"Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello". Questo il verso iniziale di una famosa invettiva di Dante presente nel VI canto del Purgatorio della Divina Commedia. Un'amara riflessione che non ha mai perso di attualità, soprattutto se riferita al mondo della politica di casa nostra (ed alle sue costumanze). Mai avremmo pensato che il Sommo Poeta avesse anticipato, molti secoli prima, una nuova versione della morale pubblica che contraddistingue lo Stivale. Un Paese che pure ha saputo coerentemente cancellare la prostituzione organizzata, il mercimonio e lo sfruttamento del corpo delle donne, chiudendo - correva l'anno 1958 - le cosiddetta "case di tolleranza" con la legge proposta dalla senatrice socialista, Lina Merlin. Tempi lontani si dirà. "Altra mentalità, altro rigore", direbbe il nostalgico di turno, lodatore dei tempi passati. Qualcun altro, con zelo culturale, ci ricorderebbe la massima latina pronunciata da Cicerone "O tempora, o mores!". In entrambi i casi ci avventureremmo in una disquisizione filosofica sul fatto che la morale possa essere, o meno, figlia dei tempi e magari finire soggetta alle leggi che governano lo Stato, perché nello Stato di diritto, si sa, la morale pubblica risiede pur sempre nella legge. Ne consegue pertanto che cambiando le leggi, cambierebbe anche il codice comportamentale dei cittadini. Questi ultimi sono irreprensibili perché appunto osservano la legge e con essa la morale che l'ha ispirata. Tuttavia qui non si tratta di un'astratta questione filosofica quanto di una questione...politica e sociale: quella di decidere se la prostituzione debba tornare ad essere riconosciuta ufficialmente dallo Stato. Se, cioè, nell'era della parificazione dei generi sessuali, anzi del tentativo di cancellarli omologandoli l'uno all'altro, nell'era del "politicamente corretto", si possa tornare a guardare al mestiere più antico del mondo sotto una nuova luce. In fondo, di cosa ci meravigliamo? se omosessualità e famiglie queer sono state giuridicamente previste e addirittura parificate a pratiche etero e nuclei tradizionali, perché mai dovremmo scandalizzarci se lo Stato intende percepire la propria quota di tasse sugli affari della prostituzione? Badate bene: si parla di un giro di affari che in Italia sfiora i cinquanta miliardi di euro! In questo modo però finiremo come...Vespasiano ed il suo famoso "pecunia non olet", ovvero i soldi non puzzano, anche se quelli dell'imperatore romano venivano dal ricavo dell'uso dei bagni pubblici!! Ora, che i soldi della prostituzione "puzzino" è sacrosanto e che siano espressione di un'immoralità che nasce dalla schiavitù e dall'uso di un corpo cancella ogni parvenza di valori e decoro istituzionale, azzerando anni di chiacchiere sul tema della parità dei diritti con la donna che ancora una volta finisce per essere ritenuta una "merce". Che l'Istat abbia, in conformità delle direttive europee, attribuito un codice Ateco per tale tipo di attività, così come per altre strane professioni come maghi, occultisti, astrologi e spiritisti (!!), segna una cinica inversione di tendenza. A poco serve ribadire che quella che viene considerata la più antica professione del mondo non sia mai sparita dalla società e che la si svolga sotto altre forme e modalità di esercizio: escort, accompagnatrici, passeggiatrici, lucciole, cover girl, addette alle relazioni sociali "particolari". Il costrutto infatti non cambia. Ma per quanto opinabili e per taluni versi moralmente deprecabili, quelle pratiche di ingaggio del cliente restano pur sempre nella libera scelta della donna, tant'è che il reato di prostituzione non compare nel codice penale. Rimane però quello di sfruttamento e di induzione alla prostituzione. Ora, se quelle pratiche vengono codificate ai fini fiscali, lo sfruttamento di quel lavoro resta ancorché sia l'erario statale a praticarlo. Di forme di Stato se ne conoscono molte ma questa dello Stato lenone è decisamente una novità!!