo. L’alluvione mi lasciò senza niente e pieno di debiti. Solo il contributo della mia grande moglie che faceva il medico ospedaliero mantenne la famiglia per quasi un anno, il tempo che mi occorse per ricominciare. Era l’ottobre 1970.
I morti, la disperazione, il fango, le aziende distrutte, i mobili in mezzo alla strada, i ragazzi con le pale, la solidarietà degli altri: quasi tutto come 50 anni fa a Genova e non meno doloroso.
Sono troppo vecchio per prendere una pala e andare in Romagna a spalare, sarei un ingombro più che un aiuto. Ammiro e un po’ invidio i ragazzi e i grandi, fino agli anziani che indomiti puliscono, rimettono in ordine le case loro e dei vicini, progettano il futuro.
Ce la faranno, ce l’ho fatta io che sono un pirla qualunque figuriamoci se non ce la faranno loro tanto migliori di me.
E poi c’è il gioco della politica e della scienza o della pseudo scienza o della scienza al servizio delle ideologie.
Che sia in atto un cambiamento climatico è talmente palese che non capisco chi lo nega, ma neanche capisco perché lo nega. Ce ne sono stati molti altri nel corso della lunga storia del nostro pianeta, che non è la mitica “madre terra”, è però il posto in cui viviamo e per ora è anche l’unico che abbiamo per poterci vivere.
Prima e dopo l’apparire dell’uomo sulla Terra ci sono stati cambiamenti di clima imponenti nella storia del pianeta, alcuni riferiti da fonti meta storiche come il Diluvio Universale biblico, altri rilevati dalla scienza moderna in grado di ricostruire mappe geografiche e climatiche che ben poco hanno da spartire con quelle attuali: pare un altro pianeta e un altro pianeta sarà in futuro, con continenti che vanno alla deriva, con climi che rendono verdeggiante e abitabile la Groenlandia poi inospitale per il gelo, che fanno crescere la vite in Terranova, che i vichinghi chiamarono appunto Vinland, e che facevano fertile il Sahara fino a 12.000 anni fa, prevedendolo di nuovo verde fra 15.000, anni, con già oggi i primi segni di rinverdimento.
Una parte minoritaria di scienziati condivide l’opinione che il cambiamento dipenda dall’insieme di fattori “naturali” e attività umane, mentre la maggioranza dà la colpa esclusiva all’umanità che “antropizza” il pianeta, emette CO2, provoca l’effetto serra. Gli scienziati ne sanno mille volte più di me.
Che gli uomini emettano C02, che accumulino montagne di plastica, che producano rifiuti in grande quantità, che brucino benzina, carbone, gas, per produrre beni e servizi e per muoversi è un dato di fatto non controvertibile.
Che in parallelo ci siano movimenti e riposizionamenti di asse terrestre, di correnti, di mutamenti “naturali” sembra altrettanto vero: conclusione (mia e quindi del tutto trascurabile): si tratta di fenomeni che si sommano, con i pessimi risultati che vediamo.
Nulla possiamo nei confronti dei mutamenti naturali, mentre possiamo incidere sul comportamento degli 8 miliardi di umani che popolano il pianeta.
Un rapido sguardo su tale comportamento ci dice alcune cose:
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Uno studio pubblicato dalla università di Canton (quindi certamente non ostile al regime cinese) afferma che il 52% delle emissioni inquinanti totali deriva da 25 grandi città, di esse 23 sono cinesi.
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I numeri dicono che la Cina è la nazione più inquinante del mondo con oltre 9,5 milioni ton/anno di CO2, a seguire gli USA con la metà e al terzo posto l’India con un quarto. La Germania è quarta al mondo e prima in Europa, l’Italia (settima per produzione di beni e servizi) è al 68° posto al mondo. l’Europa intera contribuisce all’inquinamento totale con meno del 9%.
