Il 2018-2019 è ricordato per il “via libera” della ministra della difesa M5S Elisabetta Trenta alle associazioni professionali a carattere sindacale fra militari. Si giocò sulle parole non attribuendo il titolo “sindacato” nella speranza – vana – di frenare un processo avviato. Infatti, ancorché la Trenta sia stata vituperata da parte del mondo militare per la scelta affrettata, prima che intervenisse una legge che regolamentasse i sodalizi, non aveva tutte le colpe.
Il problema era nato con la L. 1 aprile, n. 121 del 1981, che tolse le stellette al Corpo delle Guardie di PS e consentì i sindacati di polizia. Ai militari era stato concesso nel 1978 il palliativo della Rappresentanza Militare, nata per decidere cosa mettere nei bar delle caserme, cui era inibito partecipare alla contrattazione collettiva, ma assurta nel tempo a funzioni sindacali. Inutile girarci su, arrivò anche a porre veti - qualche volta accolti - su destinazioni e promozioni di ufficiali sgraditi, provando a sostenere – non sempre con successo – la nomina politica di uno piuttosto che dell’altro ai vertici. E mandò anche qualche membro in Parlamento, in perfetto stile sindacale.
Era ovvio che essa tentasse di omologarsi ai sindacati di polizia, ovvio e – aggiungerei – inevitabile. Errato – a mio avviso – contrastare i sindacati: una volta che sono stati istituiti, occorre confrontarsi lealmente con essi. Ma il cittadino, deve essere chiaro, non ci ha guadagnato.
Vorrei vedere oggi i vertici militari come affronterebbero – sotto il fuoco delle APCSM – la prova di spedire un contingente in scenari capaci di evolvere tragicamente come accadde nella 2^ Guerra Mondiale in Africa, Russia, Grecia. Si disquisirebbe di armi e equipaggiamenti non idonei o comunque richiedenti migliorie, turni brevi da garantire (in Africa nel 1940-1943 erano previsti 3 anni di guerra per il rimpatrio), riposi settimanali, ferie retribuite anche se si abbandona il teatro di guerra etc.. Per la politica sarebbe una bella gatta da pelare. Se ci fossero stati i sindacati nel 1940, avrebbero iniziato a lamentare l’obsolescenza di “scatole di sardine” e biplani di legno e tela? Invece i nostri baldi soldatini partirono convinti d’essere i migliori al mondo, e sappiamo come sia andata a finire.
Bene si dirà! Evitiamo le guerre, e questo non può che considerarsi positivo. Il problema sorgerà se altri deciderà di muoverci guerra, ma mica si può pensare a tutto!
In quanto ai problemi interni al Paese, se ne sta delineando uno. L’Arma ha di recente svolto adeguata campagna contro il caporalato, sull’onda del luttuoso episodio che ha visto bracciante irregolare indiano abbandonato mutilato a dissanguarsi nell’Agro Pontino. L’Arma ha specialisti negli Ispettorati del Lavoro, pochi per provincia, e per massimizzarne il rendimento ha istruito personale dell’Arma territoriale per supportarne e estenderne l’azione. Ad alcuni sindacati non è piaciuto e hanno sparato a zero sulla ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, rea di aver distolto risorse dal controllo del territorio, e commesse altre non meglio precisate nefandezze.
Al di là della segnalazione del ministro al collega della difesa, perché verifichi se sia il caso di sanzionare tali associazioni, e personalmente convinto che sia meglio, per la compattezza dell’Arma, che non si pervenga a misure eccessivamente penalizzanti, al solito presento il punto di vista personale.
Una campagna come quella ideata – fra l’altro da eccellente generale che ha già dimostrato di sapere efficacemente integrare le risorse dell’Arma “territoriale” con quelle dell’Arma “speciale” nei settori dell’ambiente e della sicurezza nei luoghi di lavoro – ottiene risultati quanto maggiori sono gli obbiettivi censiti e sottoposti a verifica nel tempo breve. Una sistematica e lunga azione di controllo sortirebbe risultati grandemente inferiori, e minore impatto.
Colpire il caporalato è interesse del popolo italiano, e degli immigrati che vogliono lavorare e son sfruttati.
E allora ci si deve preoccupare di far qualcosa di positivo per la nostra Italia, per chi vi vive e lavora, o difendere astruse – magari rispettabilissime – posizioni basate su cavilli più o meno comprensibili, a pena di non sortire effetto?
Per quanto mi riguarda, tutta la vita – si dice così per farsi capire oggi – con chi, senza commettere reati, efferatezze, violazioni dei diritti dei nostri militari dell’Arma, riesca a trovare il modo di migliorare i controlli a garanzia della legalità.
Per questo ho scritto che il cittadino non ci ha guadagnato.
Una volta un tale principio non c’era bisogno di ribadirlo, e non avrei dovuto tediare il lettore.