WWF, Greenpeace, Legambiente e giù giù, fino ai rompiscatole di Ultima Generazione (affiliati dell’internazionale A22: quelli che fermano il traffico, imbrattano i monumenti, strepitano come le oche del Campidoglio), tutti costoro e la nebulosa delle associazioni ambientaliste “minori”, sono associazioni che nascono e prosperano solo nei Paesi occidentali aperti, tolleranti: solo qui “protestano”.
Non si capisce perché non vadano a protestare nei Paesi che inquinano più dell’Europa o dell’Italia.
Questo comportamento non giustifica il timore o almeno il sospetto che le proteste abbiano contenuti anche politici oltreché ambientalisti? Siano cioè contro il sistema delle democrazie occidentali e a favore di un nuovo ordine mondiale non si sa bene come organizzato e da chi gestito.
C’è poi la storia patria: i “verdi” sono contro ogni intervento sul territorio, guai fare una strada nuova o asfaltarne una vecchia, guai fare una diga o un ripascimento di arenile, guai estrarre una palata di sabbia dall’alveo dei fiumi.
C’è la burocrazia: paghiamo una tassa annua che a me fa venire l’orticaria ogni volta che arriva: quella del Consorzio Bonifiche. Prego leggere il riquadro in fondo all’avviso di pagamento. Dice: “…la tassa ha lo scopo di recuperare le spese sostenute per interventi finalizzati ad assicurare lo scolo delle acque, la salubrità e la difesa idraulica del territorio, la regimazione dei corsi d’acqua naturali…”. Vallo a spiegare ai romagnoli.
Paghiamo migliaia di forestali, siamo sottoposti a mille limitazioni a casa nostra, i permessi per tagliare un albero, per fare un casottino di legno da mettere in giardino, le Belle Arti, il Garante del Paesaggio, quello dell’impatto idrico e geologico, i costi del geologo che certifica che il muretto non provoca sconvolgimenti ecoinsostenibili.
Rotture di scatole e interferenze improprie a casa nostra, poi quando piove, tutto l’apparato si rivela per quello che è, un costo con ben pochi benefici: frane e alluvioni come se Consorzi, forestali, enti e garanti non esistessero.
Le frane derivano dall’abbandono del territorio: la introduzione di lupi, cinghiali, orsi e daini da parte degli ambientalisti non ha aiutato a tenerlo popolato.
Le alluvioni sono facilitate dai tombini e dai letti dei fiumi intasati. Ma come intasati: che cosa ci stanno a fare Anas, addetti regionali, provinciali, comunali, forestali e Consorzi Bonifiche?
La deforestazione aumenta il rischio idrogeologico. Ma come, se in Italia le foreste sono cresciute addirittura del 75% negli ultimi 80 anni (fonte: Ministero politiche agricole, Istat, Crea, Carabinieri forestali)?
In conclusione l’importanza del tema ambientalista merita applicazione scientifica, merita attenzione operativa degli enti pubblici che devono pur rendere conto ai cittadini del funzionamento dei loro uffici senza coprirne le eventuali disfunzioni: i soldi che paghiamo sono soldi buoni, le prestazioni che riceviamo non sono altrettanto buone.
Le strumentalizzazioni e le derive ideologiche non vanno represse: bastano e avanzano i democratici del Salone del libro di Torino che impediscono alla signora Roccella (che sia ministro poco importa: prima di tutto è una cittadina italiana) di esprimere opinioni. Basta la reazione della signorina Schlein: “Questa maggioranza ha problemi con il dissenso”. No signorina Schlein: è lei che ha problemi con la libertà del confronto democratico.
Non vanno represse ma non possono rappresentare soluzioni al problema del cambiamento climatico, le prevaricazioni e le provocazioni vanno contenute, le organizzazioni ambientaliste fanno bene a sorvegliare, spronare, criticare, ma nei limiti delle norme e del buon senso, e devono farlo anche nei confronti di chi inquina decine di volte più di noi, il loro silenzio diventa complicità o addirittura progetto politico condiviso: loro e i partiti politici devono sapere che la maggioranza degli italiani sta in silenzio ma non condivide e si esprime quando va a votare.